Paths of Ballet - Volume 3

Tre ballerini, tre solisti e due prime ballerine. Non è il cast del prossimo appuntamento della stagione di balletto del Teatro alla Scala di Milano. È il bilancio delle interviste presentate nei Volumi 1 e 2 di Paths of Ballet, il reportage sulla danza italiana che gli artisti del Corpo di Ballo scaligero hanno permesso di realizzare, trovando il tempo per raccontarsi in dodici incontri seguiti all'uscita sugli schermi italiani di The Company di Robert Altman.
In questo terzo Volume, le quattro interviste conclusive ai danzatori della Fondazione milanese. Apertura con il primo ballerino Mick Zeni, per passare all'intervento del ballerino Andrea Boi e arrivare a quello di un'altra prima ballerina, Sabrina Brazzo. Per il gran finale di Paths of Ballet, invece, abbiamo pensato di ospitare in chiusura del Volume 3 le dichiarazioni di un primo ballerino étoile: Roberto Bolle.


MICK ZENI, PRIMO BALLERINO
"ESPERIENZA E MATURITÀ PER ESSERE COSTANTI"


A dispetto della recente nomina a primo ballerino, Mick Zeni non ostenta sicurezza. Sembra aver ereditato un tratto da tutte le figure che ha interpretato: Oberon, Romeo, Des Grieux, Basilio. Ma, di persona, la verve che sa portare in scena lascia il posto ad un atteggiamento inaspettatamente pacato e ad una seria compostezza.

Sei stato recentemente nominato primo ballerino dopo una stagione molto intensa, che ti ha visto nel Sogno di una notte di mezza estate, nel Pipistrello, poi guest al Maggio fiorentino per lo Schiaccianoci… dev'esserci grande soddisfazione…
Certo. È da circa un paio d'anni che faccio ruoli da primo ballerino, e ho avuto l'opportunità di essere notato. Il tutto è dovuto in parte alla fortuna, in parte al nostro direttore che mi ha dato la possibilità di ballare.

Come lavori per preparare ruoli così diversi? Hai qualche segreto, anche come attore?
Investo parti della mia esperienza, le mie emozioni. Il ricordo dei momenti vissuti, unito alla musica, mi aiuta a tirar fuori molto, soprattutto nei passi a due romantici o tragici. In Romeo e Giulietta, ad esempio, è stato facile identificarsi nel personaggio: piangere quando era necessario, essere tristi. La musica ti trascina, e ti permette di vivere la storia della figura che interpreti. In quel caso sono riuscito a fare un parallelismo con la mia vita privata… e mi sono trovato a non essere solo un attore, ma anche me stesso.

Un'atmosfera più rilassata, come può essere quella dell'ultima rappresentazione in cui vi fate scherzi in scena, ti aiuta, magari sciogliendo un po' di tensione?
Le ultime rappresentazioni sono quelle più rodate: ci si sente più sicuri. Per questo c'è la voglia di accordarsi per qualche cambiamento. Gli scherzi sono ormai un rito… è però indispensabile che il pubblico non se ne accorga. Ed è divertente: determinati cambiamenti richiedono anche grande concentrazione. A livello tecnico, si può aggiungere un passo, o eseguirlo con maggiore virtuosismo… si rischia anche di più. La tensione c'è comunque a priori, può derivare dal fatto di essere a una prima, o dalla difficoltà di una variazione o di un passo a due che dovrai eseguire. È normale essere tesi davanti al pubblico. L'emozione cresce soprattutto quando quello che dovrai fare è particolarmente difficile per te, per le tue capacità. Si tende ad essere pessimisti, a volte, anche se i risultati non sono quasi mai tragici… le prove sono tantissime. Se si presentano grosse difficoltà, può anche capitare di decidere in accordo con il direttore di non rischiare e non andare in scena, per quella sera o quello spettacolo; ma fino a ora non mi è mai capitato di dover ricorrere a questa decisione drastica.

