Copyright © AMPAS
Travolti dall'Oscar
Poche sorprese per l'ultima edizione degli Academy Award. Ma quanto pesa il verdetto?
"Il vero specchio dei valori in campo sono le nomination […] le dolorose esclusioni dell'Oscar hanno l'ingiustizia incorporata". Lo ha saggiamente ricordato il Corriere della sera commentando a caldo le vittorie ai settantaseiesimi Oscar, assegnati in un nugolo di sfarzo domenica 29 febbraio al Kodak Theater di Los Angeles.
Provare dolore per le mancate vittorie è forse eccessivo. In materia è salutare ricordare che né Alfred Hitchcock né Stanley Kubrick vinsero mai un Oscar, e che fra gli attori che attesero la statuetta invano ci sono interpreti del calibro di Richard Burton, Greta Garbo, Marilyn Monroe e Charles Chaplin. Solo per fare pochi esempi.
Quanto alle nomination, considerarle la vera vittoria pare assai corretto. I numerosissimi membri dell'Academy of Motion Picture Arts and Sciences sono professionisti del cinema di tutti i generi, da attori e registi a costumisti, tecnici del suono e così via. Le candidature vengono assegnate dai soli esperti per ogni categoria (gli attori votano gli attori, i registi i registi, gli scenografi i loro colleghi per le scenografie…); per le vittorie, invece, tutti votano in tutte le categorie. Tant'è che, in passato, qualcuno ha già osato domandarsi quanto possa capirne un direttore della fotografia di edizione del sonoro, o quanto l'interpretazione di un attore possa essere giustamente valutata da un responsabile del montaggio. Per questo, a giochi fatti, la filosofica saggezza insegna a considerare tutti i nominati vincitori. Spesso le vittorie sono influenzate dalle campagne pubblicitarie, o dalla volontà di salvaguardare una serie di equilibri sulla bilancia del sociale, del culturale, talvolta più semplicemente delle sconfitte precedenti.
Del resto, nessuno penserà che gli undici premi andati quest'anno al Signore degli anelli: il ritorno del re di Peter Jackson pesino più degli otto Oscar che Via col vento ottenne nel 1940. E chi ci crede?
Chi era solito pensare che le vittorie delle celebri statuette fossero imprevedibili, s'è visto smentito. Il copione della serata è stato di una noia mortale. Oscarizzati infatti per le loro interpretazioni i quattro attori favoriti, senza l'ombra di una sorpresa: la Charlize Theron di Monster, la Renée Zellweger di Ritorno a Cold Mountain e gli interpreti di Mystic River Sean Penn e Tim Robbins. Una scelta che, per la prima volta dopo parecchi anni, vede premiati tutti gli interpreti già vincitori dei Golden Globe (i premi della Stampa Estera di Hollywood che, per tradizione, riescono ad anticipare il 50% delle scelte dell'Academy in termini di interpretazioni).
La Theron, migliore attrice alla prima nomination, rafforza l'ormai stanco teorema per cui un'attrice avvenente che s'abbruttisce può sperare nell'Oscar (già Nicole Kidman, lo scorso anno, vinse grazie alla straordinaria interpretazione della scrittrice Virginia Woolf in The Hours, con capelli scuri e naso finto; o Hilary Swank, che nel 2000 sorpassò le più meritevoli Annette Bening e Julianne Moore interpretando una ragazza travestita da uomo in Boys Don't Cry). Ingrassata e imbruttita per interpretare la prostituta omicida Aileen Wuornos, l'ex-modella cui in uno spot Martini si sfilava il vestito sul di dietro ha avuto la meglio su attrici del calibro di Diane Keaton e sulla comunque strepitosa Naomi Watts.
Per la Zellweger, miglior non protagonista per Ritorno a Cold Mountain, quasi un premio di consolazione dopo due candidature come miglior attrice andate a vuoto (nel 2002 per Il diario di Bridget Jones e nel 2003 per Chicago).
Soddisfazione doppia, invece, per Penn e Robbins, due attori impegnati sul fronte politico e per questo considerati spesso scomodi. In barba alla convenzionalità, Sean Penn ha sconfitto l'altro favorito Bill Murray come miglior attore. Tim Robbins invece, dopo una candidatura come regista per Dead Man Walking nel 1996, ha vinto l'Oscar come migliore attore non protagonista; suo il discorso più significativo della serata. "Nel film interpreto la vittima di un abuso sessuale. Se anche voi avete subito esperienze del genere, ditelo. Parlatene, non vergognatevi."
Solo due premi su dieci nomination per il bellissimo Master and Commander: sfida ai confini del mare di Peter Weir, un regista che dopo quattro candidature entra di diritto nella lista dei cineasti con cui l'Academy è in debito. Al suo film i premi meritati per gli effetti sonori e per la bella fotografia di Russell Boyd (anche se i colori di John Seale in Ritorno a Cold Mountain sarebbero stati una valida alternativa).
Accordo pressoché unanime per il premio al film d'animazione Alla ricerca di Nemo e applausi calorosi per Blake Edwards, premio alla carriera, che è stato protagonista di un simpatico siparietto insieme al premiatore Jim Carrey: entrato su una sedia a rotelle in corsa, ha strappato un Oscar (finto e più leggero) dalle mani di Carrey, per uscire dal palco dalla parte opposta e rientrare poi, in piedi e con l'Oscar vero, pronto per il discorso di ringraziamento.
Un'edizione condotta modestamente fra le ormai prevedibili gag del presentatore Billy Cristal, che s'è però voluta rifare dei toni dimessi (ma non troppo) della scorsa edizione su cui gravava la notizia dell'appena scoppiata guerra in Iraq: quest'anno glamour e un po' di kitsch non si sono fatti pregare. Tempi di premiazione dilatati, aria scanzonata, planetario sfoggio di mise (strappavano gli sguardi le splendide Nicole Kidman, Naomi Watts e Julianne Moore).
Ma lo show ha avuto il suo momento più significativo proprio fuori dalle premiazioni: nel ricordo di Katharine Hepburn. Pochi minuti per un montaggio di fotogrammi che ha onorato l'unica attrice della storia ad aver ottenuto quattro Oscar come miglior attrice.
Alessandro Bizzotto
Vai a:
Speciale Oscar 2004
L'abito non fa l'Oscar...
Peter Jackson 'Signore degli Oscar'
Immagini Copyright © AMPAS. Tutti i diritti sono riservati.
(06/03/2004)
|