Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi
Due di Due
Ci è proprio piaciuto questo film, non c’è che dire.
Così tanto che Quelliche…il cinema ha deciso di sdoppiarsi in due per poter commentare, a dispetto di Mister Lemony Snicket, che non approverebbe tanta attenzione per il frutto sinistro delle sue terribili visioni oniriche, con tutte le parole di lode e apprezzamento di cui saremo capaci, questo piccola fiaba di fantastica, debordante, maledetta, genialità...
SHOCKED by SNICKET
“Se volete vedere un altro film, siete ancora in tempo. Se volete vedere un film con simpatici elfi cambiate sala”…recita intimidatoria, la voce fuori campo dell’autore che apre in modo sinistro il film, guadagnandosi a pieno titolo la definizione di anti-Harry Potter che accompagna la sua uscita nelle sale italiane.
Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate, perché il gioco si fa duro e non c’è più posto per le favole, se non "maledette" come Lemony Snicket, film targato DreamWorks tratto dai racconti, del nuovo fenomeno letterario (i suoi libri hanno già toccato quota 27 milioni di copie in tutto il mondo) che si nasconde sotto lo pseudonimo di Lemony Snicket, ovvero Daniel Handler.
Così dopo i già citati (e tuttora in corso) progetti tratti dalla saga di J.K. Rowling e l’imminente “Thief Lord” ("Il signore dei ladri") tratto dall’omonimo bestseller della scrittrice tedesca Cornelia Funke, la letteratura per ragazzi si arricchisce di una trasposizione cinematografica particolarmente originale, a tratti straniante nella sua spiazzante elaborazione visiva, che si avvale di complesse, quanto interessanti citazioni iconografiche. E’ da scenari stupefacenti memori della pittura romantica ottocentesca che si sviluppano infatti le vicende dei tre piccoli orfanelli protagonisti di una serie di sfortunati eventi che, dopo la morte dei genitori periti misteriosamente in un terribile incendio, li condurrà tra le grinfie del terribile Conte Olaf (il solito, trasformista Jim Carrey qui inedito “antagonista”, autore di una performance perfetta, degna del grande Lon Chaney) disposto a tutto, perfino ad uccidere ogni possibile affidatario, pur di mettere le mani sull’eredità dei piccoli Baudelaire.
E come l’omonimo, oscuro poeta dei Fiori del male che dà il nome ai protagonisti, l’autore costruisce i suoi personaggi mettendone in luce le caratteristiche più bizzarre (come il talento mordace della piccola Sunny) i vezzi più curiosi (il nastro sui capelli di Violet ad indicare, come una lampadina accesa, un’imminente geniale invenzione) e le fobie più assurde (come le paranoie della zia Josephine, interpretata da una strepitosa Meryl Streep) senza togliere nulla al sottofondo cupo e noir del film, che gravita latente, come una cappa di fumo su visioni horrorifiche sulle disgraziate vicende dei protagonisti, per squarciarsi improvvisamente su immagini a dir poco horrorifiche che animano repellenti sanguisughe e rettili viscidi e giganteschi (rendendo davvero difficile, per lo spettatore, guardare un frugoletto giocare fra le spire di un’enorme vipera nera…).
Incubi a dir poco realistici per i tre piccoli impavidi ragazzini (i bravissimi e spontanei Emily Browning/Violet; Liam Aiken/Klaus; Kara & Shelby Hoffman/Sunny) sballottati dalla crudeltà di un’esistenza così lontana dalla realtà (eppure così simile ad essa) da apparire straniante, da diventare irreale.
E che si può raccontare solo così. Attraverso un’ironia che sconfina con uno sguardo cinico e poco
consolatorio e un approccio fantastico che sa raccontare la vita forse meglio di qualunque descrizione documentaristica. Ed è qui che si spiega il complesso tessuto di metafore, simboli, citazioni di cui è permeato il film. Con immagini che sembrano richiamare la tormentata e immensa pittura di William Turner, per descrivere una natura partecipe della vita umana (le immagini della piccola barca in balia del mare e degli eventi), e attingere in modo quasi speculare dai paesaggi spirituali di Caspar Friedrich (le stupefacenti immagini du "Lago Lacrimoso"), con i protagonisti spesso inquadrati di spalle, come nelle grandi tele del pittore tedesco, in cui microscopiche e insignificanti figurine umane si stagliano contro l’immensità della natura e del proprio destino.