Puoi dirci quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato, a livello personale, nel tuo percorso artistico?
Ci sono stati molti momenti difficili. I cambiamenti del direttore, ad esempio… a qualcuno piaci di più, a qualcun altro di meno. Il giudizio artistico è sempre soggettivo. È un po' frustrante; la posizione di primo ballerino facilita, ma prima di arrivarci c'è sempre l'incognita: potresti esser messo da parte in occasione di ogni produzione. Questa è stata anche la mia esperienza. Un altro grosso problema sono gli infortuni. Si è tagliati fuori per mesi, e quando si rientra ci si trova a dover ricominciare da capo, dopo tutto il tempo perduto; anche qui, essere primo ballerino comporta un trattamento un po' più riguardoso, ma l'ambiente rimane molto competitivo. Tu ti fermi, un altro va avanti. Fin dalla scuola a tutto questo si fa l'abitudine; siamo preparati. Per riuscire, e per essere sereni, sono indispensabili le capacità. Ma ci vuole anche fortuna!

Anche la cura del fisico è quindi un aspetto particolarmente importante per voi…
È importantissimo. Devi sempre sapere quando non è il caso di superare un certo limite, ogni giorno. Non siamo delle macchine: ci sono sempre i giorni in cui si fa più fatica. I maîtres e il direttore cercano sempre di spronarti a dare il cento per cento; ma tu come persona devi sentire come il tuo corpo reagisce, quanto riesci a controllarlo. È molto difficile; è questione di esperienza e maturità artistica. L'aspetto più difficile, però, è un altro, ed è di nuovo legato alla maturità personale. Si finisce una recita di successo, tutto è andato bene, gli applausi sono calorosi, le critiche positive… sembra di toccare il cielo con un dito. Ma il giorno dopo tutto va messo da parte, e ci si rimette alla sbarra con grande umiltà. Non è per niente facile; la costanza richiede grande esperienza. Se manca, si diventa altalenanti. Occorre saper dare il massimo in tutti i balletti, anche in quelli che piacciono di meno, che si sentono meno. Ogni mattina, che tu sia distrutto o euforico, devi venire qui, in sala prove, e affrontare tutte le difficoltà che la professione comporta. In questo, si impara sempre dai più grandi: loro hanno più stimoli, certo, ma trovano sempre nuova motivazione per andare avanti, balletto dopo balletto.

Hai colleghi, all'interno della compagnia, con cui il rapporto è particolarmente affiatato?
Ad alcuni colleghi sono più legato; usciamo insieme anche fuori dal lavoro. Con alcune partner ho lavorato parecchio, si è creato un buon feeling. Con nessuna delle prime ballerine della compagnia ho mai avuto grandi problemi, anche se preferisco ballare alcuni ruoli con qualcuna, altri con un'altra. Mi ha fatto sorridere la scena di The Company in cui un ballerino va dal direttore e gli dice che non può ballare con una partner per via di problemi privati: è un classico. Ma è necessario crescere e saper tener staccati vita privata e lavoro.

Quali sono a tuo parere le differenze principali fra la realtà della danza italiana e quella straniera? C'è davvero più amore per il balletto all'estero?
Non ho mai lavorato all'interno di compagnie straniere. Sono stato più volte spettatore fuori dall'Italia, e trovo che molte delle grandi compagnie abbiano i nostri stessi problemi. Parlando d'amore per il balletto da parte del pubblico, invece, devo ammetterlo: all'estero ce n'è di più. Sarebbe in ogni caso scorretto sostenere che noi prendiamo il nostro lavoro con meno serietà rispetto ai ballerini stranieri; non abbiamo niente da invidiare a nessuno in materia, ad eccezione del fatto che alcune compagnie hanno più talenti, più persone dotate dal punto di vista tecnico e artistico. Sembra che vivano meglio gli spettacoli, in realtà sono solo più talentuosi. La vera, grande differenza è appunto il pubblico. Ho ballato a New York, e lì sembrava di essere in uno stadio: il pubblico è abituato ad andare a teatro, ci va come noi andiamo al cinema, ed è sensibile alla storia del balletto. Mentre a volte, in Italia, ho la sensazione che il pubblico non capisca a fondo quanto sta vedendo. All'estero, ad esempio, nei momenti ironici la platea scoppia a ridere come farebbe al cinema; e senza andare troppo lontano: in Germania, a Mosca, a Parigi. I pubblici più calorosi che ho incontrato sono stati quelli russo e americano: erano straordinariamente partecipi. Un entusiasmo come il loro aiuta a prendere maggiore coscienza di se stessi, ad acquisire maggior forza, e di conseguenza a ballare meglio.


