Il cartaio
Dario Argento, che sa sempre come costruire un film dai toni forti, segue con Il cartaio le
mosse di un serial killer che, dopo aver catturato le sue potenziali vittime, lancia alla polizia
sfide online di video poker. La posta in gioco è la vita dell'ostaggio. Ad incastrarlo proverà
una giovane agente, Anna (Stefania Rocca), coadiuvata dal valido detective inglese John (Liam
Cunningham), spedito all'ambasciata italiana in qualità capro espiatorio di un errore commesso
da un corpo di polizia britannico. Risolvere il caso sarà pericoloso e per niente semplice.
Un clima di sotterranea, forte eccitazione attraversa il film secondo modalità cui il regista
ci ha abituato da tempo. Paura e tensione latente non abbandonano quasi mai lo schermo,
alimentando costantemente una suspance che esplode e si ritrae in un gioco non chiassoso, ma
sempre presente.
E' la firma di Dario Argento. E' quello sguardo che la definizione vuole ludico per
via dell'investimento emozionale sottinteso, che diversi maestri del cinema hanno adottato e
adottano declinandolo in numerose forme differenti. Solo per fare un esempio, senza spingerci
troppo lontano, pensiamo all'elemento del tempo che incalza, tipico di tutta la tradizione del
genere thriller.
Ma la mano di Argento non si riconosce solo da questo. E' un gusto - un po' gratuito - per
l'horror quello che serpeggia nelle soggettive e nei primissimi piani sugli organi di un
cadavere, durante l'ispezione che Anna e John fanno all'obitorio. Labbra livide, occhi gelatinosi
e via dicendo. Non c'è ruolo narrativo preciso, ma sembra presente un certo compiacimento.
Soprattutto, torna la dialettica fra vedere e non vedere, fra scorgere qualcosa di vero e
credere di vedere qualcosa che non c'è. In Profondo rosso bastavano un dipinto e uno specchio
per dare il via a questa opposizione. Ne Il cartaio ci sono le moderne tecnologie di rete, cui
è abbinata una colonna sonora che diventa assordante nel riprodurre suoni elettronici e digitali.
Il racconto si mantiene sempre teso (ma a volte un po' arido), come se temesse di perdere colpi
strada facendo. Forse è questo elemento ad aver danneggiato in qualche punto la storia, che ha
alle spalle una sceneggiatura non sempre limpida in cui sfugge la logica di qualche passaggio
(quando il maghetto del poker Silvio Muccino vince una partita con l'assassino, tutti esultano e
gioiscono senza accertarsi che il killer rilasci la sequestrata come promesso).
E' - forse - un cinema che ha segnato anche un passaggio generazionale, da coloro che hanno
subito il fascino della lunga serie di gialli storici alle nuove leve in parte desensibilizzate
dalla precoce alfabetizzazione ai linguaggi mediali. Dalla suspance di Hitchcock, costruita
dilatando i tempi, si è passati al bisogno di ritmi serratissimi perché il brivido non scenda
sotto un livello di guardia che è sempre più difficile raggiungere. Bisogna saperla costruire, la
paura. Ma se parliamo di spaventi, Il cartaio promette bene. Non terrorizza a morte, ma ci
ricorda quanta paura abbiamo dell'incerto.
Alessandro Bizzotto
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