Neverland - Un sogno per la vita
Con il pretestuoso intento di ricostruire in termini biografici l'esistenza di sir James Matthew Barrie, il
celeberrimo creatore di Peter Pan, Marc Forster abbozza un ritratto che sceglie la distanza dal realismo per assumere i
tratti dell'invenzione, rileggendo la vita del drammaturgo in chiave mitica, attraverso la sua produzione letteraria. Se
nel precedente Monster's Ball il regista aveva immerso la mdp nei recessi più bui dell'esistenza e dei sentimenti, in
Neverland (per noi banalmente Un sogno per la vita) lascia esplodere il potere dell'immaginazione nel suo tono più
favolistico. Tant'è che, più che a una biografia, il film finisce per assomigliare proprio a un'opera di fantasia.
Barrie (Johnny Depp) é in piena crisi. Non solo sul lavoro, anche nella vita: le sue ultime produzioni teatrali sono
state un disastro, il produttore (Dustin Hoffman) inizia a soffiargli sul collo, il rapporto con sua moglie (Radha Mitchell) scricchiola e si raffredda. Fino a che l'incontro con la dolce vedova Sylvia Llewelyn Davies (Kate Winslet) e la sua tribù
di quattro figli non gli restituirà l'interesse per la vita e l'amore per l'arte. L'unico problema, per lui uomo sposato,
saranno le convenzioni sociali e il giudizio della madre di Sylvia (Julie Christie), entrambe di ferro nel guardare al legame
troppo stretto e troppo anomalo con la vedova e i suoi figli.
Ovviamente gli originari sospetti di pedofilia vengono qui lasciati lontani, ridotti a mera intuizione bollata come
malelingua; Sylvia é vedova (non sposata come vuole la cronaca) e il platonico sentimento che la lega a J. M. Barrie
presentato con leggiadro gusto del sottinteso.
Nella figura del protagonista riescono così a emergere i tratti del suo personaggio più celebre, il bambino che non
voleva crescere, sotto le spoglie di sfida alle convenzioni sociali più che in termini di conflitto interiore, di natura
psichica. Di nuovo, ogni elemento psicoanalitico può solo serpeggiare in Neverland, lasciarsi leggere fra le righe del
racconto.
Eppure la convenzionalità non contamina l'inattesa freschezza di una pellicola giovane, studiata sì per accompagnarsi
ai fazzoletti nello struggente finale, ma straripante nelle modalità di racconto.
L'ispirazione che per la figura di Peter Pan si vuole arrivata dal figlio più piccolo di Sylvia, Peter Llewelyn
Davies (Freddie Highmore), rende il parallelismo vita/fantasia fertile nell'immaginazione che integra al flusso degli eventi
sequenze filo-oniriche (lo scontro con gli indiani in un selvaggio West, la danza circense con l'orso, il materializzarsi
dell'Isola-che-non-c'è), abilmente sfruttate dalla regia di Forster, decisamente morbida, con l'uso di una macchina da presa
rapida e mobile, che si lancia in spettacolari dolly per seguire i voli di un'immaginazione più veloce di Peter Pan nel
colmare le lacune di felicità che la vita lascia stinte.
Tutto Neverland si costruisce attorno al tema della rappresentazione, alla dinamica che anziché opporre verità e
finzione cerca per loro un punto d'equilibrio: alle scene ambientate in teatro (dove il film si apre) si aggiungono quelle
della piccola commedia che i figli di Sylvia allestiscono per la madre in giardino, quelle del sogno che assume consistenza
più concreta nel finale, quelle immaginate da Barrie e dai bambini nei quali si può riconoscere la brigata dei Bimbi
Sperduti, soprattutto grazie alla contrapposizione con un Capitan Uncino che si incarna nell'acida nonna.
Il resto, come in ogni classica opera che batte bandiera Miramax, lo fa il lavoro di ricostruzione scenica che
include i costumi di Alexandra Byrne e Mary Kelly e soprattutto le bellissime scenografie di Peter Russell, ben riprese da
Forster che usa gli interni con sottigliezza, muovendosi al loro interno per caricarli di significato con riprese ora più
simmetriche e schematiche (nei luoghi degli incontri ufficiali, nei salotti in cui hanno luogo i dialoghi tesi fra Barrie e
sua moglie) ora più disinvolte (soprattutto nelle camere dei bambini).
Dieci e lode ai protagonisti, l'eccellente Johnny Depp, adulto la cui sindrome di Peter Pan cozza contro le regole
d'etichetta, e l'impeccabile e luminosa Kate Winslet, che elimina i tratti più stereotipati con appassionata dolcezza,
tesa ma sempre carismatica.
Il brio e la disinvoltura interpretativa che portano la Winslet e Depp sono ottimo contraltare per la rigidità
concettuale - e inevitabilmente sociale - della norma etica più tradizionale e parruccona (i critici teatrali, l'etichetta
cui sono devote la moglie di Barrie e la madre di Sylvia), che finisce in modo ovvio per diventare l'essenza di quel mondo
adulto, incarnato in Peter Pan dalla ciurma dei pirati - una raffigurazione interessante, in proposito, é arrivata lo
scorso anno con il Peter Pan di P. J. Hogan. Con cosa sopravvivere, allora? Con la fantasia, che Neverland traduce in
generosa fecondità creativa.
Alessandro Bizzotto
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