ANDREA BOI, BALLERINO
"TROVARE UN'ALTRA FACCIA DI SÉ STESSI"


La platea non lo inibisce, cerca il personaggio andando oltre la recitazione, si entusiasma davanti a grandi ospiti. Andrea Boi ha ascoltato le nostre domande con spirito critico e attento, e ha risposto senza categorizzazioni facili, per spiegarci come molti aspetti della danza possiedano carattere profondamente soggettivo e la medaglia, spesso, abbia ben più di una faccia.

La platea può avere un ruolo attivo e condizionarvi, quando siete in scena?
Certo. Il nostro lavoro non è direttamente proporzionale alla risposta del pubblico, ma il contributo di quest'ultimo è fondamentale. L'applauso al termine di una variazione è sempre un grande stimolo. Parlando globalmente, entrambe le parti contribuiscono a dar forma allo spettacolo: il pubblico con il calore e noi sulla scena. Sarebbe sbagliato dire che l'applauso dà maggiore motivazione; questa esiste a priori. Ma in un momento di grande fatica, di quelli che si possono trovare ad esempio in Troy Game, un balletto che richiede un notevole sforzo fisico, l'intervento di un pubblico che sembra capire il nostro sforzo e interviene nei momenti più difficili ci aiuta a tirar fuori nuove energie, le energie dei nervi più che dei muscoli. In un balletto classico esistono invece determinati momenti riservati, per convenzione, all'applauso. Quando questo applauso non scatta, noi lo notiamo… notiamo una certa freddezza nel pubblico.

C'è anche tensione?
La cosa è soggettiva, in questo caso. Io non sono inibito dalla platea, la sua presenza mi è di stimolo. Si rischia di strafare quando l'emozione cresce troppo…

Un rapporto di simpatia che preesista l'esibizione di scena è utile?
Sì. Può comunque capitare di far coppia con una collega che conosci da dieci anni, ma non hai mai frequentato. In quel caso c'è meno feeling rispetto a quello che può esistere con un'altra persona di cui sei amico… Il feeling comunque arriva. Il lavoro delle prove serve anche a questo: quando ti immedesimi nelle storie dei personaggi, un feeling autentico nasce sempre. Tutto fa parte della ricerca del ruolo. Sarebbe difficile ballare con una partner con la quale non si sia riusciti a trovare questa sintonia. Quello di cui parliamo riguarda soprattutto i passi a due, in cui c'è vero contatto. Se in scena siamo ventiquattro tutti in fila, le cose cambiano un po'.

Hai metodi personali per creare un personaggio, dal punto di vista della recitazione?
Non credo che, quando si danza, si reciti un ruolo. Non serve solamente capire il personaggio e comportarsi di conseguenza. Penso che il discorso sia diverso. Se un balletto si ispira ad un romanzo, ad esempio, può essere utile leggersi la storia, ma poi occorre trovare personalmente il personaggio. Se per far questo esiste un metodo collaudato… beh, ditemelo subito! Alla fine, penso che ognuno abbia un suo metodo…

Molti parlano di concentrazione su esperienze personali, senza cercare il personaggio all'esterno…
Su questo sono assolutamente d'accordo. L'associazione con esperienze personali… che magari non sono identiche a quelle del personaggio, ma aiutano a trovarlo. Eppure non è esattamente recitazione. È un po' trovare un'altra faccia di sé stesso.

