Paths of Ballet - Volume 1

Tu chiamale, se vuoi, emozioni. O riti di passaggio, di evoluzione, di crescita.
Alla maniera degli "orizzonti" che Kubrick ha chiamato Paths of Glory.
Se il cinema si avvicina alla danza, non è solo per necessità narrativa, per cercare spunti per nuove storie. Ma anche - e forse soprattutto - per trovare risorse nell'indagine umana che la settima arte compie (quasi) sempre.
La tensione emotiva che può dare il balletto a volte supera il bagnasciuga del razionale: è quanto Robert Altman è riuscito a dire con The Company, mostrando come una professione possa essere vissuta nei termini di una vocazione; forse di più.
Il Teatro alla Scala di Milano ci ha aperto le porte per una serie d'incontri esclusivi con alcuni artisti del suo Corpo di Ballo, che ci hanno parlato della loro vita e della loro attività professionale. Una serie d'interviste che presenteremo suddivise in tre Volumi (di tarantiniana memoria) nel nostro Speciale Ballando sotto la pioggia, chiaro rimando a Stanley Donen e Gene Kelly.
Ognuno di questi artisti ha provato a lasciarci qualcosa; della sua vita, dei suoi dubbi, o delle sue passioni. Le loro parole valgono più di mille metafore.

Grande apertura - del Volume e del reportage - con la solista Beatrice Carbone; per proseguire, in questa prima parte, con i ballerini Massimiliano Volpini e Andrea Volpintesta; e, dulcis in fundo, chiusura per la prima ballerina Marta Romagna.


BEATRICE CARBONE, BALLERINA SOLISTA
"LA DANZA È DISCIPLINA"


Beatrice Carbone avrebbe fatto la gioia di molti registi. Facile pensare che Visconti e Scorsese l'avrebbero chiamata, che non le sarebbero serviti provini per lavorare con Coppola. Lineamenti affilati e timbro spontaneo, la ballerina che sul palco è stata sia Carmen che Giselle, passando per la Folgore (nell'Excelsior di Luigi Manzotti) e anche Cappuccetto Rosso (su una coreografia del collega Massimiliano Volpini), unisce al talento una personalità acuta e sagace.

Per iniziare, puoi raccontarci brevemente come sei arrivata a far parte del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala?
Io ho una storia un po' particolare. Sia mia madre che mio padre erano ballerini. Mio padre è stato tre volte direttore del Corpo di Ballo della Scala; in occasione della seconda di queste tre volte, la nostra famiglia si è trasferita qui. All'epoca, io e mio fratello studiavamo danza a Venezia; arrivati a Milano abbiamo frequentato la scuola di ballo della Scala, e siamo entrati a far parte del Corpo di Ballo. Mio fratello, poi, si è trasferito a Parigi, per ballare all'Opéra; io sono rimasta qui.

Parecchi artisti di palcoscenico hanno sostenuto che a teatro non c'è solo finzione, ma che nelle interpretazioni si investe una certa dose di emotività personale. La tua esperienza conferma questa tesi?
Assolutamente sì. Forse non tutti riescono ad immedesimarsi completamente in un ruolo. Ma chi riesce a farlo ottiene di sicuro un risultato migliore.

E come prepari un personaggio di solito?
Quello che faccio è cercare di sentire ciò che sente il personaggio. Più è grande il bagaglio di esperienze personali, più è possibile attingervi. Si utilizzano e si investono anche parti del proprio vissuto. Poi ovviamente i maîtres danno le indicazioni giuste: non è detto che quanto viene spontaneo possa andare bene sulla scena. A volte si rendono necessarie sfumature diverse.

Hai qualche ruolo cui sei particolarmente affezionata?
Sicuramente Carmen. E insieme a lei la Giselle di Mats Ek: è stato il mio primo ruolo da protagonista. È un personaggio molto profondo, la storia e il balletto sono bellissimi. Credo sia impossibile non amarlo!

Hai interpretato sia la Giselle di Mats Ek che quella classica. È lo stesso ruolo, ma visto da due prospettive molto diverse. È stato complicato rielaborare un personaggio in presenza di cambiamenti drammaturgici così forti?
L'unica piccola difficoltà che all'inizio ho incontrato è stata questa: mi veniva spontaneo rivedere i passi di Mats Ek sulla musica, anche quando provavo il ruolo nella versione classica. La prima Giselle che ho interpretato è stata quella moderna, e per questo quando sentivo la musica i passi che mi venivano in mente erano sempre quelli del balletto di Mats Ek. Quando poi ho iniziato a lavorare sul balletto classico, però, il registro è cambiato e i problemi non ci sono più stati. È stato più faticoso passare dalla Myrtha della Giselle classica alla Myrtha della Giselle con Sylvie Guillem, che ho interpretato qualche anno fa. Quest'ultima è una figura dolce, la Myrtha del balletto classico è invece più fredda, cattiva. Cambiare prospettiva, vedere il personaggio in modo diverso, mi ha messo in seria difficoltà. Ho però amato molto di più la Myrtha nella versione moderna.

