MERYL: LA REGINA DELLE NOMINATION
In una delle prime pagine di The Hours, lo straordinario romanzo di Michael Cunningham, Clarissa Vaughan sta comprando dei fiori per una festa in onore di Richard, un suo caro amico poeta malato di AIDS. Uscendo dal negozio con i fiori in mano si ferma a guardare una troupe cinematografica che sta girando un film e fra gli attori le sembra d intravedere Meryl Streep...
E mentre Clarissa non riesce a identificarla (…) sa senza ombra di dubbio che la donna è una star cinematografica...
Il caso ha voluto che fosse proprio Meryl Streep la prescelta per il ruolo di Clarissa.
Una suggestiva coincidenza che il regista Stephen Daldry non ha voluto assecondare nel film, in una possibile scena speculare, ma soprattutto un'affascinante casualità che non riesce però ad abbandonare l'immaginazione di chi ha amato le pagine di The Hours e che porta a pensare come l'attrice fosse sempre stata nei pensieri dello scrittore, prima del romanzo, prima del pulitzer, primadel film e del suo successo.
Meryl Streep in The Hours di Stephen Daldry, affettuosamente chiamata Mrs. Dolloway è la protagonista del romanzo scritto da Virginia Woolf e letto da Laura Brown ma anche una donna contemporanea nella New York densa di profumi e sensazioni dei giorni nostri, che vive una tranquilla relazione omosessuale con una compagna ed è innamorata da sempre di Richard un poeta malato di AIDS, suo primo e indimenticabile amore. Nonostante tutto, una donna tradizionale, "una persona comune con dei fori da comprare e una festa da dare" .
Niente di più lontano e allo stesso tempo più vicino dalle donne interpretate da Meryl Streep nel corso di una carriera impressionante, suggellata da due Oscar e da un record di nomination arrivato a quota 13 grazie al suo ultimo film Il ladro di orchidee-Adaptation con cui ha superato il primato della grandissima Katherine Hapburn.
Un curriculum strabiliante e riconoscimenti meritatissimi, per un'interprete definita fin dai suoi esordi "De Niro in gonnella" e che proprio con De Niro (con cui tornerà a far coppia nel 1984 in Innamorarsi di Ulu Grosbard) aveva calamitato le attenzioni di pubblico e critica ne Il cacciatore di Michael Cimino, il suo secondo film e la sua prima nomination, dopo una lunga gavetta teatrale che l'aveva portata dal suo New Jersey a New York e, dopo l'Emmy per la miniserie Olocausto , alla grande occasione di recitare a fianco di Jane Fonda in Giulia di Fred Zinneman.
Da quel momento sono solo successi e Meryl inizia la sua lunga collezione di nomination anche se la vita le riserva terribili tragedie come la scomparsa del compagno, l'attore John Cazale, con lei ne Il cacciatore. Un momento difficile superato grazie all'amore per lo scultore Donald Gummer che sposerà nel 1978 e dal quale avrà ben quattro figli. E' un anno magico, in cui arriva anche il suo primo Oscar, come attrice non protagonista per Kramer contro Kramer di Robert Benton, dove con Dustin Hoffman forma un coppia che sprofonda in una crisi devastante per l'affidamento del figlio. Una battaglia a colpi di tribunale e di bravura fra i due protagonisti che commuove il mondo intero e fa guadagnare a entrambi la magica statuetta.
Meryl conferma la sua fama di attrice drammatica dotata di grande virtuosismo, per uno stile impeccabile non sempre apprezzato dalla critica ma che lei ha sempre saputo valorizzare e mettere al servizio di ruoli di grande sensibilità, come in La donna del tenente francese (1981) di Karel Reisz (ancora nomination) ma soprattutto ne La scelta di Sophie (1982) nel ruolo di una donna che rivive l'incubo del lager e il dramma che l'ha segnata per sempre, nella terribile "scelta" di sacrificare la figlioletta per salvare se stessa e un altro figlio. Il suo secondo Oscar.
Con Silkwood tocca quota cinque nomination, ma è sicuramente con La mia Africa di Sidney Pollack che Meryl realizza una delle sue più grandi performance, affinando la sua recitazione, liberata dagli orpelli e dalle lacrime di un'impostazione spesso definita manierista e diventando la scrittrice Karen Blixen, innamorata dell'Africa e di "un uomo che non è mai stato suo", un Robert Redford che si lascia affascinare da una donna libera e piena di passione che all'ombra dei leoni keniani Meryl renderà indimenticabile. E' ancora nomination.