Quale effetto ha l'arrivo di grandi artisti ospiti?
Porta entusiasmo e prestigio. Significa avere in squadra un fuoriclasse. Può essere estremamente importante per i giovani talenti, ma anche limitante per quelli già affermati, quelli interni. Penso sia davvero difficile trovare il giusto equilibrio…


SABRINA BRAZZO, PRIMA BALLERINA
"NON FINGO: PORTO IN SCENA I MIEI SENTIMENTI"


I capelli scuri raccolti dietro la nuca, Sabrina Brazzo arriva direttamente dalla sala prove indossando un tutu giallo e nero. Mi studia, ascolta, fa qualche domanda di rito. Ma quando il ghiaccio è rotto, la conversazione decolla. La prima ballerina, che ha alle spalle quasi tutti i ruoli femminili più significativi del repertorio e non solo, mostra un'indole allegra e solare.

Per iniziare, puoi raccontarci brevemente come sei arrivata al ruolo di prima ballerina qui al Teatro alla Scala?
Ho fatto una lunga gavetta! A diciassette anni sono entrata in compagnia, e dopo qualche anno sono arrivati i primi ruoli importanti. Per due anni, poi, mi sono trasferita in Germania. Al mio ritorno sono stata nominata solista… e alla fine è arrivata la promozione a prima ballerina! È stato fantastico… un vero sogno! La sera in cui ho ricevuto la notizia avevo interpretato la Giselle di Sylvie Guillem, che mi aveva scelta per la parte della protagonista. E alla fine dello spettacolo sono venuti da me Sylvie, il direttore Olivieri e il sovrintendente, e mi hanno comunicato che da quella sera ero prima ballerina! Non me l'aspettavo assolutamente… è stato come vincere l'Oscar!

E quali sono state le difficoltà più grandi che hai incontrato nel tuo percorso artistico?
Innanzitutto i vari infortuni. Quando lavoravo in Germania mi sono rotta un piede; la rottura era scomposta ed è stato necessario operare; c'era il rischio che non potessi più tornare a ballare. Le brutte esperienze personali, poi, hanno avuto il loro peso… Ma l'amore per la danza mi ha sempre aiutata; ha saputo rendermi più sensibile, anche dopo i dolori più grandi. E ho cercato di sfruttare le mie esperienze per portare i miei sentimenti in scena. Le difficoltà nella vita privata influenzano sempre; non è facile interpretare, in scena, un personaggio comico o ironico se sei particolarmente triste. I momenti più difficili, per me, sono sempre stati legati al mio privato. Anche perché, in scena, do davvero tutta me stessa, metto tutto quello che sento in un'interpretazione: sono sempre io sul palco, non una macchina che esegue dei passi. Vivo il mio personaggio ad ogni rappresentazione.

Quindi sei d'accordo con chi sostiene che l'artista di palcoscenico mette se stesso in gioco, durante la rappresentazione?
Confermo, senz'altro! Il personaggio che porto in scena è creato da me. Sento (e questa è una sensazione che va oltre la semplice consapevolezza) quando sparano al mio innamorato, ad esempio… lo sento. E piango. Non fingo: sto male davvero. Il peso psicologico c'è sempre.

Fiducia e feeling con il partner sono sempre necessari?
Aiutano senz'altro! È sempre necessario essere ben disposti nei confronti della persona con cui si balla, altrimenti interagire diventa difficile; si diventa un problema l'uno per l'altra. Con alcuni partner ci si trova meglio, con altri meno bene… ma non ho mai avuto problemi di questo genere. Tutti i primi ballerini della nostra compagnia sono davvero molto bravi.

Accanto agli screzi che Altman ha presentato in The Company, si sono formate nella vostra compagnia amicizie particolari?
Certo, l'amicizia con alcuni colleghi è nata. Poi i caratteri sono sempre diversi… C'è chi è più aggressiva, c'è chi è più delicata e morbida. In un gruppo nascono per questo anche le antipatie. L'ambiente è competitivo… e non è bello vedere persone che vorrebbero scavalcarne altre in ogni momento. Anche se queste rivalità lasciano il tempo che trovano: chi è bravo balla comunque.