Nell'interazione fisica del passo a due, soprattutto, per voi ballerine è necessaria grande fiducia nel partner. Un'intesa maggiore, anche a livello personale ed emotivo, migliora la vostra prova?
Sicuramente. Un buon rapporto con il partner, anche di amicizia, aiuta sempre. Ultimamente ho ballato molto spesso con Riccardo Massimi e con Mick Zeni. Soprattutto con Riccardo ho lavorato in parecchie occasioni, quali la Giselle moderna. Quando conosci il tuo partner, come accade a me quando ballo con Riccardo, non è necessario mettere a punto quella serie di piccoli aspetti che talvolta il passo a due richiede di discutere: il partner sa come prenderti, e tu sai come lui lavora. Lavorando insieme a un partner si imparano parecchie cose, anche sul suo carattere. E questa conoscenza si rivela utile anche quando si prova, non solo quando si è in scena. Io ho avuto grande fortuna in questo: mi sono sempre trovata bene con tutti i miei partner. Nel recente L'histoire de Manon, ad esempio, ho ricoperto il ruolo dell'amante di Lescaut, che era interpretato da Andrea Volpintesta, e anche in quel caso è andato tutto bene…

Un ruolo bellissimo, fra l'altro…!
Davvero un bel ruolo, sì! Anche se in questo caso io e Andrea abbiamo fatto poco insieme: avevamo solo un passo a due, i nostri personaggi non interagivano molto, come Manon e Des Grieux. Ci siamo comunque trovati bene, siamo anche amici…

Robert Altman ha dichiarato che far arrivare alla stessa ora sul set gli attori di cinema è una fatica, ma che, girando The Company, trovava sempre i ballerini pronti quando li faceva chiamare. C'è davvero questa disciplina ferrea all'interno della compagnia?
Sì. La danza è una disciplina. È fatta di regole, di orari. Non riesco a definirlo un lavoro, ma richiede impegno enorme: nelle numerose ore di prove ci si trova a dare sempre il meglio di sé; e lo si fa volentieri, certo. Piace e per questo non sembra un sacrificio, alla fine. Ma disciplina e rigore sono le cose più importanti. Sono indispensabili.

Siete liberi, a volte, di mettere in discussione determinate scelte coreografiche?
Nei balletti classici, come Il lago dei cigni o Lo schiaccianoci, non si cambia mai niente. Può essere più semplice che una cosa del genere accada quando ci si trova in presenza di una creazione, in qualche balletto neoclassico. Nel momento in cui un coreografo crea su di te, se non ti senti a tuo agio in qualche passo, determinati movimenti possono essere cambiati e sostituiti da altri con cui ottenere un risultato migliore. Nel caso di balletti classici… se qualcosa non riesce ci si deve proprio arrangiare! Bisogna armarsi di buona volontà e provare…

Hai un futuro pieno di impegni. Quest'estate sarai a Londra, in occasione del trittico di danza organizzato da Sylvie Guillem…
Esatto. Insieme a Sylvie, porteremo in scena Winter Dreams, in cui avrò il ruolo di una delle due sorelle. E poi ovviamente ci sarà la Carmen di Mats Ek, di cui sarò protagonista. È una cosa che ho saputo pochissimo tempo fa, non era prevista. Mi fa un grandissimo piacere: sarà una serata importantissima. Già parteciparvi sarebbe stato un onore. Avere poi un ruolo così significativo è un onore doppio.

Sei già emozionata?
Non ci sto nemmeno pensando al momento… ci sono tante cose prima! È meglio che non inizi a pensare subito a Carmen e al programma di Londra! Al momento davanti a me c'è Il lago dei cigni [in scena al Teatro degli Arcimboldi di Milano dal 14 aprile, ndr], anche se non mi emoziona particolarmente. C'è emozione soprattutto perché sarà realizzato il video, e ci tengo ad essere quanto più impeccabile sarà possibile; ma il ruolo mi lascia tranquilla. Inizierò a pensare al programma di Londra solo più tardi. E poi, forse, andrò in Venezuela con Mick Zeni o con Riccardo Massimi… ma non è ancora sicuro; molto dipende dal tipo di programma che sarà richiesto.

