Appuntamento a Belleville
Niente eroi, in Appuntamento a Belleville. Almeno non convenzionalmente parlando. E una trama
semplice e lineare. La storia di un timidissimo bimbo francese, tirato su dall'affetto della
nonna con un cane come unica compagnia, che la passione per il ciclismo porterà a partecipare al
Tour de France. Sembrerebbe il nuovo calco del riscatto nella realizzazione del sogno, eppure non
è così. Durante il Tour, la mafia rapisce il nostro, e la nonna, piena di spirito e senza paura,
partirà con cane al seguito seguendo le tracce del nipote fino ad arrivare alla città di
Belleville, che sarà teatro del cuore della vicenda e del suo epilogo.
Cartoon da festival (era nella selezione ufficiale a Cannes 2003), l'opera di Sylvain Chomet è
parecchio distante dalla tradizionale ricetta del film animato; tant'è che, più che divertire i
bambini, affascina i cinefili adulti. Non è diverso perchè stravolge le regole del gioco,
reinventando le regole dell'intreccio, ma perchè ne approssima per difetto le componenti.
Appuntamento a Belleville è un film basato sui silenzi, lunghi e protratti, che lasciano
parlare i gesti e le espressioni dei volti disegnati con accurata stilizzazione; sono silenzi che
aiutano e non soffocano l'affiorare dei sentimenti. E infatti le parole, le poche battute
pronunciate, sono quelle inutili, quelle incomprensibili della cameriera della tavola calda,
quelle gonfiate degli annunci radiofonici, quelle confuse dei mafiosi radunati nel finale, tutte
assimilabili al puntuale abbaiare del cane, vera mascotte del film, al passaggio del treno sui
binari. Solo quella domanda, che apre e chiude il film con precisa simmetria ("E' finito il
film?") non cade nel vuoto, anche se troverà risposta solo nel finale.
L'inizio è uno spezzone in bianco e nero che mostra ciò che avviene in una serata a teatro: è
il programma che sta guardando alla televisione il bimbo, la cui cornice di finzione ci verrà
rivelata solo in seguito (Scorsese ha fatto una cosa simile con L'età dell'innocenza,
ambientandone l'incipit a teatro). "E' finito il film?" chiede la nonna al nipote. E' la battuta
che ci porta alla realtà, al punto di partenza della storia. Ma la domanda si ripresenta alla
fine. Quando crediamo di esserci arrivati, di nuovo la stessa voce, la stessa domanda, "E' finito
il film?". E davanti alla televisione, il nostro ciclista, ormai anziano e canuto. Come se avesse
visto la sua storia, la sua strana avventura, sullo schermo.
Appuntamento a Belleville è infatti pieno di rimandi alla componente onirica. Intere sequenze
materializzano i sogni del cane, che nel sonno immagina di salire sul treno cui abbaia sempre e
di osservare dai finestrini i passeggeri a terra, in una situazione rovesciata. Ma anche la
narrazione stessa si scosta spesso dal reale e dal concreto: facce che diventano hamburger nel
transitare fra una scena e l'altra, pentole di pop-corn artigianali (vedere per credere!)
accostate alla luna piena, addirittura statuette del premio Oscar ingrassate. I numeri musicali
prendono il via senza un motivo (e sempre senza parole), l'ironia è sfumata e impalpabile.
E - unico momento di poderoso lirismo - la traversata dell'oceano in pedalò, affrontata dalla
nonna e dal fedele cane giallo, con tanto di tempesta e balena che affiora in superficie.
Insomma, non è certo il taciturno ciclista il vero protagonista, moscio e spento al punto di
non opporre la minima resistenza ai mafiosi che lo rapiscono (due uomini-armadio con la testa
incassata fra spalle quadrate simili a una gobba). E' la nonna il motore della storia, la
simpatica vecchietta con crocchia e scarpa ortopedica che impone il suo ritmo al suono del
fischietto, che avrà come aiutanti tre coetanee, stelle del varietà canoro parecchi anni
indietro. Guarda caso, le stesse che animano il programma iniziale in bianco e nero.
E' la nonna che pone quella domanda chiave, "E' finito il film?". E se all'inizio non ottiene
risposta, alla fine - finalmente - il nipote parla. "Sì", il film, l'intera storia rivista sullo
schermo, è arrivato alla fine. Realtà o sogno? Desiderio messo in immagini?
Forse la risposta è banale. Se è vero che proiettiamo i sogni in immagini, un film catalizza
sempre i nostri sogni. Alessandro Bizzotto
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