IL SIGNORE DEGLI ANELLI: IL RITORNO DEL RE

Da dove si può iniziare a parlare del capitolo conclusivo del Signore degli Anelli, ovvero Il Ritorno del Re?
Forse dalla pioggia di Golden Globes che recentemente si sono sommati agli svariati riconoscimenti già incamerati nelle scorse settimane, fra cui il prestigioso Premio del New York Film Critics Circe, in attesa di sapere quante delle undici candidature agli Academy Awards si concretizzeranno in autentiche statuette… O magari è preferibile tornare indietro e ripercorrere la genesi e lo sviluppo di uno dei progetti più ambiziosi che il cinema abbia mai cercato di realizzare, quando quasi nessuno aveva ancora iniziato a chiedersi se mai la Compagnia sarebbe riuscita a distruggere l'Unico Anello, ma piuttosto si interrogava sul come sarebbe stato possibile portare sullo schermo uno dei libri più importanti, ricchi e complessi del Novecento. Infatti, da quando Peter Jackson l'Instancabile diede l'avvio ufficiale al progetto ogni più piccola scelta di regia, di casting, di montaggio, di musiche, di script e chissà che altro è passata sotto l'occhio attento della critica di tutto il globo e sotto quello ancor più attento degli adoratori dell'opera tolkeniana, senza contare le forche caudine rappresentate dai neofiti, da coloro, cioè, che neppure sapevano cosa potesse mai essere raccontato nelle 1359 pagine del Signore degli Anelli.
Così come nessuno si sarebbe mai aspettato il lirismo, la spettacolarità ed il fascino de la Compagnia dell'Anello oppure la maestosità, la forza e la drammaticità de Le due Torri, così nessuno avrebbe mai pensato che tale potenza visiva e tale coinvolgimento emotivo potessero essere superati con così grande vigore. Non credo sia possibile neanche per un attimo mettere in ombra i primi due capitoli solo perchè il terzo è semplicemente magnifico. Non sarebbe né corretto né, soprattutto, logico o sensato. Il Ritorno del Re non fa altro che attingere alla forza ed alla grandezza dei capitoli precedenti per riproporle amplificate e rinnovate, ma il salto di qualità consiste nel fatto che esso compie un'operazione di sintesi pressoché perfetta ed ineguagliabile della Compagnia e delle Due Torri, riprendendone temi, atmosfere, personaggi e storie e portando tutto verso una finale quanto mai splendido, poderoso, che toglie il fiato. In un termine solo: Epico.
Solo ora possiamo davvero capire cosa intendesse Jackson quando parlava di aver concepito Il Signore degli Anelli come un film unico che avrebbe visto la luce in tre parti perché troppo lungo (guarda caso la stessa sorte che subì il libro, la cui tripartizione fu imposta a Tolkien dai suoi editori). Ironia della sorte, però, qui, in questa sede, è soltanto de Il Ritorno del Re che dobbiamo parlare e quindi iniziamo a valutarne gi aspetti salienti come, ad esempio, la solidità e la scorrevolezza dello script, che si discosta molto meno dal testo originale di quanto non avesse fatto nelle Due Torri (che, da questo punto di vista, era il meno fedele di tre capitoli) e che regala brividi ed emozioni a non finire. Nelle tre ore abbondanti di film, infatti, ci sono sequenze a dir poco memorabili, che stabiliscono nuovi standard negli effetti speciali, soprattutto grazie ad un uso quasi fantascientifico del CGI, che permette di avere una verosimiglianza mai vista prima, specialmente nelle scene di massa come la spettacolare battaglia sui Campi del Pelennor, l'assedio all'argentea Minas Tirith, fiera capitale del regno di Gondor costruita su sette differenti livelli e lo scontro finale contro le truppe di Sauron davanti al Nero Cancello, anche se il vero gioiello della computer grafica, in grado di eguagliare e forse superare lo strepitoso Gollum, è la temibilissima Shelob, un enorme ragno femmina che vive nelle profonde gallerie di Mordor cibandosi di orchetti e di chiunque cerchi di attraversare la sua putrida tana. La cura con la quale è stato realizzato questo prodigio in digitale fa impressione perché sembra assolutamente vero, spaventosamente vero. Basta osservare un solo istante il pelo lucido che ricopre le zampe ricurve che s'allungano dall'ampio addome illuminato da pallidi raggi lunari per avere i brividi lungo la schiena, figuriamoci quando agilmente si muove rapida ed implacabile contro Sam e Frodo…
La bellezza e la ricchezza del film, però, non sono soltanto legata alle immagini che magnificamente ci scorrono davanti agli occhi guidate dalla sapiente regia di Jackson ed impreziosite dalla fotografia di Lesnie, bensì fa riferimento a qualcosa di più profondo, e vale a dire a quel legame che ormai lo spettatore ha stabilito con i personaggi nel corso della vicenda. Ormai conosciamo il carattere, le paure, i modi di agire dei protagonisti e questo ci fa appassionare in modo più diretto e più sentito alle loro imprese, ai loro dubbi. Percepiamo quasi la debolezza crescente di Frodo, la soverchiante presenza dell'Anello che ne annulla la volontà, la paura e lo scoramento del fedele Sam che vuole più d'ogni altra cosa proteggere il proprio padrone e scortarlo fino nel cuore del Monte Fato, qualunque sforzo ciò richieda. Ci emozioniamo per l'amore totale di Arwen che teme di non poter più rivedere l'amato, per il quale ha rinunciato alla sua immortalità, e partecipiamo alla tristezza di Eowyn, che sembra destinata ad una vita senza passioni né affetti; ma soprattutto godiamo nella presa di coscienza di Aragorn, nella sua accettazione dell'incarico per cui è nato, e in altre parole la riunificazione del regno degli uomini e la sua salita al trono come Re di Gondor, anche se, però, va detto che il personaggio di Viggo Mortensen avrebbe potuto avere un maggior approfondimento psicologico, visto il suo rilievo nella parte conclusiva della vicenda.

Lodevole, infine, la scelta di mantenere un'ottima (o quasi) aderenza con gli ultimi capitoli del capolavoro tolkieniano. La mancanza apparente di un finale roboante e ad effetto, in puro stile kolossal Hollywoodiano, ed il mantenimento, al contrario, dei finali multipli è di assoluto rilievo poichè conserva i temi chiave di lealtà, impegno ma soprattutto sacrificio cari al Professore di Oxford e trasmette il più grande degli insegnamenti: ogni grande lotta richiede un prezzo, molto caro spesso, che irrimediabilmente segna profondamente coloro che lo pagano. Si torna a sorridere e si festeggiano le imprese riuscite ed i traguardi raggiunti, certo, ma non è mai possibile guarire del tutto da certe ferite e ci sono cose perse o di cui siamo stati privati che non potremo mai riavere. Accettare tutto questo significa crescere, significa reagire, significa vivere.

Marta Ravasio


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