E quanto spazio lascia l'emozione al divertimento, nel momento in cui andate in scena? So che, ad esempio, per l'ultima rappresentazione organizzate degli scherzi in scena…
Di solito è il corpo di ballo a fare scherzi, in occasione dell'ultimo spettacolo, dal momento che è meno impegnato a livello tecnico. Se io ho una parte da solista o da prima ballerina, di sicuro non faccio scherzi. Se ho invece un passo a quattro con altre tre soliste, magari facciamo qualcosa… cambiamo un passo, o lo facilitiamo, per scherzare. Ma questo avviene solo nell'ultima rappresentazione. L'emozione c'è soprattutto la sera della prima. Quando ho interpretato L'histoire de Manon, però, sono sempre stata emozionata. Ci sono ruoli che dal punto di vista tecnico sono molto impegnativi, e non consentono di rilassarsi. Ma certamente più spettacoli fai, meno la tensione ti "taglia le gambe", come si dice di solito; è allora che puoi permetterti di godere il tuo personaggio, o l'interazione con gli altri…

Di solito, come cerchi di vincere l'eventuale tensione dell'ultima ora?
In genere non sono molto tesa; cerco sempre di non esserlo: lavoro meglio, e naturalmente riesco a dare di più, se sono tranquilla. Sono poche le occasioni in cui sono stata davvero agitata. E mi sono resa conto che questo accadeva quando non mi sentivo completamente pronta. Erano i casi in cui non ero riuscita a provare a sufficienza per lo spettacolo, ad esempio. Nel caso de L'histoire de Manon, essere in scena con Sylvie Guillem mi emozionava moltissimo. Il mio ruolo, quello dell'amante di Lescaut, era l'unico ruolo femminile di rilievo oltre alla stessa Manon. E dover sostenere un ruolo così importante accanto a Sylvie mi faceva sentire una formica…! Quando abbiamo portato in scena Giselle, sempre con Sylvie, lei aveva trascorso con noi due mesi per le prove; alla fine mi ero abituata alla sua presenza, al contatto con lei. Per Manon, invece, è arrivata una settimana prima… non ero più abituata a vedermela vicino, bella com'è!


ANDREA VOLPINTESTA, BALLERINO
"VIVO LA DANZA COME LA VITA DI OGNI GIORNO"


Stretta di mano e piglio deciso, Andrea Volpintesta dà conferma della personalità sicura che traspare dal suo modo di danzare. Ma sa essere aperto, serissimo e molto educato. Per raccontarci anche simpatici aneddoti su dietro le quinte insospettati. Come nel caso di uno dei suoi ruoli più recenti, quando…

Uno dei tuoi ultimi ruoli è stato quello ne L'histoire de Manon. Sei stato scelto da Sylvie Guillem per interpretarvi Lescaut: un grande onore e una grande responsabilità.
Sylvie Guillem mi apprezza molto, ma ovviamente in una compagnia è anche il direttore a fare le scelte. Conoscendomi abbastanza bene, Sylvie può aver detto al direttore di darmi questo ruolo, perché io la accompagnassi in questo Manon

… in cui il tuo ruolo è stato molto complesso, con due variazioni molto difficili, fra cui una da ubriaco…
È complesso, certo. Ho dovuto studiarlo parecchio, ed è stato molto impegnativo. Lescaut è una figura piuttosto ambigua nel suo amore per la sorella e il suo attaccamento al denaro; è disposto a fare di tutto pur di guadagnare qualche soldo. È stata un'esperienza interessantissima. La mia prima variazione arriva dopo cinque minuti dall'inizio: non c'è stato nemmeno il tempo perché mi rendessi conto di ciò che stavo facendo… ero già lì, da solo, a destreggiarmi in quella variazione! Tecnicamente la difficoltà è stata grande.

Ed è andata bene, le critiche sono state positive. Come avevi lavorato sul personaggio per arrivare al risultato che hai ottenuto?
Mi sono concentrato moltissimo sulla figura. Per me, oltre alla perfezione e alla pulizia nella tecnica, è importantissimo essere convincente come personaggio, riuscire a trasmettere il senso della storia a chi mi guarda. Dal punto di vista tecnico ho dovuto sottopormi a prove specifiche. È un ruolo molto autoritario: perciò la tecnica deve essere molto sicura, e tu devi essere molto sicuro di te stesso, di ciò che fai. I maîtres mi sono stati di grande aiuto. Poi, durante le ultime due settimane, la vicinanza di Sylvie Guillem e di Anthony Dowell, che aveva già interpretato Lescaut in passato, è stata un sostegno grandissimo. E l'incentivo a mostrarmi sicuro è cresciuto. Credo di aver dimostrato di poter fare certi ruoli. Devo ringraziare il direttore per la nuova chance che mi da dato.