C'è stato qualche particolare incidente dell'ultimo minuto che ti sei trovata a dover gestire?
Ce ne sono parecchi! Se devo raccontarne uno… mi viene in mente un episodio che risale a circa tra anni fa. Interpretavo Giselle, alternandomi nelle diverse serate a Sylvie Guillem. La notte precedente la prima rappresentazione, che per fortuna doveva essere interpretata da Sylvie, ho avuto un calcolo renale…! Sono stata malissimo, finendo anche al pronto soccorso. Il giorno dopo ero praticamente morta, ma per fortuna avevo davanti un giorno per riprendermi, prima di dover ballare. Così la sera sono entrata in camerino tranquilla, e mi sono sottoposta alle cure della nostra massaggiatrice, che cercava di togliermi di dosso la tensione. Ma… è finito il primo atto, è arrivata la direzione e mi ha detto: - Sabrina, vestiti: devi fare il secondo atto -. Sylvie Guillem si era fatta male…! Io non ho detto niente. Mi sono vestita senza proferire parola. Mi sono pettinata, velocissima, nel silenzio. Tutti erano tesi quanto me… sapevano che stavo male; ero fredda, gelida. E poi il secondo atto di Giselle… non è certo una passeggiata! In più dovevo ballare con un altro partner, Massimo Murru, anche se avevamo già danzato insieme in precedenza. Quando sono stata pronta ad entrare in scena, il silenzio non era ancora stato rotto. Mi si è avvicinato un signore della direzione e mi ha chiesto: - Hai bisogno di qualcosa? -. E io ho risposto: - Un caffè -. Ero già vestita, tutta di bianco… e mi hanno portato questo caffè! Ed è diventato famoso: la storia del caffè è ormai nota fra di noi!

Ed è andata bene, alla fine?
È andata bene, sì. Anche le critiche sono state positive. Ed era proprio la prima rappresentazione! Devi comunque sapere che, il giorno dopo, una recensione mi definiva troppo tecnica…!

Ma tu stavi malissimo…!
Infatti! Prima di entrare in scena temevo mi sarei ammazzata! Ero molle, faticavo a stare in piedi… e ho pensato: - Darò tutto nell'interpretazione, perché fisicamente sono a pezzi… -. E invece hanno scritto che avevo troppa tecnica. Se lo dicono loro…!

Ci sono stati ruoli cui ti sei affezionata più che ad altri?
Ci sono parecchi ruoli. Ovviamente, quando i maestri che montano i balletti sanno dare davvero tanto, già in sala… io mi innamoro subito del ruolo! La bella addormentata di Rudolf Nureyev è proprio uno dei miei preferiti! È pesante, indubbiamente, pesantissimo! Ma è una sfida con me stessa, con il fisico. E amo molto anche il ruolo femminile del Don Chisciotte. Molti mi trovano comunque più adatta alla danza non classica in generale.

Sei d'accordo?
Sono molto gelosa del repertorio classico. Ma amo moltissimo il moderno. A breve metteremo in scena La sagra della primavera e The Cage per la Serata Stravinskij [dal 18 maggio al Teatro degli Arcimboldi, ndr]… e, di solito, con me i maîtres lavorano parecchio su questi balletti. Ma non riesco a fare solo moderno: il classico mi manca, davvero.

Il tuo pubblico ti condiziona di solito?
Mi è capitato di percepire la freddezza o il calore del pubblico. Ma credo sia successo quando non ero abbastanza concentrata, immedesimata nel ruolo. Quando mi rendo conto che il pubblico è più caloroso del solito, capisco di non essere abbastanza concentrata. E cerco di mettere un velo fra me e la platea.

Hai progetti e impegni futuri di cui puoi parlarci?
Dopo il Lago dei cigni sarò impegnata sia con The Cage che con La sagra della primavera… tutta danza moderna! Credo sia abbastanza per adesso. Per un mese ho alternato danza classica e moderna. Provavo Il lago dei cigni in una sala, poi mi cambiavo e passavo in un'altra sala per la lezione di danza moderna… un mese trascorso fra una sala e l'altra!