Ma è anche la stessa storia del cinema ad essere evocata attraverso riferimenti diretti (il giornale letto dal conte Olaf mentre aspetta che un treno investa i piccoli) e suggestioni lontane come le sembianze vampiresche di Olaf, dal Nosferatu di Murnau (1929), o i richiami ai primi attori di muto nelle sue “performance” teatrali, così come le atmosfere sospese memori delle fantasmagorie e dei primi “effetti speciali” di George Méliès (Le Voyage dans la lune, 1902), senza dimenticare gli infiniti riferimenti metacinematografici e visivi disseminati in ogni sequenza (con occhi, specchi, vetri…), fino ai titoli di coda, a loro volta, un piccolo capolavoro di animazione e grafica da gustare quasi come un piccolo film a margine del lungometraggio.
Il regista Brad Silberling (già in luce con il toccante, dolente “Moonlight Mile”) decide quindi adottare il punto di vista dello scrittore, grazie al coerente (sulla carta davvero complesso) lavoro di sceneggiatura di Robert Gordon, assecondando ed esaltando la componente visionaria del libro in immagini a dir poco suggestive che trovano espressione ideale nella fotografia di Emmanuel Lubetzki, qui in versione “talento puro e naturale esaltato dalla tecnica” e in vetta ad un escalation visiva (lasciano senza fiato le innumerevoli composizioni di luce e colore che riesce a costruire ad ogni inquadratura) iniziata da Y tu mamà también e confermata dallo stucchevole, ma non per questo meno apprezzabile, The Cat in the Hat (“Il gatto”).
Complici ideali di questo "stregone" della luce, le scenografie di Rick Heinrichs (che attinge con rinnovata originalità da Il mistero di Sleepy Hollow), i costumi (ottenuti abbinando elementi della moda attuale ad abiti di gusto vittoriano) di Colleen Atwood & Donna O’Neill (Sleepy Hollow, Manhunter), e il trucco di Valli O’Reilly & Bill Corso (premio Oscar meritatissimo ai recenti Academy Awards). Un art department senza precedenti, al servizio di una visionarietà straordinaria, e di una regia che ricorda il miglior Tim Burton.
A fare da collante, la musica di Thomas Newman che attinge alle sue migliori partiture (Era mio padre, Il miglio verde) per realizzare una colonna sonora stupefacente, sospesa e incantata come le atmosfere dominanti. Un film tanto terrificante quanto complesso e affascinante, a tratti così enigmatico da apparire inafferrabile.
Realizzato per sorprendere i più giovani, meno sprovveduti, e far pensare i più grandi, un tempo bimbi sperduti.
Legati dallo stesso sortilegio, e dall'incanto di una raffinata favola noir.
Ottavia Da Re
LEMONY HOLLOW
Accompagnato da un'altra opera omnia di Thomas Newman (American Beauty), sempre più eclettico pur mantenendo il suo marchio di fabbrica e proprio per questo sempre più grande, arriva sugli schermi italiani Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi, tratto da The Bad Beginning, The Reptile Room e The Wide Window (apparsi in Italia con i titoli L’infausto inizio, La stanza delle serpi e La finestra funesta) di Daniel Handler e diretto da Brad Siberling (City Of Angels; Casper), storie d’orfani, eredità e di misfatti visti sotto l’ottica di una "commedia gotica" strana e straniante dove una magistrale regia ma soprattutto la fotografia di Emmanuel Lubezki (Ali; Y Tu Mamà También), chiaramente ispirata alle ambientazioni di Sleepy Hollow (da cui attinge anche scenografie di Rick Heinrichs), fanno la differenza in termini sia narrativi che visivi ed aiutano i protagonisti ad immergersi in una patina d’incredibile surrealismo visivo, in aggiunta a quello di una “Modernità tecnologica che incontra il primo ‘800”, dove i colori sono la cartina tornasole delle situazioni che lo spettatore si trova ad affrontare.
Protagonisti d’eccezione, con una vena d’ispirazione che pare inesauribile un camaleontico Conte Olaf, magistralmente interpretato da Jim Carrey (tornato agli antipodi "venturiani") e le due (ebbene sì...) gemelline Hoffman, Kara e Shelby, che si sono alternate nel dare volto e sguardi interrogativi alla tenerissima quanto impavida Sunny Baudelarie, la più piccola dei tre orfanelli.
Un film sottovalutato da critica e pubblico ma che, a pare mio, merita un’attenta rivalutazione e visione fino all’ultimo secondo dei titoli di coda.
Fabio Pirovano
Parola all'autore...
...Li ho supplicati di non farlo. Li ho pregati di non prendere un buon regista. Li ho implorati di non scegliere attori bravi. Li ho scongiurati di non basare il film su "nessuno" dei miei libri e loro ne hanno scelti "tre"!
La mia ultima speranza è che orde di volontari leggano queste mie parole, comprino tutti i biglietti disponibili e non vadano a vedere il film”.
Lemony Snicket
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