C'è stato qualche personaggio che ti ha coinvolto più degli altri?
Non ho mai avuto occasione di poter interpretare un principe, anche se molte persone mi vedono adatto per quel ruolo. Io in ogni caso mi trovo molto più a mio agio in ruoli tenebrosi, più ambigui, magari cattivi. Anche se non sono una persona cattiva… assolutamente! Mi sono trovato particolarmente bene nel ruolo di Rothbart ne Il lago dei cigni di Rudolf Nureyev. Mi ha dato la sensazione di sovrastare tutto e tutti: il ruolo lo richiedeva, essendo molto importante all'interno del balletto. Nella versione di Nureyev, Rothbart è un ruolo incredibilmente impegnativo, quasi quanto quello del principe.

È necessaria grande lucidità sulla scena per far fronte ad eventuali imprevisti… restando legati a Manon, Sylvie Guillem ha avuto un problema con la gonna del suo vestito, sabato 14…
Certo! Ero lì e ho sentito anche lo strappo… durante quel passo a tre del primo atto! Io dicevo a Sylvie di stare attenta a quel pezzo di gonna che oscillava fra noi… In quel momento non ho potuto fare nulla; non mi andava di rovinare l'atmosfera, magari facendo qualcosa di sbagliato. E ho preferito fare di tutto perché non succedesse niente. Poi lei è stata fantastica: si è sistemata il vestito con mimica straordinaria, mostrandomi lo strappo. E io, allora, l'ho assecondata. Capita spesso che qualcosa non vada, per questo la lucidità è indispensabile. Vivo la danza come la mia vita di ogni giorno, e spesso durante i balletti mi è capitato di dover fare qualche fuori programma; anche dal punto di vista tecnico qualcosa può sempre succedere. E occorre recuperare in fretta. Serve parecchio istinto, non solo nelle variazioni, ma anche nei passi a due, in cui non gestisci solo te stesso, ma anche la tua partner. Bisogna essere sempre pronti.

C'è spazio per il divertimento, quando si va in scena? Con gli scherzi nell'ultima rappresentazione, ad esempio…
Sicuramente. Quando si è sicuri di ciò che si sta facendo in modo totale e si è ben preparati, lo spazio per godere di ciò che si esegue c'è. Gli scherzi dell'ultima rappresentazione sono poi una tradizione… noi, qui alla Scala, siamo davvero creativi in materia! Io sono stato molto teso durante le esecuzioni, fino a poco tempo fa. Ma da due o tre anni ho deciso di cambiare e dedicarmi in modo tranquillo alle prove, dando sempre il massimo. La fatica durante le prove fa sì che in palcoscenico tu possa dare davvero il meglio di te.

Una certa dose di scaramanzia può aiutare a vincere l'emozione? Tu hai qualche rito, o un portafortuna?
Ne ho uno per ogni spettacolo! Capita che, in occasione della prima, io faccia qualcosa di particolare, e che la rappresentazione vada benissimo. Cerco allora di ripetere sempre la stessa cosa anche prima degli spettacoli successivi, dandole valore scaramantico.

The Company dà una visione piuttosto serena dell'infortunio; nella scena finale, la protagonista prende il suo con una certa filosofia. È difficile credere siano episodi su cui riuscite a passare con leggerezza…
In effetti non è così, nella realtà! L'infortunio è molto traumatico, soprattutto se avviene mentre stai provando un ruolo importante. Può esserci qualcuno che lo vive con più serenità; ma questo dipende dal ruolo ricoperto all'interno della compagnia, anche se è sempre spiacevole per la persona. Io vivo male l'infortunio. È capitato che mi facessi male prima di qualche ruolo importante… e quando succede una cosa simile ci si dispera. Si vuole recuperare, si vuole guarire, si vuole tornare a ballare… e invece purtroppo per recuperare ci vuole tempo. Molto dipende poi dall'entità del danno. Quando è grave, è necessario rimanere fermi, assolutamente. Nel mio caso, quest'anno in particolare ho dovuto far fronte a qualche piccolo infortunio, ma sono andato comunque avanti a lavorare, sopportando il dolore… non potevo permettermi periodi di inattività.

Nasce l'amicizia all'interno della compagnia, nel rapporto non solo professionale con alcuni colleghi?
Bella domanda! Quello che sento è simpatia più che amicizia. In un ambiente come il nostro è difficile trovare amici su cui contare. Può esserci simpatia, possibilità di scherzare ed essere sereni… anche se basta un attimo perché la serenità si perda. È sufficiente l'assegnazione di un ruolo in un balletto per rovinare il rapporto con un collega. Capita ovunque, non solo nella nostra compagnia. Gelosie e antipatie ci sono dappertutto. Ma è comunque possibile gestirle e conviverci con serenità.

