IL SIGNORE DEGLI ANELLI - LA COMPAGNIA DELL'ANELLO
La recensione
Cate Blanchett è sempre magnifica, anche quando dà vita ad un personaggio di supporto. Nello spettacolo che Peter Jackson ha ricavato dal romanzo in trilogia di Tolkien, Il Signore degli Anelli, Cate appare poco più di quanto accadeva ne Il talento di Mr Ripley, ma grazia e splendore sono quelli di Elizabeth.
Chi (come me) si è accostato al film, tra sfegatati "tolkieniani" e fanatici dei kolossal fantastici, in primis per vederla, può restare amareggiato per lo spazio ridotto che ha avuto, ma non deluso. Cate Blanchett non delude; ma a farlo può essere Jackson, per la difficoltà che sembra incontrare nell'inserire nella vicenda di hobbit, elfi e uomini -e di un anello dall'oscuro potere- un poco di sentimento. Il regista giganteggia in tecnica, stordendo e stancando con le sue carrellate nelle viscere della terra e fra le torri maestose, e la sua mano sembra tesa a colpire l'occhio e nient'altro. Ed è difficilmente perdonabile il finale, tanto "aperto" da essere in sostanza inesistente, più vicino alla conclusione della puntata di un serial televisivo che a quello del primo episodio di una saga.
Certo, molte sequenze possiedono il sapore gotico di Creature del cielo, diversi mostriciattoli richiamano alla memoria i personaggi di fango che prendevano forma nelle menti di Kate Winslet e Melanie Lynskey; ma se lì la forza del racconto stava nella portata psicologica e drammatica dell'episodio (quell'anomalo disagio che Jackson comunicava grazie ad una tecnica narrativa puntigliosa e ardita), qui i fatti sono decisamente meno forti e meno complessi, e buttarsi sugli effetti visivi e su un Dolby roboante poco aiuta l'intreccio disimpegnato di Tolkien, pur accattivante. Tant'è che per i profani, non sensibili alla fascinazione esercitata da quell'universo fittizio, la prima mezz'ora, povera quanto a magniloquenza, scivola ripetutamente nel noioso.
E forse per questo Il Signore degli Anelli coinvolge solo via via che ci si addentra nel vivo della storia. Cosa amare, allora, di questo film che la New Line ha accompagnato per mano a un successo mondiale e a un soffio dall'Oscar per il miglior film? Soprattutto un senso dello spettacolo che non ha nulla della freddezza e del patriottismo di Spielberg, ma che si rivela pieno e poderoso. E il vedere che Jackson si arrischia in una rilettura personale di una saga così celebre (è stato regista horror, precedente di cui rimane traccia nei visi delle creature di Saruman) senza privilegiare una chiave di lettura sulle altre, forte della trascinante partitura di Howard Shore e dei colori della superba fotografia di Andrew Lesine (entrambi premiati con l'Oscar).
A emozionare pensa un cast strepitoso, guidato da Viggo Mortensen, davvero perfetto nel ruolo di Aragorn, e da Sean Bean in quello di Boromir. Anche se, alla fine, il podio è sempre suo, di Cate Blanchett. Hanno escogitato ingegnosi metodi per farla risplendere della luce eterna di Galadriel, ma è certo che avrebbe egualmente brillato anche senza le lampadine del backstage.
Alessandro Bizzotto
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