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Intervista - Il giorno più bello di Massimo Cappelli

Abbiamo incontrato il regista Massimo Cappelli, sul set del Teatro Rossetti di Trieste dove sotto un cielo stellato e sfolgorante sta prendendo forma il suo primo lungometraggio, “Il giorno più bello”, commedia sentimentale, sul giorno più atteso, odiato e organizzato della storia di una coppia: quello del fatidico “sì”, della lista di nozze, dei brindisi e dell’abito bianco. Un sogno per molte donne, un incubo per la maggior parte degli uomini. E se tra moglie e marito proverbio dice di non mettere il dito, Massimo Cappelli ci mette un film, spassoso e tragico allo stesso tempo, sulle paure, l’ansia e la sindrome che portano due ragazzi anticonformisti e alternativi, a dire “sì, lo voglio…forse”.

Come nasce l’idea di questo film?

Nata molto banalmente dalla partecipazione a numerosi matrimoni, tra cui il mio, quindi nasce anche da un’esperienza se vuoi personale. Quando partecipi a cerimonie del genere vedi tutto il rito e tra e te dici è assurda questa cosa non la farò mai…
Che tu sia sposo, invitato, testimone, o altro ti trovi un meccanismo alla fine è difficile sottrarsi a degli schemi già tracciati non da te ma dalla società, dalla famiglia da ciò che gli amici si aspettano. Partendo da queste considerazione il film vuole essere un po’ la metafora della difficoltà di essere se stessi e perseguire ciò che si vuole realmente. Nel senso che spesso mentre cerchi di perseguire quello che tu ritieni essere il tuo obiettivo il tuo scopo fatalmente finisci per fare ciò che gli altri si aspettano che tu faccia. Questo è vero in particolare e vale soprattutto per una delle istituzione della cultura occidentale più antica e più radicata, non solo italiana quindi, come il matrimonio.

Perché proprio il matrimonio?

Intorno a noi tutto cambia con una velocità impressionante ma c’è ancora gente che parla di bomboniere, di abito bianco, come se niente fosse cambiato...
L’ho utilizzato proprio perché è un archetipo, un vero e proprio “Totem”, più forte degli individui stessi e della loro volontà, "la convenzione" per eccellenza da cui è difficile sfuggire.

Non è certo la prima commedia sul matrimonio…

Di film sui matrimoni ne sono stati fatti un’infinità e ne faranno ancora però mi interessava più che descrivere Il giorno più bello, che in realtà nel film si vede pochissimo, l’avvicinamento a quel giorno, non tanto il matrimonio in se. In fase di sceneggiatura, ad esempio, c’era una parte molto divertente sulle cose assurde che ti accadono nel giorno del matrimonio però sarebbe stato un altro film…
Per cui ho dovuto tagliarle, pur con grande difficoltà, perché mi interessava di più vedere ciò che ti conduce a quel giorno, anche perché poi alla fine te l’aspetti che sia in quel modo, quindi era più interessante capire il percorso più che la meta…

E come ci si arriva?

Ci sei condotto attraverso una serie di elementi che si incardinano uno sull’altro, in una specie di escalation di situazioni che vanno dagli “invitati”, alla famigerata “lista di nozze”, alle “bomboniere”, agli “amici”…

I protagonisti si trovano a dover affrontare una situazione ingestibile, soprattutto per Lui. Sono ragazzi giovani. Apparentemente emancipati…

Il protagonista viene da una famiglia molto inquadrata, in Nina vede la donna alternativa, molto diversa, che riesce a tirargli fuori degli aspetti ciò che da solo non riusciva a trasmettere agli altri. Il problema è che quando stanno organizzando le nozze, lei si fa coinvolgere molto di più di lui in questo “tritatutto” dei preparativi, quindi Leo si sente un po’ tradito, come se Nina facesse un po’ il doppio gioco, ingannandolo, prendendo una strada completamente diversa da quella che si erano prospettati all’inizio salvo poi scoprire che in fondo poi non è così importante quello che gli altri pensano, e che anche questo desiderio di non essere come gli altri è a suo modo una consuetudine…
Poi ci sarà un colpo di coda finale, che ribalterà la situazione ma non voglio svelare niente di più…

La loro è più paura di crescere o di essere conformati?