F i n a l e
ROBERTO BOLLE, PRIMO BALLERINO ÉTOILE
"ALL'ESTERO LA CONSIDERAZIONE PER LA DANZA È SUPERIORE"


Primo ballerino a ventun'anni ed étoile alla Scala da questa stagione, Roberto Bolle ha accettato di prendere parte agli incontri di Paths of Ballet per parlarci del suo amore per la danza. E raccontarci la sua esperienza di artista del balletto, dai momenti di gloria a quelli più difficili.

Puoi raccontarci quali sono state le tappe fondamentali del percorso che ti ha portato a diventare primo ballerino étoile al Teatro alla Scala?
La passione per la danza è nata quando ero molto giovane. La mia non era una famiglia di artisti, e sono stato proprio io a voler studiare danza. Ho iniziato a Vercelli; quando ho compiuto undici anni mia madre, accortasi della mia passione per il balletto classico, mi ha iscritto per la selezione alla scuola della Scala. Ho superato questa selezione e iniziato a frequentare la scuola; mi sono diplomato a diciannove anni e sono entrato subito in compagnia. La carriera, poi, è stata molto veloce. A vent'anni già interpretavo il ruolo di Romeo, e a ventuno sono stato nominato primo ballerino. Ho dato le dimissioni da questo ruolo a ventitré anni per intraprendere la carriera di freelance; ma ho mantenuto una relazione con il Teatro alla Scala: un contratto prevedeva un certo numero di recite annuali. La mia nomina a étoile è abbastanza recente, e mi ha legato di nuovo al Teatro alla Scala per alcune recite all'anno. Ho avuto la possibilità di intraprendere una carriera importante anche all'estero: per me è stato fondamentale.

E quali sono stati i momenti più difficili di questo percorso?
Sicuramente all'inizio, ai tempi della scuola, è stato molto duro lasciare la mia famiglia e trasferirmi da solo a Milano. Ero giovanissimo, e non posso negare che i miei fratelli e mia sorella mi siano mancati. Un momento non facile è stato l'inizio della mia carriera internazionale: anche in quel caso ero molto giovane, e da subito i miei ruoli sono stati molto importanti, prestigiosi… a ventidue anni ho ballato nel Lago dei cigni a Londra, in una grande produzione alla Royal Albert Hall. In quel caso mi sono esibito addirittura nella serata inaugurale, in seguito all'infortunio del protagonista del primo cast. Interpretare la prima anziché le repliche ha avuto grandi ripercussioni: ho avuto la possibilità di farmi notare e apprezzare. Ma è stata una prova davvero molto difficile: non mi sentivo pronto, non mi sentivo adeguato… Ero preoccupatissimo.

Ti è mai capitato di dover mettere in discussione determinate scelte coreografiche, nei balletti che hai interpretato?
Quasi mai… non posso dire mi sia capitata un'esperienza del genere. La maggior parte dei balletti classici in cui ho danzato non consentivano assolutamente modifiche; e comunque li conoscevo, sapevo a cosa andavo incontro e non ne sono mai stato spaventato. Le poche volte in cui ho interpretato delle creazioni, invece, sono sempre andato d'accordo con i coreografi; non ho mai incontrato particolari problemi.

Derek Deane ha creato per te un celebre Lago dei cigni (oltre a un Romeo e Giulietta) allestito alla Royal Albert Hall. Eri giovanissimo, allora… ha generato tensione un onore così grande, eri emozionato? O ad avere la meglio è stato il senso di soddisfazione?
Ero molto teso, sicuramente. L'emozione era grande: ero consapevole dell'importanza dell'evento. Sapevo che poteva significare molto per la mia carriera, che mi trovavo davanti a un'opportunità che non capita tutti i giorni. Ed è stato davvero così: il successo a Londra ha portato con sé il successo anche in Italia.

