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OSCAR 2003
E questa è la fine.
Anche gli Oscar 2003 sono stati consegnati. Sopravvissuti ai venti di guerra, privati ma non troppo dell'usuale smalto glamour, cosparsi di polemiche, i settantacinquesimi Academy Awards sono andati in scena puntuali nella notte di domenica 23 marzo.
Dopo il drastico taglio della passerella in rispetto del difficile momento internazionale, lo show è stato modestamente condotto da Steve Martin e si è svolto in tempi serrati e privi di eccessi.
Vincitore, ma senza trionfi, Chicago, che su tredici nomination ha ottenuto sei statuette, inclusa quella per il miglior film. Ma questa non è una sorpresa.
In compenso, di vittorie impreviste la serata ne ha avute diverse. Fuori da ogni previsione il successo de Il pianista, che ha ottenuto tre Oscar. E di grande importanza. Se quello al miglior attore Adrien Brody, che ha vinto sul grandissimo Daniel Day-Lewis di Gangs of New York, era una possibilità ventilata da qualche settimana, hanno lasciato increduli quelli alla miglior sceneggiatura non originale e alla regia di Roman Polanski. Non perché immeritati, ma perché fuori da ogni possibilità di essere subodorati.
E in questo la guerra in Iraq ha avuto i suoi effetti. Ha frenato un ritratto cinico e sfavillante come Chicago, simbolo di dissolutezza e divertimento, ha spinto in modo fortissimo un dramma sull'olocausto impegnato come Il pianista e ha affondato un affresco storico memorabile, ma forse troppo violento per l'Academy, come Gangs of New York. Il kolossal di Martin Scorsese, candidato a dieci satuette, incluse quelle per il miglior film, la miglior regia e il miglior attore protagonista, è uscito a mani vuote. Una debacle clamorosa.
Così, chi meritava di vincere è stato sacrificato ancora una volta. Il magnifico dramma The Hours di Stephen Daldry, forte di nove candidature, si è dovuto accontentare del premio alla miglior attrice andato a Nicole Kidman, che nel film veste i panni di Virginia Woolf. Una grande interpretazione, ma indubbiamente un premio riparatore che onora in ritardo anche le straordinarie prove dell'attrice australiana in Moulin Rouge e The Others, non premiate lo scorso anno.
Sul fronte dei migliori attori non protagonisti, allori per la Catherine Zeta-Jones di Chicago e Chris Cooper per Il ladro di orchidee.
Pedro Almodovar ha vinto per la sceneggiatura originale con Parla con lei. Peter O'Toole ha ricevuto da Meryl Streep l'Oscar alla carriera.
Oscar postumo al direttore della fotografia di Era mio padre, Conrad L. Hall, recentemente scomparso.
Piuttosto lungo il monologo iniziale di Steve Martin, contenuto sì, ma che non si è risparmiato qualche caduta di stile ("Le star che per pubblicità sono venute a letto con me sono più discrete e non lo fanno sapere" mentre il montaggio lo circondava con inquadrature di Nicole Kidman, Halle Berry, Julianne Moore, Renée Zellweger, Diane Lane… ma anche di qualche uomo e un cartone animato, il mostriciattolo di Lilo e Stitch). Ad aprire le danze è stata Cameron Diaz (quest'anno nuovamente snobbata dall'Academy per la sua prova in Gangs of New York) che ha presentato l'Oscar per il miglior film d'animazione a Spirited Away.
Diversi i discorsi pacifisti. Chris Cooper ha augurato al mondo la pace, Pedro Almodovar ha dedicato il suo premio a chi si batte per la pace e per il rispetto della legalità internazionale. Ma il discorso più aperto e politicamente "scorretto" è venuto da Michael Moore; il regista di Bowling a Colombine, documentario sulle armi in USA, che ha ricevuto l'Oscar dalle mani di un'entusiasta Diane Lane, ha attaccato apertamente il presidente Bush e la sua decisione di muovere guerra in Iraq. "Abbiamo eletto un presidente fittizio che ci ha portato in guerra per ragioni fittizie. Vergogna!" ha tuonato dal palco. Dalla platea che l'aveva accolto con una standing ovation diversi applausi, ma anche fischi.
"Perché si va alla cerimonia degli Academy Awards quando il mondo è in uno stato di tale sconvolgimento?" ha detto Nicole Kidman nel ritirare il suo Oscar, "Perché l'arte è importante e perché si crede in ciò che si fa, ed è giusto onorarlo". La protagonista di The Hours ha ricordato le vittime dell'undici settembre e quelle della guerra ("Dio li benedica") e non ha saputo trattenere le lacrime ("Russell Crowe mi ha detto: non piangere se sali sul palco, e adesso mi metto a piangere!") nel ricordare sua madre e sua figlia presenti in sala ("Per tutta la vita ho cercato di rendere mia madre orgogliosa. Adesso renderò mia figlia orgogliosa").
Adrien Brody, che ha ricevuto il premio da Halle Berry travolgendola con un bacio inaspettato, ha affermato: "Ho un amico che è soldato in Iraq. Spero che torni presto", e ha tenuto uno dei discorsi più lunghi della serata, interrompendo la musica che lo invitava a concludere.
Meno impegnata Catherine Zeta-Jones. Al nono mese di gravidanza, non si è risparmiata l'esecuzione di "I Move On", la canzone candidata di Chicago, e quando ha ricevuto il premio dalle mani di Sean Connery non ha saputo trattenere la gioia di avercela fatta dopo la sonora batosta del 2000 (quando sia lei che Michael Douglas furono tagliati fuori dal successo di Traffic, privati anche della candidatura). Si è limitata a ringraziare marito, figlio e Academy, e a dirsi felice di ricevere il premio dal "mio scozzese".
Anche quest'anno, clamorose esclusioni e imperdonabili dimenticanze.
Martin Scorsese ha nuovamente perso l'Oscar che gli è sempre stato negato.
Lontano dal paradiso è uscito a mani vuote, nonostante sia uno dei migliori film dell'anno.
Ed è scandaloso, vergognoso e criminale che un'attrice del calibro di Julianne Moore, indiscutibilmente dotata di un talento superiore alla media, non abbia vinto un Oscar quest'anno, pur essendo candidata doppiamente (come protagonista per Lontano dal paradiso e come non protagonista per The Hours). Una mancanza imperdonabile.
Alessandro Bizzotto
(25/03/03)
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Speciale Oscar 2003
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