La professione di ballerino ha comportato qualche rinuncia particolarmente sofferta?
Ho dovuto rinunciare alla mia famiglia, ed è stato molto pesante. I miei genitori vivono in Calabria, e io sono a Milano da sei anni; ne ho trascorsi anche due a Reggio Emilia. Ho lasciato la mia famiglia quando avevo diciotto anni, ora ne ho ventisette. Ma dopo i primi due anni il trauma si supera. È comunque sempre brutto tornare a casa, ogni tanto, e vedere che il tempo passa per tutti, anche per i tuoi genitori…

Rimpianti? Sogni nel cassetto?
Non ho rimpianti, anche se ogni tanto ripenso al giorno in cui ho scelto la danza classica preferendola al calcio… Un giorno mi sono trovato davanti a questo bivio, e ho dovuto prendere una decisione; quando ballavo mi sentivo completamente trasportato, e così ho scelto la danza. In compenso, ho parecchi sogni. Per quel che riguarda la professione, il sogno di sempre è quello di riuscire ad affermarmi come ballerino, sentire un pubblico che vuole vedermi ballare e che ama il modo in cui danzo e mi esprimo. Qualcosa ho ottenuto; spero di ottenere il resto. Vorrei riuscire a farmi apprezzare di più dal mio direttore, far capire a lui e al mio pubblico che ho la stoffa giusta. Ho avuto grandi soddisfazioni: sia per Don Chisciotte che per L'histoire de Manon ho ricevuto molti complimenti. Mi auguro di diventare presto solista, dopo aver ballato tanto. Uno dei miei più grandi sogni è questo passaggio, anche per dare alla compagnia spinta maggiore. Fin da quando ero bambino ho desiderato entrarvi, e ora ci tengo molto.


MASSIMILIANO VOLPINI, BALLERINO
"LA VERA MEDICINA? LA SBARRA, OGNI GIORNO"


Di Massimiliano Volpini brilla, anche e soprattutto, l'eclettismo. Alla professione di ballerino unisce infatti quella di coreografo: due espressioni artistiche diverse, ma con qualcosa in comune. Come ci spiega in quest'intervista, in cui parla di sé, della compagnia, e di un progetto futuro cui tiene parecchio.

Nella realtà teatrale il tipo di platea che vi trovate davanti può condizionare la vostra performance?
Certo: il pubblico crea tensione, una situazione di scambio. È qualcosa di diretto, ma sottile: la platea non fa nulla, ma ti dà la sua concentrazione. Questa tensione rende lo spettacolo molto più denso rispetto a una prova. Il pubblico rumoroso condiziona parecchio, per fare un esempio. Il pubblico che dorme… beh, se non russa non condiziona molto!

In termini personali, quali sono le difficoltà maggiori che in genere incontrate nella vostra professione?
Le difficoltà sono tante. Quelle maggiori sono legate al corpo, che è il nostro strumento: ogni giorno è necessaria fatica per tenere il fisico in forma, per tenere a bada i dolori… L'uso del corpo è costante, serve equilibrio fra la salute fisica e salute spirituale…

Avete una serie di metodi che vi aiutano, come il pilates…?
Sì, anche se è una cosa molto soggettiva. La vera medicina, comunque, è la sbarra quotidiana, a lezione. Accanto a questo, i sistemi sono molteplici: vari tipi di massaggi, ad esempio, tecniche diverse fra le quali ognuno può scegliere la più adatta… dallo yoga a svariati metodi di rilassamento. Ognuno poi scarica la tensione come meglio riesce. Ma l'esercizio quotidiano rimane la medicina migliore.

Parlando di amicizie, hai dei colleghi con cui preferisci lavorare per via di un maggiore feeling?
Sicuramente. Questa compagnia conta un centinaio di ballerini: ovviamente vi si trovano tutte le relazioni possibili. Dall'amicizia più profonda all'odio, e purtroppo anche all'indifferenza: molti colleghi sono poco meno che estranei. Restano persone di cui si sa poco, anche perché mancano le energie necessarie per dedicare la stessa attenzione a tutti. Ed è altrettanto ovvio che alcuni legami funzionano, altri invece no.

C'è tensione prima di entrare in scena? Oppure non ce n'è per niente, come mi hanno raccontato alcuni artisti della lirica?
Beh, dipende dal balletto che va in scena e dal ruolo che interpreti. Se hai un ruolo importante, la tensione è parecchia. Noi siamo professionisti, io faccio questo lavoro da sedici anni e ho fatto tanti spettacoli… se la cosa non è impegnativa, si entra in scena tranquilli e fino a un minuto prima si può trovare il tempo per scherzare. Se il ruolo è impegnativo cambia tutto: non dormi la notte, inizi ad agitarti una settimana prima…

E questa tensione può influire sul risultato che ottenete?
Certamente. L'adrenalina dà energia e pathos. Troppa tensione, però, rovina: toglie lucidità e energie fisiche. Serve la tensione giusta. Quando è troppa può bloccare.