Accanto a lei sempre i più grandi. Dopo De Niro, Hoffman, Redford arriva anche Jack Nicholson con cui duetta in Affari di cuore (1986). Ma se le nomination per lei ormai sono una prassi e un appuntamento quasi annuale (concorre all'Oscar anche nel 1987 per Ironweed di Hector Babenko) una novità in fatto di premi arriva nel 1989 quando Cannes le consegna la Palma d'Oro per la miglior attrice in Un grido nella notte (ottava nomination) di Fred Schepisi, film tratto da una storia vera che la vede madre accusata della morte della figlia che si scoprirà poi rapita e uccisa da un dingo.
Alla soglia dei quarant'anni è ormai una diva consacrata e indiscussa che può permettersi di cambiare registro e tentare la via della commedia, una strada che le sembrava apparentemente preclusa, ma che Meryl Streep, nella realtà una donna simpaticissima e sempre allegra a dispetto dei ruoli che l'hanno resa famosa, intraprende con coraggio e grande ironia. In questa nuova veste viene aiutata da partner dalla comicità collaudata come la satanica Roseanne Barr alla quale una Meryl Streep versione scrittrice di romanzetti rosa con tanto di barboncino bianco decide di rubare il marito innescando una vendetta diabolica di cui subirà le tragiche e surreali conseguenze, nell'esilarante She-Devil-Lei il diavolo (1989) di Susan Seidelman o come Shirley MaCline la sua terribile e insopportabile madre in Cartoline dall'inferno (1989) di Mike Nichols - nona nomination - per finire con Goldie Hawne compagna di lifting e silicone in La morte ti fa bella (1992) di Robert Zemeckis, commedia nera in cui Meryl dimostra con grande ironia di sapersi prendere gioco anche del proprio aspetto fisico in una grande metafora sulle "mostruosità" delle apparenze.
Il suo ritorno al registro drammatico ha le note soprannaturali di La casa degli spiriti (1993) di Bille August, dove circondata da un cast di prim'ordine (accanto a lei Jeremy Irons, Winona Ryder, Glenn Close, Antonio Banderas) è Clara, sensitiva madre di Winona Ryder e perno intorno a cui ruota la vicenda di una famiglia aristocratica cilena negli anni '30 fra passioni e rivoluzioni. A dispetto dei critici, molto severi con il film, Meryl sfodera di nuovo una grande prova d'intensità e dolcezza che la vede spesso silenziosa ma dominante presenza del film.
Una spiritualità che l'anno dopo va a contrapporsi alla performance fisica di Il fiume della paura (1994) di Curtis Hanson in cui nei panni della vogatrice Gail, dimostra anche notevoli doti atletiche che le permettono di affrontare rapide e correnti impetuose, in una destrezza che le permette di affrontare con disinvoltura anche ruoli di grande azione.
Ma dal 1995 Maryl Streep ritorna al primo amore e si rituffa nel dramma facendo spremere milioni di lacrime con lo straziante e nostalgico I ponti di Madison County (1995) di Clint Eastwood con cui riscopre l'amore e la passione sepolti dal tempo di una donna, Francesca, tratteggiata in una recitazione volutamente sotto tono, ma capace, in linea con l'intonazione dimessa della direzione e dell'interpretazione di Clint Eastwood di regalare, sia pur nella profonda lacerazione dei sentimenti, momenti di autentica poesia. Decima nomination.
E' la Meryl Streep più matura, che ricorda La mia Africa, capace di eccezionali livelli d'intensità, fatta di emozioni contenute, trattenute nel personaggio e sussurrate sommessamente, quasi silenziosamente allo spettatore. E' la Meryl di La stanza di Marvin (1996) di Jerry Zaks madre non perfetta di Leonardo DiCaprio, sorella cinica ed egoista di Diane Keaton, la Maryl del La voce dell'amore di Carl Franklin (undicesima nomination), quella di Ballando a Lughnasa (1998) di Pat O'Connor, nel ruolo di Kate, severa e irreprensibile capofamiglia nell'Irlanda degli anni '30 o in quella della violinista Roberta Guaspari, in La musica del cuore di Wes Craven insegnante disposta a tutto pur di portare la musica e un po' d'amore fra i giovani di Harlem, così come la sua interprete, per che per la parte si è sottoposta a due mesi si spartiti e lezioni di musica, facendo scattare la dodicesima nomination.
Ma il record di nomination arriva con Il ladro di orchidee-Adaptation di Spike Jonze e un nuovo ruolo ironico, brillante spassoso, quello della scrittrice Susan Orlean che il caso vuole sia stata una comparsa ne Il cacciatore proprio accanto all'attrice. Un ruolo che le ha già fruttato il Golden Globe come miglior attrice non protagonista e la tredicesima nomination, prova di un grande eclettismo e della volontà di rinnovarsi ancora una volta che presto la porterà nel mondo del circo, sul set di Flora Plum diretta da Jodie Foster accanto a Claire Danis ed Ewan McGregor.
In attesa di una nuova indimenticabile performance, di un nuovo "numero", di un nuovo record.
Ottavia
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