Fino a oggi, quali sono stati i personaggi più ostici fra quelli che hai interpretato?
Non sono stati pochi, se devo dirti la verità… Un personaggio piuttosto difficile per me è stato quello di Danilo nella Vedova allegra; avevo ventidue anni quando l'ho interpretato per la prima volta. La difficoltà è stata grande soprattutto dal punto di vista interpretativo. È un personaggio adulto, maturo; nella prima scena è ubriaco… ha un passato molto vissuto alle spalle. E io, che ero giovane, ho dovuto invecchiarmi con il trucco. All'inizio non volevo nemmeno interpretare quel ruolo: non mi sentivo pronto. Ma ero ancora dipendente della Scala, e non ho avuto scelta. Non è stato comunque un lavoro facile.

E di solito, per preparare un'interpretazione anche come attore, qual è il tuo metodo?
Di sicuro, se c'è un romanzo da cui il balletto è tratto, lo leggo; cerco di trovare l'origine, la fonte della storia. Poi ovviamente considero indispensabili le indicazioni del coreografo, che ha voluto mettere in evidenza alcune caratteristiche, alcuni tratti della personalità dei protagonisti… un balletto non consente di presentarle tutte, di ricalcare fedelmente la complessità psicologica.

Il successo ha portato con sé qualche lato negativo, nel tuo caso?
Beh… no! Ti dico la verità…

… meglio così, allora!
Infatti! Forse l'unico punto meno positivo può essere rappresentato dall'aumento delle aspettative. Dopo la fama, il carico di responsabilità si fa sentire senz'altro. E purtroppo anche noi ballerini abbiamo dei momenti meno positivi, in cui non siamo in forma… non siamo delle macchine! Il fisico non è sempre al massimo, non dà sempre il cento per cento; possono esserci diversi problemi, come la stanchezza che segue a periodi di lavoro molto intenso. Ma le aspettative del pubblico non ne tengono conto: la platea vuole sempre il massimo. Ma dare sempre il massimo, ad ogni rappresentazione, è impossibile!

Dopo aver ballato tanto anche all'estero, quali differenze hai notato fra la realtà straniera e quella italiana?
Le differenze sono parecchie. Ballo molto a Londra, per fare un esempio, dove c'è una considerazione per il balletto molto diversa. Lì balletto e opera sono sullo stesso piano, hanno uguale importanza… mentre in Italia non sempre è così; qui può capitare che la programmazione dei balletti sia subordinata alle necessità dell'opera. Anche in termini di spazi c'è poi differenza. A Covent Garden hanno creato una struttura semplicemente meravigliosa per il balletto; hanno uno spazio per la fisioterapia, con diversi massaggiatori; un altro spazio per training e riabilitazione, con macchine per il pilates e attrezzi per migliorare il rendimento… Trovo che la considerazione per la danza lì sia superiore.

C'è stata qualche partner con cui ti sei trovato particolarmente bene? Balli spesso con Darcey Bussell…
Sicuramente, con Darcey mi sono sempre trovato benissimo. È la mia partner abituale quando ballo a Londra. Ha avuto una bambina da poco, e perciò in questa stagione ho ballato con altre artiste della compagnia… ma non vedo l'ora di tornare in scena con lei. La prossima stagione balleremo nuovamente insieme ne Il lago dei cigni a Covent Garden. È una ballerina straordinaria: ha tutte le qualità della ballerina classica. Devo dire di essermi trovato sempre bene anche con Alessandra Ferri, che ha linee e qualità drammatiche che la rendono particolare, diversa da molte altre ballerine.

C'è qualche ruolo particolare che ti auguri di poter interpretare in futuro?
A novembre alla Scala sarà messo in scena Onegin, e sono felicissimo di poterlo finalmente interpretare! È un balletto bellissimo, sicuramente uno dei miei preferiti. Musica, storia, coreografia si uniscono in modo perfetto. Non sarà certo un ruolo facile… nemmeno questo! Onegin è un uomo che ha vissuto, un uomo maturo. Nel terzo atto sarà invecchiato e avrà alle spalle una vita, con le sue delusioni e tutto quello che comporta il peso dell'età. È un ruolo in cui l'interpretazione dà maggiori difficoltà rispetto alla tecnica. Sarà una bella sfida… ma è un personaggio che mi piace davvero tantissimo, e credo sia arrivato il momento d'interpretarlo!


Alessandro Bizzotto



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