Avete, in proposito, qualche rito scaramantico?
Siamo in tanti, e ognuno può avere il suo… Credo comunque che ad essere molto importante sia il momento del trucco: è un rituale, aiuta a trovare concentrazione. Puoi stare da solo con lo specchio… e la concentrazione inizia lì. È un po' il rituale che ci unisce tutti.

Lavori anche come coreografo. Ricordo Cappuccetto Rosso, andato in scena lo scorso anno… La trovi un'attività che ti permette di esprimerti con creatività maggiore?
Senz'altro. Quando creo uno spettacolo, come nel caso di Cappuccetto Rosso, ho libertà totale. In quel caso ero anche regista, e il coinvolgimento era completo. Devo però dire che anche il ballerino possiede una sua creatività. Può non sembrare, nella teoria dovrebbe limitarsi ad eseguire dei passi. Ma con la sua personalità e il suo stile può dare un valore molto diverso agli stessi passi. Esiste creatività anche nell'attività del ballerino. Chiaramente quella del coreografo è superiore, è anche intellettuale: un coreografo può mettere in un suo balletto tutto quello che vuole, tutta la sua vita. Il ballerino è tecnicamente legato a passi altrui. Ma il bello sta proprio nel dare a questi passi un valore diverso: è una creatività meno cerebrale, ma più di cuore.

In materia di coreografie hai progetti futuri di cui puoi parlarci?
All'orizzonte c'è una finale cui tengo molto, quella del concorso internazionale di coreografia di Hannover. Ci andrò con Andrea Boi, che insieme a me e ad Andrea Piermattei gestisce anche il sito www.balletto.net. Porto una mia coreografia ad Hannover in occasione di questa finale: è un concorso bello e prestigioso… vada come vada, ci tengo comunque parecchio!

In bocca al lupo allora…
Crepi il lupo!


MARTA ROMAGNA, PRIMA BALLERINA
"LA COSA IMPORTANTE È LA FUSIONE CON IL PERSONAGGIO "


La voce di Marta Romagna suona chiara e limpida; la sua risata è acuta come l'eco di uno schiaffo. Definita "la più balanchiniana delle ballerine milanesi" per le linee particolarmente adatte alle creazioni del coreografo George Balanchine, l'artista scaligera ha risposto alle nostre domande con gentilezza ed entusiasmo: un eloquio fluente e forbito per raccontarci le sue esperienze e i suoi amori professionali. Con qualche imprevisto.

Quali sono state le difficoltà maggiori che hai incontrato nel percorso che ti ha portata a diventare prima ballerina al Teatro alla Scala?
Devo ritenermi molto fortunata. Dopo i lunghi anni della scuola, infatti, sono entrata in compagnia mentre era direttrice Elisabetta Terabust: lei teneva tantissimo ai ragazzi giovani, alle nuove leve, e mi ha fatto ballare da subito. Fino all'anno precedente questo non era mai accaduto, la gerarchia era sempre stata molto rigida, e solo grazie a lei ho potuto interpretare un ruolo come quello di Giulietta a diciannove anni; non capita a tutti. Ed è stata sempre Elisabetta Terabust a decidere di nominarmi solista, dopo avermi permesso di ballare in ruoli da étoile fin da quando ero giovanissima; per questo mi considero molto fortunata. La difficoltà maggiore sta, comunque e sempre, nel calarsi in un ruolo nuovo: per me è come ricominciare da capo ogni volta. I sacrifici, poi, ci sono stati sempre; fin dalla scuola ero impegnata con orari diversi rispetto alle mie coetanee, e la scuola di danza mi faceva vivere in un mondo diverso dal loro sotto molti aspetti. Sono stati anni duri, anche se devo dire di averli trascorsi bene: non ne conservo un brutto ricordo. Per il resto… non posso che ripetermi: ho avuto la grande fortuna di arrivare alla Scala in un momento di rivoluzione. E anche con il passare degli anni ho sempre incontrato direttori cui sono piaciuta, più o meno. Loro hanno i loro gusti e le loro preferenze… ma tutti gli anni ho sempre ballato qualche ruolo da étoile. Il direttore attuale, Frédéric Olivieri, mi ha nominato prima ballerina; appena ha avuto la carica di direttore, anche lui ha cambiato molte cose. Tiene molto ai giovani e ha promosso diverse persone.

