Casanova

Dimentichiamoci Venezia

Arriva sui grandi schermi l’ultima versione delle celeberrime gesta amorose del più grande seduttore di tutti i tempi, realizzata per la prima volta interamente nella città che vide Casanova nascere, crescere e farsi mito. E come nella migliore tradizione disneyana, se la storia e il contesto diventano un canovaccio per ricreare nuove avventure, lo spirito è quello de La maledizione della prima luna, dei film “cappa e spada” che un tempo facevano le gioie di grandi e piccini raccontando storie spesso romanzate, sicuramente affascinanti e divertenti, come Scaramouche con Stewart Granger o dei film resi mitici da Errol Flynn.
Il regista Lasse Hallstrom, trova così nella leggerezza di Chocolat la chiave di interpretazione di Casanova, concentrandosi sul ritmo, calibrando le battute e girando con mano leggera quanto un colpo di fioretto, una commedia pieno di brio e incalzante ironia. La sceneggiatura (Jeffrey Hatcher e Kimberly Simi) costruita a 'mo di pièce, così come la fotografia pittoresca di Oliver Stapleton e il puntuale montaggio (numeri da palcoscenico per lui) di Andrew Mondshein, assecondano questa volontà e il regista guarda i suoi protagonisti attraverso una mascherina divertita sotto cui si cela uno sguardo depurato da qualsiasi condizionamento storico o letterario.
Così il film gravita intorno alle avventure del giovane Casanova (Heath Ledger), maestro e d’armi e d’amore, predatore di cuori, forse nel ricordo dell’unica donna che non è riuscito a conquistare (una madre che lo ha abbandonato per seguire la passione per la scena e il suo grande amore) che si fa conquistare per la prima volta da Francesca Bruni (una determinata Sienna Miller), scaltra fanciulla con il vezzo della poesia. E se da una parte, queste licenze narrative rispetto alle Memorie del nostro, rischiano di rendere il film superficiale, dall’altra offrono al regista uno sdoganamento artistico e creativo che gli permettono di realizzare semplicemente un divertissement di impianto teatrale più attento ai toni della Commedia dell’Arte che alla ricostruzione storica o filologica degli eventi.
In quest’ottica il film funziona, diverte e conquista la critica snobista a suon di applausi alla prima proiezione per la stampa della 62. Mostra dove è stato presentato, soprattutto grazie alla vivacità della regia, al continuo gioco di equivoci e travestimenti, e alle ottime interpretazioni su cui svettano un inedito e mai così autoironico Jeremy Irons, che sembra divertirsi un mondo a dissacrare la sua carriera seriosa (proprio a Venezia ne Il mercante di Venezia di Michael Radford troviamo la sua ultima interpretazione drammatica nel ruolo del dolente e insopportabile Antonio) e la stessa Chiesa Cattolica (“noi possiamo tutto” è l’ultima fulminante battuta) nel ruolo del vescovo Pucci, e l’incontenibile Oliver Platt, nei panni Papprizzio, il grasso e rubicondo pretendente di Francesca che sembra uscito da una tela del Longhi.
Interpreti sopraffini guidati da un Heath Ledger capace di passare con la massima disinvoltura dal cowboy gay di Brokeback Mountain al seduttore simbolo di virilità maschile per eccellenza, prendendo un personaggio storico e conferendogli freschezza e ironia, come già fece in Destino di un cavaliere, altro dissacrante film in costume, poco incline ad assecondare fonti storiche o noiosi dettagli filologici.
Così come non c’è realismo in senso stretto in Casanova, ed è assurdo voler cercare in questo film disneyano, un’aderenza con la realtà e il suo contesto che non ha e che soprattutto non ha mai cercato.
E a dispetto delle critiche fin troppo facili mosse a questo film, l’aspetto più realistico e veritiero della sua mise en scène, sta proprio nella capacità di Casanova di mascherarsi e mettersi in gioco, ricreando ex novo uno spirito carnevalesco, con arguzia goldoniana, in un artificio fantastico e innocente che dura l’attimo di uno svelamento. Non è forse questa la vera essenza di Venezia?


Ottavia Da Re

Casanova
© Touchstone Pictures

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