Parla il regista Michael Radford
Perché ha scelto Il mercante di Venezia?
In realtà quando mi è stato proposto dalla produzione ho detto di no. I film tratti da Shakespeare non mi hanno mai convinto del tutto, spesso la matrice teatrale è molto presente. Poi ho riflettuto e posto la mia condizione: accetto se troviamo l’attore giusto.
Al Pacino...
Un nome di richiamo è indispensabile se si vuole che la gente vada al cinema. Pacino è perfetto: ama il teatro e soprattutto Shakespeare, ha diretto e interpretato un film ispirato alla storia di Riccardo III.
Al Pacino è l’ebreo Shylock mentre Jeremy Irons interpreta Antonio, Il Mercante di Venezia: difficile immaginare due attori più appropriati per questi ruoli.
In prima battuta era stato convocato Ian Mc Kellen ma aveva altri impegni. Così ci siamo messi alla ricerca di un altro nome e alla fine abbiamo trovato Jeremy Irons. Grandissimo attore, non ho mai avuto dubbi sulla sua scelta. Siamo stati fortunati.
Ha introdotto delle modifiche rispetto al testo originale?
E’ difficile stabilire che cosa significhi tradire o essere fedele al testo. Non è possibile realizzare Il mercante di Venezia senza le battute di Shakespeare. Oltre trenta film sono stati tratti dalle sue opere. Alcune sono liberi adattamenti, come West Side Story. Zeffirelli invece ha raccontato la storia di Romeo e Giulietta e Orson Welles ha fatto lo stesso con Otello.
Però il ghetto che vediamo all’inizio del film non c’è in Shakespeare.
E’ vero, ho fatto una doppia operazione: ho lavorato per sottrazione e aggiunto alcune cose che nel testo non c’erano. Shakespeare entra nella storia a un certo punto, senza spiegare nulla. I suoi personaggi non hanno background, cosa di cui non possiamo fare a meno al cinema. I primi quindici minuti del film sono una mia invenzione.
Nella commedia ci sono due mondi, quello ideale e arcaico di Belmonte in cui vive Porzia e quello borghese di Venezia. Come li ha rappresentati e come ha affrontato il problema della messa in scena rispetto al testo?
Shakespeare usava un linguaggio molto ricco, quasi barocco, in contrapposizione alla povertà dei mezzi scenografici del tempo. Ho immaginato un Mercante non troppo distante dal suo, come epoca e rappresentazione. L’ho ambientato nella Venezia rinascimentale, molto ricca, decadente, oscura, anche promiscua. Contemporaneamente non volevo che Belmonte fosse un posto troppo fantastico: ho pensato a una villa palladiana, sul Brenta a un giorno da Venezia. Un misto della Malcontenta (interni) e di Villa Barbarigo (esterni) e ho ricostruito al computer i paesaggi che non esistono più.
Il mercante di Venezia contiene un famoso monologo scespiriano in cui Shylock si fa portavoce della millenaria persecuzione contro gli ebrei. Ha studiato un’attualizzazione dei versi?
L’ho lasciato praticamente intatto. Gli ebrei di allora non sono molto diversi dai musulmani di oggi. Due società che non si capiscono. Shylock e la sua gente hanno gli stessi problemi degli immigrati: cercano di preservare la propria identità e cultura in una città straniera. Shylock, non a caso, impazzisce quando scopre che la figlia vuole sposare un veneziano, bello e cristiano.
La sconfitta di Shylock è doppia: dal processo esce povero e convertito. Non crede che letto in chiave contemporanea possa essere interpretato come un segnale di intolleranza?
Assolutamente no. Shylock è stato umiliato ma spinto dalla vendetta è andato troppo lontano. E’ preso da quello che noi inglesi, quando guidiamo la macchina, chiamiamo “la rabbia della strada”. Vuole uccidere. Anche gli altri hanno virtù e debolezze. Antonio è un uomo generoso ma odia gli ebrei. E’ onesto o disonesto? Lo stesso vale per Bassanio. E’ questo il sottotesto della storia: siamo tutti uguali.
Il film che mi è venuto in mente, con grande riverenza, è Nashville di Robert Altman, in cui i personaggi non sono né buoni né cattivi. Nella vita, a volte, siamo portati ad andare oltre, a fare cose che non faremmo. I veneziani dell’epoca non erano antisemiti, erano i francescani che ce l’avevano con gli ebrei perché praticavano l’usura, li chiamavano i figli del diavolo e i poveri ci credevano.
Oltre a Venezia il film è stato girato in gran parte in Lussemburgo. Quanto sono durate le riprese?
Otto settimane, quattro a Venezia e quattro in Lussemburgo. In Lussemburgo ho ricostruito soprattutto gli interni, l’aula in cui si svolge il processo e il ghetto.
(Intervista tratta dal press book ufficiale de Il Mercante di Venezia - Per gentile concessione dell'Isituto Luce).
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