Ti hanno definita una ballerina balanchiniana, particolarmente adatta alle coreografie di Balanchine. Ti ritrovi in questa definizione?
Adoro Balanchine! Se fosse vivo, passerei le mie giornate a ringraziarlo! Il suo stile mi piace tantissimo. Amo sia i ruoli di donne vere che quelli completamente astratti, che presentano spesso i balletti di Balanchine, in cui puoi trovare solo tecnica; lì il tutto è più lineare e astratto. Anche a maggio saremo impegnati in qualcosa di simile: per il trittico della Serata Stravinskji metteremo in scena Rubies; ed è stato proprio in questo balletto che ho avuto il mio primo ruolo da prima ballerina, ancor prima di interpretare Giulietta. Tornando a Balanchine, anche le sue assistenti hanno una carica notevolissima e hanno sempre saputo farmi amare il suo stile. Sono poi gli altri a trovarmi adatta alle sue coreografie… io posso solo dire di amarle moltissimo!

Ti capita di ispirarti a qualche altra ballerina del panorama internazionale? Per fare un esempio, ricordo che quando hai interpretato Manon, lo scorso febbraio, anche tu hai ballato il passo a due finale senza calze, come già aveva fatto Sylvie Guillem…
Ho tolto le calze cinque minuti prima dell'inizio dell'ultimo atto! Non so se lo hai notato, ma è iniziato con un po' di ritardo…! Anni fa avevo visto Alessandra Ferri interpretare Manon nell'ultimo atto senza le calze, e le avevo chiesto come si era trovata. L'assenza della calza definisce di più il muscolo della gamba nuda e (non è un segreto) rende molto più semplice ballare. La stessa Alessandra mi aveva detto di aver preferito entrare in scena senza calze, visto che anche lavorando con MacMillan, il coreografo de L'histoire de Manon, le aveva sempre tolte. Quando interpretai Manon diversi anni fa, chiesi perciò all'assistente se potevo toglierle per l'ultimo atto; ma lei mi disse di tenerle. Quando ho interpretato Manon a febbraio, memore di ciò che mi era stato detto, mi sono preparata al passo a due della palude con le calze; ma in quest'occasione i maîtres e il direttore mi hanno invitata a toglierle. Allora, solo cinque minuti prima che il terzo atto iniziasse, le ho tolte. Non posso dire, per questo, di aver emulato qualcuno. Tornando alla domanda… mi piacciono tantissime ballerine. Ad ognuna riesco a trovare un pregio e da ognuna di queste grandi si cerca di apprendere qualcosa. Ma tento sempre di trovare un mio stile, un mio modo di interpretare i personaggi. Preparo ogni ruolo rifacendomi anche alle mie esperienze di vita. Mettersi a imitare, a copiare una ballerina che piace, rende il risultato più finto… ho sempre l'impressione che in quei casi al pubblico non arrivi niente. Io cerco di trasmettere alla platea le mie emozioni.

Il feeling personale e umano con il partner - soprattutto nel passo a due - aiuta la ballerina, migliora la sua prova?
Tantissimo. Devo andare d'accordo con i miei partner sul piano personale prima che professionale. Al Gala Nureyev, ad esempio, ho ballato con Robert Tewsley. Non lo conoscevo, non lo avevo mai visto; ma lui è arrivato allegro, con un bel sorriso, e pur avendo provato poco mi sono sentita a mio agio. Devo riuscire a scherzare, a ridere con il mio partner, anche nelle difficoltà. Per me è molto difficile lavorare con qualcuno che non stimo. Ma fino a oggi sono stata, di nuovo, molto fortunata: è sempre andato tutto benissimo. Io e Roberto Bolle, per fare un nome, durante le prove ci facciamo certe risate…! Dobbiamo costringerci a smettere per riprendere a lavorare! E tutto questo è molto positivo: si crea feeling, complicità.

Quando un coreografo crea qualcosa per te, come Mauro Bigonzetti ha fatto inserendo nell'Omaggio a Nino Rota un passo a due ideato per te e Riccardo Massimi, prevale il senso di tensione e responsabilità o di maggiore libertà?
Il senso di responsabilità è molto grande. A volte, in questi casi, il coreografo ti lascia libertà di movimento… può dirti "Fammi vedere qualcosa". Tu gli fai vedere un passo, lui ti chiede di rifarlo, poi di eseguirlo di nuovo in modo diverso… è un lavoro di fusione fra il coreografo e la ballerina che genera indubbiamente responsabilità. Nel caso di Mauro Bigonzetti, è stato il primo coreografo che ha creato qualcosa per me; ne sono stata felicissima. Ma il senso di responsabilità non è certo venuto meno per questo. Una creazione può piacere o meno… e se non piace non è solo colpa del coreografo. Può anche essere dovuto alla ballerina, che magari non ha saputo dar colore ai passi e all'intera coreografia. Per questo parlavo di fusione, e di conseguente senso di responsabilità.

