La recensione
Sono tanti i fili sottili che legano, al di là dello spazio e del tempo, tre giornate nella
vita di tre donne.
Virginia Woolf, nella campagna londinese dei primi anni Venti, tenta di tenere a bada i demoni
dei suoi disturbi psichici mentre in lei prende forma "Mrs Dalloway".
Laura Brown cerca disperatamente di non soccombere, soffocata dall'ordinarietà di una piatta
esistenza come madre e moglie, aggrappandosi alla lettura di "Mrs Dalloway" nella Los Angeles
degli anni Cinquanta.
Clarissa Vaughan, soprannominata "Signora Dalloway", sta organizzando con zelo meticoloso una
festa per il suo amico e primo amore Richard, celebre poeta e romanziere malato di AIDS, nella
New York del 2001.
Tre figure ideali nate dalla penna di Michael Cunningham, autore del romanzo omonimo vincitore
del premio Pulitzer. Eppure terribilmente terrene. Immerse nella quotidianità del loro mondo, ma
tormentate da disagi immateriali, o da paure impalpabili.
La messa in scena tratta con rispetto mistico i drammi interiori, lavorando in modo
straordinario sulle pagine dense di emozioni di Cunningham e trasformando quei mondi psicologici
in immagini vibranti e di bellezza eterea.
Lo sceneggiatore David Hare e il regista Stephen Daldry hanno svolto l'operazione senza mai
far percepire il peso dei rimandi, depurando la resa filmica da allusioni pedanti, e senza
deformare la storia, limitandosi semplicemente a rendere esplicite alcune tensioni psichiche,
hanno fatto scorrere i pensieri delle tre figure femminili in un flusso mirabilmente armonico.
Il risultato è stupefacente. The Hours è intenso, forte, vividissimo nella sua portata
drammatica, eppure orchestrato da una regia quasi invisibile. Daldry riempie di significati ogni
inquadratura, utilizza una disciplina ferrea che nega i flashback per costruire i fatti solo
attraverso le parole dei personaggi e crea una finissima rete di allusioni che saldano le tre
storie in un solido continuum atemporale.
Una frase di "Mrs Dalloway" è pensata da Virginia, letta da Laura e pronunciata da Clarissa.
I tre risvegli al mattino sono congrui e sincronici.
Le uova che rompe la domestica di Virginia rimandano a quelle che rompe Clarissa.
L'acqua che sommerge Laura nell'unico momento onirico del film è la stessa del fiume in cui si
getta Virginia.
I tre baci saffici si richiamano inevitabilmente.
Tre colonne sostengono The Hours. Meryl Streep (Clarissa), Julianne Moore (Laura) e Nicole
Kidman (Virginia).
Meryl Streep crea magistralmente una Clarissa presa a interrogarsi sul senso delle sue
relazioni, capace di raggomitolarsi in un angolo della cucina per piangere e di confessare alla
giovane figlia i suoi dubbi più grandi.
Julianne Moore, splendida, colma i silenzi di tensione e infelicità implosa, concendendo al
malessere di Laura lacrime silenziose, cogliendo l'essenza universale della sua tragedia umana in
sguardi indimenticabili. Memorabile l'unico, furtivo pianto soffocato in cui esplode, brevissimo
nella sua potenza, nei pochi passi che separano la casa della vicina cui affida il figlio e
la sua automobile.
Nicole Kidman conserva dietro il trucco pesante e il naso finto il suo piglio impavido, la
fierezza negli occhi mobili, quasi estranei al mondo, abbassando e spesso incrinando la voce
in un gioco che, purtroppo, il doppiaggio italiano renderà impossibile apprezzare.
E la ricchissima colonna sonora di Philip Glass unisce ancor più le storie fra loro, anzichè
separarle, smuovendo e trascinando le sensazioni attraverso l'uso di interi pezzi affidati al
pianoforte. Ribadendo, ancora una volta, che molto può accomunare le ore che scorrono e quelle
che devono ancora giungere.
La vita. La morte. L'amore.
Alessandro Bizzotto
(21/02/03)
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