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Stefano Dionisi, un principe a Venezia

Esclusivo: Quelliche...ilcinema intervista Stefano Dionisi sul set di Antonio Vivaldi - Un prince à Venise dove l'interprete di Farinelli - voce regina ritorna fra le note e i panni settecenteschi che lo resero celebre per far rivivere la vita e la passione di un altro genio della musica, l'indimenticabile "Prete rosso"...


Quando arriviamo alla Chiesa della Pietà dove si sta girando Antonio Vivaldi – Un prince à Venise Stefano Dionisi è seduto sui freddi scalini di marmo a godersi un timido sole in attesa che il regista lo chiami sul set. Nemmeno lo vediamo in mezzo a tutto il via vai di persone che entrano ed escono dal portone blindato della chiesa. Gli piace mescolarsi nella caotica atmosfera del set e starsene tranquillo lontano dalla ribalta. Ma quando l’ufficio stampa lo chiama lui non ci pensa due volte e butta la sigaretta appena accesa per correre nei camerini a indossare il costume che lo calerà negli umili panni di un giovane prete con una grande passione per la musica, non ancora “rosso”, non ancora imparruccato, ma già totalmente Vivaldi.
Quando arriva si trascina un lungo mantello nero e la solita provocante, spudorata, regalità che si porta dietro dagli esordi quando schiaffeggiò il mondo con il suo castrato dalla voce suadente. E lo sguardo serissimo, tante volte visto sullo schermo diventa appena ci vede un sorriso cordiale dimostrando un’informalità che non ti aspetti.
“Allora cominciamo?” Esordisce entusiasta e subito si riposiziona sul marmo gelido che fa da cornice a quest’insolita chiacchierata in Riva degli Schiavoni, incurante degli sguardi curiosi dei passanti intenti a scrutare quello strano personaggio vestito da umile prete del settecento che intrattiene, con l’inseparabile sigaretta e un’inedita loquacità, fotografi, addetti ai lavori, fans che arrivano dalla Svezia per vedere in carne ed ossa il volto che fece regina la voce di Farinelli.
Così, intabarrato e scapigliato inizia a parlare amabilmente, senza filtri e senza tante inutili formalità. Eccolo il giovane Antonio Vivaldi. Senza maschere, parrucconi e i crinolini, in un concentrato carismatico di intensità e sguardi curiosi raggomitolato sui gradini di una chiesa a farsi ascoltare e ad ascoltarci…


A 11 anni da Farinelli – voce regina ti ritroviamo di nuovo nel ‘700, nel mondo della musica classica, nel ruolo di un grande genio, come Vivaldi. Cosa significa interpretare un personaggio così carismatico?
Farinelli è stata la prima vera occasione che ho avuto di interpretare con un personaggio importante e così determinante per la musica del ‘700. Un protagonista assoluto. Però è vero anche che i castrati all’epoca non erano molto amati. Spesso venivano criticati. Ciò che mi è rimasto dentro di quel personaggio è soprattutto la musica. Che è ciò che ritrovo ora in Vivaldi. Anche se non è la prima volta che interpreto un compositore. Nel film tedesco Gloomy Sunday di Rolf Shubel ero il famoso pianista autore della struggente canzone che dà il titolo al film.


Personaggi legati alla musica e moltissimi personaggi in costume. Da L’arcano incantatore di Pupi Avati a Les enfants du siècle girato qui a Venezia, fino ai manzoniani Don Rodrigo dei Promessi sposi televisivi della Archibugi e Paolo Osio in Virginia, la monaca di Monza. Ti senti più tuo agio in altre epoche e altre realtà…
Perché nei film in costume non dobbiamo far riferimento alla realtà. Ceri personaggi storici, romanzeschi possono anche essere eccessivi, estremi ma, proprio per questo, molto interessanti per il lavoro di un interprete. L’importante è non farli diventare ridicoli. E’ un rischio in cui è facile cadere con personaggi estremi come ad esempio Farinelli o Vivaldi. Questo eccesso nel loro essere, nel caso di Vivaldi, la genialità, fa sì che la recitazione diventi un elemento creativo e stimolante… un insieme di note formate dalla voce, dalla gestualità, dalle espressioni di un attore. Se si riescono ad accordare tutte queste note possiamo dar vita da una sinfonia interpretativa. Per questo amo molto i film in cui la musica è protagonista…