Non è un fatto solo di maturità. Credo sia più la paura di essere come gli altri che caratterizza il protagonista.

Quindi tra di due quella che sembrava ultra emancipata e ultra alternativa si rivela la più tradizionalista…

Sicuramente. Lei lo è fino al midollo. Con il matrimonio le scatta dentro qualcosa, le viene una vera e propria “sindrome di Cenerentola”…

Come hai cercato di rendere la situazione kafkiana in cui lentamente si trova a precipitare il protagonista?

In realtà questi passi che ti portano ad un matrimonio tradizionale sono talmente scontati e palesi che alla fine non li vedi nemmeno. Quindi ad esempio all’interno del film, appaiono come delle scritte come un titolo di giornale, una proiezione a teatro, un cartellone pubblicitario, che il protagonista non vede, perché normalmente in queste circostanze sei talmente dentro le cose da non rendertene conto. Un piccolo “escamotage” utilizzato per introdurre mano a mano i vari capitoli che, senza che te ne accorgi, ti portano a sposarti come tradizione vuole…

Il soggetto e la sceneggiatura sono opera tua, quindi lo sguardo è prevalentemente maschile…

Molto maschile. Inizialmente era quasi misogino…
Poi è subentrata una sceneggiatrice, Chiara Laudani, che ha dato un printing femminile necessario e molto utile. E’ comunque uno sguardo molto maschile, quello del film, con la voce narrante del protagonista che descrive il punto di vista di LUI. Ma Chiara ha dato un risvolto più giusto al personaggio femminile. Il suo contributo è stato importante perché l’ha completato, prima era un po’sbilanciato…

“Il giorno più bello” è una commedia vera e propria…

In realtà è un film tragicissimo! Perché la difficoltà di non essere se stessi è una scoperta che ti e annichilisce. Ma il “messaggio” immagino che debba sempre passare attraverso un modo di esprimersi più gradevole possibile. La commedia ti consente questo…

Ci sono dei riferimenti alla tradizione italiana dei vari Risi, Monicelli o guarda più alla commedia americana, nella sua forma più classica o negli ultimi originali contributi (“La donne perfetta”, “Se mi lasci ti cancello”)?

A me piacerebbe trovare una strada di mezzo. L’idea era quella di provare a cercare quella strada che soddisfacesse il mio senso di costruzione di situazioni anche comiche con “gag” a volte quasi fisiche ma inserite in contesti estremamente drammatici. Ci sono dialoghi tra i protagonisti di alta intensità emotiva che potrebbero essere presi di pari passo da un film drammatico che però sono contestualizzati in una situazione decisamente comica, che sdrammatizza il tutto. Per inclinazione personale poi tendo a vedere sempre il lato divertente, comico anche nelle situazioni più drammatiche quindi questo mi ha portato inevitabilmente a concepire il film in questo senso.

Come è avvenuta la scelta degli interpreti?

Ho la fortuna di avere un cast eterogeneo di cui sono molto contento. Il film è un “basso budget” anche se stiamo cercando di rendere al massimo i pochi soldi che abbiamo e questo spero si vedrà nelle location nella ricchezza apparente del film per la quale dobbiamo ringraziare la produzione del film piccolo ma molto motivata. Gli attori hanno visto i miei lavori precedenti, i miei corti, sono stati entusiasti della sceneggiatura, quindi hanno accettato quasi tutti di buon grado di farsi coinvolgere.

Prossimi progetti?

Già un primo film è un’impresa bestiale. Sono cinque anni che sto portando avanti questo progetto quindi averne fatto già uno è un’enorme soddisfazione poi quello che verrà si vedrà…


Mentre ci salutiamo, veniamo distratti da un cane di attore, come lo definisce il regista, ma è solo la fedele compagna dello scenografo che, appollaiata ai lati del set, sotto un cielo stellato e turchino, attende come noi paziente e curiosa, il prossimo ciak.

Ottavia Da Re

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