Che peso hanno per te i giudizi della critica? Come li prendi?
Di solito leggo le recensioni, ma i giudizi sono talmente personali… e non solo…! Ad ogni modo, leggo le critiche; se non piaccio, se vengo criticata in modo negativo, per prima cosa mi faccio un esame di coscienza, certo; ma poi mi dico: a questo critico piacerà un altro tipo di ballerina. Per questo prendo le critiche con serenità… se non piaccio, non me ne faccio un cruccio! Comunque, in proposito, posso dirti che io stessa di solito non mi piaccio quando mi rivedo in video! Trovo sempre qualcosa che non va! Sembra che lo faccia apposta… ma non è così! Fortunatamente non ho mai letto grandi critiche negative su di me. Ma se anche dovessero esserci… per carità, mi dispiacerebbe, non mi metterei a fare i salti di gioia… ma ricordo sempre che ognuno ha i suoi gusti. Ci sono ballerine bravissime, famosissime, strapagate, che a me non danno niente… non mi piacciono. Una ballerina deve emozionarmi… non mi interessano giochi acrobatici e virtuosismi. La cosa importante è la fusione con il personaggio. È questo che cerco di guardare, da spettatrice normale, non da ballerina; noi ballerini abbiamo la tendenza a essere molto critici nei giudizi, ma quando una ballerina esegue bene un intero balletto e riesce a farmi commuovere, non sto a guardare se non le è riuscito bene un particolare passo. Se guardassi uno spettacolo da ballerina, noterei solo la tecnica e perderei tutta l'emozione che un ruolo può trasmettere.

Hai mai percepito, da parte del tuo pubblico o di qualche fan, un calore e un affetto che possono esserti stati d'aiuto?
In più di una circostanza, da parte di vari fan ho ricevuto complimenti, oppure fiori e regali in occasione di qualche spettacolo. Ma io non sono certo ai livelli delle grandi étoile straniere! Le prime ballerine della Scala sono conosciute, ma relativamente…! Calore e affetto, comunque, arrivano. Alcune fan mi fanno sapere quando saranno presenti in sala… e io ci penso. Magari durante il trucco, mentre mi sto concentrando, mi vengono in mente, e mi danno senz'altro carica! Fa sempre piacere. A volte sono addirittura più emozionate loro di me! Ci sono persone che hanno la mia età e quando mi incontrano mi danno addirittura del "lei"… ed è strano. Sono una persona in carne e ossa, normalissima, lo ripeto sempre a queste ammiratrici. Non mi piace il distacco, la freddezza delle dive… Io tratto tutti come se fossero miei amici!

E c'è stato qualche estemporaneo incidente in cui ti sei trovata coinvolta? Puoi raccontarci un aneddoto in materia?
L'infortunio più grave l'ho appena vissuto. Mi sono preparata molto seriamente per Il lago dei cigni che avrei dovuto interpretare ad aprile: tutto il giorno prove con solo quaranta minuti di pausa… ma una settimana prima ho dovuto rinunciare a causa di un versamento al ginocchio, che è ancora un po' gonfio. Ho dovuto scegliere se ballare adesso o guarire bene e poter riprendere a ballare a maggio. Se devo raccontarti un aneddoto carino, invece… torniamo nuovamente a parlare del Lago dei cigni! Qualche anno fa, una nostra collega, Isabel Seabra, doveva interpretare Odette/Odile, e cinque minuti prima dell'inizio dello spettacolo si è sentita male. Ho dovuto prepararmi a sostituirla, e fare tutti i cambi di costume insieme a lei, dalle punte alla pettinatura… stando dietro le quinte, come un clone, pronta a entrare al suo posto nel caso non fosse riuscita a finire lo spettacolo! Ed è stato il panico! Dovevo essere preparata e poterla sostituire in qualsiasi momento… per questo la seguivo passo dopo passo, come una gemella siamese! Alla fine Isabel ce l'ha fatta, è riuscita a finire il balletto; ma io sono rimasta dietro le quinte, pronta a prendere il suo posto, vestita e truccata, fino al quarto atto. È stato come fare lo spettacolo insieme a lei!



Alessandro Bizzotto



Sito ufficiale Teatro alla Scala: www.teatroallascala.org


Ritratti di Graziella Vigo - Teatro Alla Scala. Tutti i diritti sono riservati.



home news Ciak! Si gira... interviste festival schede film recensioni fotogallery vignette link scrivici ringraziamenti credits

Settimanale di informazione cinematografica - Direttore responsabile: Ottavia Da Re
Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Venezia n. 1514/05 del 28 luglio 2005
Copyright © www.quellicheilcinema.com. Tutti i diritti sui testi e sulle immagini sono riservati - All rights reserved.