La maschera, il travestimento, sono componenti fondamentali di Vivaldi e dell’epoca barocca in cui visse il grande musicista. Lo stesso “Prete rosso” usava l’abito sacerdotale come una maschera per ottenere rispetto e avere la libertà di dedicarsi alla musica. Così come la sua malattia psicosomatica diventava un modo per sottrarsi a certe resposanbilità. Come hai costruito il personaggio alla luce di questo “artificio” di fondo?
Personalmente non ho messo niente nel personaggio che gli conferisca ambiguità. Vivaldi non è Farinelli che poteva sedurre e ingannare chiunque, uomini, donne. Un ruolo che allora ho voluto fortemente ambiguo, trasgressivo…era la forza di quel personaggio caratterizzato da una grande e trasgressiva carica sessuale. Vivaldi no, non è un personaggio ambiguo. La sua più che una vocazione religiosa era un “mestiere”. La sua vera vocazione era la musica, e la bauta, i travestimenti, la farsa, diventavano un modo per preservare se stesso e liberare, al contempo, il suo genio.


Finzione nella finzione, quindi. Per un attore significa compiere un doppio processo di immedesimazione. Non è come indossare due volte una maschera?
Anche in italiano, quando facciamo una doppia negazione non affermiamo un concetto positivo?
(Tuché…)
E poi l’artificio, la possibilità di poter usare mille volti, consente una maggiore libertà di espressione. E’ sicuramente più facile che interpretare un personaggio moderno.


Sei già stato a Venezia per Les Enfants du siécle in cui seducevi la scrittrice Juliette Binoche/George Sand. Cosa ti ha sedotto invece di questa città?
Dal punto di vista cinematografico è un set straordinario, unico. E’ una scenografia naturale con una luce magnifica e impossibile da ricreare altrove. Personalmente la trovo molto rilassante, un antidepressivo fortissimo...


C’è chi invece la trova decadente e malinconica…
Al contrario…Quando finisco di lavorare mi trovo spesso a passeggiare fra le sue calli e le sensazioni che provo sono di grande serenità. E’ un po’ la sensazione che mi dà Roma, anche se Venezia rimane unica nella sua particolarità. Forse è solo l’emozione che si prova ad attraversare due città eterne, in cui spesso spazio e tempo sembrano fermarsi.


Ma il cinema ti ha portato a lavorare spesso all’estero: una scelta voluta o obbligata dalla crisi di un cinema italiano incapace di dare ruoli interessanti ai propri interpreti?
Beh, in Italia ormai si fa soprattutto televisione, fiction. Nel caso di Vivaldi ho trovato un ruolo importante sulla figura di un compositore incredibilmente trascurata dal cinema sicuramente più interessante di molte occasioni televisive, anche importanti, a cui ho rinunciato senza remore. Quello dell’attore è un mestiere fortunato, perché ti permette di fare delle scelte. Ma non faccio sogni inutili. Né cerco la popolarità a tutti i costi. Tengo duro. Tutto qui…
Se devo diventare famoso facendo R.I.S., preferisco starmene a casa, leggere un buon libro, godermi la mia vita, i mie affetti.


Che rapporto hai con la televisione?
Non ho un rapporto conflittuale con la tv. Guardo quello che mi interessa. Non perdo una puntata di Report, guardo il Tg3. La critico quando non mi piace. Certo, ho la fortuna di poter cambiare canale…
In realtà non concepisco la televisione di mero intrattenimento. La tv dovrebbe comunicare, documentare le persone che la guardano e se deve intrattenere deve cercare di non produrre un intrattenimento stereotipato, convenzionale. E’ un mezzo così forte, così potente che non assolutamente può prescindere da certi doveri.


