Floating Landscape
Presentato in Concorso alla 60° Mostra d'arte cinematografica a Venezia, Floating Landscape è il secondo lungometraggio della regista originaria di Honk Hong Carol LAI Miu-suet, dopo il commuovente e drammatico Glass of Tears del 2001. Precisa intenzione della regista era rappresentare la naturale grazia e calma che , a suo parere, caratterizzano il popolo cinese e per fare ciò s'è ispirata alla tradizione della poesia lirica e dell'eterea pittura della sua terra, sfruttandone i linguaggi e le tecniche espressive. Come la stessa Miu-suet afferma "un'idea che mi affascinava era l'utilizzo di due stili pittorici differenti per illustrare la differenza fra due mondi: la leggerezza dell'amicizia di contro alla pesantezza della vita, la luminosità del sentimento d'amore di contro all'oscurità della solitudine". E proprio su questi due perni ruota e s'interroga il malinconico, delicato e poetico Floating Landscape: la condizione d'isolamento entro la quale si rinchiude Maan, la dolce protagonista, e la possibilità della rinascita interiore attraverso la riscoperta dell'amore per se stessa per gli altri. Argomenti importanti, spesso carichi di dolori e dispiaceri , che hanno la caratteristica dell'universalità, che permettono a chiunque di poter riconoscere, almeno in parte, sentimenti già vissuti in un momento anche lontano della propria vita.
Questo credo sia uno dei punti di forza del film che, seppur non molto originale, con una modestia ed una tranquillità davvero estranee alla cultura occidentale riesce a coniugare in modo delizioso la particolarità dell'ambientazione, le tradizioni ed il retaggio culturale millenario della Cina con il senso d'universalità territoriale, ma anche e soprattutto temporale del sentire umano, della lacerazione in seguito ad una perdita devastante come quella subita dalla giovane Maan che perde il fidanzato, nonché centro del proprio mondo, del disperato tentativo di accettare se stessi nonostante i cambiamenti che ci fanno smarrire quell'identità che tanto difficoltosamente avevamo raggiunto, per finire a riconoscere noi stessi, o la nostra nuova immagine, in un paesaggio fluttuante, un quadro che rappresenta il momento più vero della nostra vita. L'ultimo disegno che Sam lascia a Maan prima di morire è forse la sua stessa essenza, è il simbolo che racchiude tutto quello che, una volta morto, non sarà mai più: quel frutteto sulle colline immerso in un'atmosfera da sogno raccoglie il suo passato, è infatti il luogo della sua infanzia, ma anche il suo futuro, è un posto al quale pensa continuamente e che desidererebbe ritrovare, anche in compagnia dell'amata, come se quello fosse l'unico modo per aprirsi veramente a lei. Maan capisce tutto questo e, alla morte di Sam, si aggrappa al disegno con tutte le sue forze, molto più che al diario di lui che meticolosamente ricopia ogni sera, nella speranza che, trovando il luogo che da sempre ossessionava il fidanzato, lo possa in qualche modo legare a sé per sempre, negandosi un futuro di felicità incapace com'è di pensare se stessa senza Sam.
Con la morte nel cuore, quindi, la protagonista parte per una ricerca che, se inizialmente è volta a scoprire il passato altrui nel tentativo di conferire un significato alla solitudine della propria vita, piano piano la porta verso la difficile presa di coscienza che per lei la vita non è finita né tantomeno lo sono la felicità e l'amore, grazie soprattutto all'affettuosa amicizia con il timido postino Lit, che l'aiuta nella ricerca del luogo, prima, e di se stessa poi.
Con una regia delicatissima ma senza errori né incertezze , Floating Landscape avvolge lo spettatore in un trasognato circuito di emozioni e sensazioni, dove la storia è secondaria, l'agire non è quasi mai fondamentale e dove la fotografia, peraltro splendida, invita alla riflessione e all'introspezione.
Marta Ravasio
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