Credi nella funzione didattica di quei film televisivi che prendono le mosse dai grandi sceneggiati storico-romanzeschi degli anni ’60?
Certo, personalmente ho cercato spesso progetti che tenessero in considerazione questo aspetto, girando film storici e rifacendo classici come Manzoni con Francesca Archibugi (Renzo e Lucia) e Alberto Sironi (Virginia, la monaca di Monza) , cercando comunque di fare delle scelte oculate. Però ho avuto la fortuna di lavorare con degli amici, registi con cui ho lavorato anche nel cinema, come la stessa Archibugi (L’albero delle pere), e che possono dare molto anche alla tv, sia in termini di qualità che di spessore.


Ti vedremo ancora sul piccolo schermo?
Prossimamente dovrebbe andare in onda Lucia, un film di Pasquale Pozzessere (con cui ha già lavorato in Verso Sud nel ‘92, La vita che verrà nel ’99, Padre e figlio nel ’94, La porta delle sette stelle, nel 2004 ndr), che ho girato accanto a Sabrina Ferilli e che fa parte della trilogia televisiva “Tre storie di donne” (su Rai 1 nella prossima stagione ndr) in cui interpreto un altro personaggio romantico.


Tornando al cinema, in questi giorni esce nelle sale Raul – Diritto di uccidere in cui incarni un personaggio molto conflittuale…
Una film molto interessante, opera prima di Andrea Bolognini. Dietro c’è il lavoro di una grandissima sceneggiatrice come Suso Cecchi d’Amico che ha avuto l’idea geniale di trasporre il romanzo (Delitto e castigo di Dostoevskij ndr) in epoca fascista, in un periodo di paradossi enormi. Il personaggio si muove quindi in un epoca moderna pur rispecchiando i grandi conflitti del romanzo. E’ la storia di un giovane che portando avanti una folle teoria sul superuomo crede di poter teorizzare ed esercitare il suo diritto di uccidere. Un ruolo molto bello da interpretare, perché attraversa varie fasi, dalla la follia, al pentimento, fino al senso di colpa…E poi c’è un bellissimo messaggio d’amore finale affidato ad una voce off, a ricordare come l’amore resta, il terrore no.
Quando si parla di guerra è perché spesso ci si dimentica proprio dell’amore…


Dopo Raul e l’impegnativa prova in Vivaldi, ti attendono altre prove come protagonista?
Spero di tornare a lavorare con Leone Pompucci (dopo Le mille bolle blu nel ‘93) per un progetto cinematografico sulla prima guerra mondiale (La guerra sulle montagne ndr), ma il film è ancora in fase di scrittura. Vedremo…


Forse un ritorno in trincea, alle dolenti e sussurrate note de La tregua e de Il Partigiano Johnny, probabilmente la sua interpretazione più intensa, volutamente dimessa, fatta di sguardi acuti e profondi che raccontano molto più di quanto ci illudiamo di poter trascrivere in un sdrucito taccuino, sotto il grigio di un cielo carico di pioggia e di sensazioni appena evocate. Stefano Dionisi ci saluta grato, e se ne va, avvolto nel suo lungo mantello nero e nei suoi pensieri lontani, seguendo l’ombra di un compositore barocco che fece della musica la sua unica fede, dell’arte il suo credo più sincero, a modulare note, vibrazioni e sottili emozioni in un virtuosismo di silenziosa, lirica, umanità.



Ottavia Da Re


Per maggiori informazioni sul film:
Ufficio stampa a Venezia: Francesca di Montereale
Cell. 333 641 5246
e-mail dimontereale@iol.it

Foto Copyright © Ottavia Da Re, Barbara Zanon. Tutti i diritti sono riservati

(05/05/2005)


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