Le Divorce
"Le divorce" ('il divorzio' nella lingua madre di Parigi) è quello fra Roxeanne de Persand e il
fedifrago marito francese Charles-Henry. Quando lui la lascia all'inizio della gravidanza, la
separazione - con i suoi processi legali - coinvolgerà le famiglie dei due coniugi
in un complesso intreccio di rapporti che vedranno confrontarsi lo spirito americano (incarnato
dall'intraprendente sorella di Roxeanne, Isabel) e la cultura francese.
Le Divorce è nato dall'amore di James Ivory per il romanzo omonimo di Diane Johnson. "E' una
storia di rapporti umani sullo sfondo dello scontro fra due culture", ha dichiarato il regista.
Tant'è che il film mette a tema proprio questo incontro/scontro, la cultura americana davanti a
quella francese.
Non deve trarre in inganno l'ambientazione moderna (Parigi, giorni nostri), cui Ivory può
sembrare poco avvezzo dopo una lunga serie di adattamenti letterari, da Maurice a Camera con
vista a Casa Howard; del resto il regista ha già realizzato La figlia di un soldato non piange
mai, un dramma non in costume. E non bisogna dar credito all'aria da commedia leggera cui
l'accorto lancio della pellicola può far pensare.
Innanzitutto qui c'è sempre un romanzo alla base; e Ivory sembra ricordarcelo, quando
sfoglia le immagini come fossero pagine di un libro, nel passaggio da una scena all'altra. E,
cosa forse più importante, con Le Divorce l'autore conferma di essere il regista moderno che più
di ogni altro ha fatto convivere la cinematografia americana e il gusto europeo. Ma la strategia
è nuova in questo caso: qui Ivory non porta al pubblico americano storie europee, facendole
distribuire da case U.S.A.; mette direttamente in scena un punto di contatto fra due mondi,
studiandone analogie e differenze profonde.
Sotto questo punto di vista, la storia (e il suo tono meno impegnato del solito) è
perfettamente funzionale a un'analisi già propria di diverse scuole sociologiche: può sembrare
un esperimento sul campo, non troppo diverso da quelli di psicologia
sociale o studi simili. E anche se è necessario tener presente tutte le differenze del caso
(Ivory è un cineasta che ha sempre saputo trattare la sua materia con sottile ironia), il
paragone non mette fuori strada.
Le Divorce si apre con dei titoli di testa che sono quanto di più tipicamente parigino si possa
immaginare: disegni moderni di cibi e abiti francesi accompagnano i credits in perfetto stile
franco-europeo. Eppure lo sguardo rimane esterno: non sono titoli francesi elaborati da un
francese, ma titoli francesi elaborati da un americano. Ivory inizia subito a giocare con gli
stereotipi in modo non stereotipato, sfruttandoli non solo per produrre humour, ma anche per
aggiungere tasselli al suo mosaico. Spesso in Le Divorce americani e francesi si muovono critiche
basate su inferenze tipiche del sentito dire; i francesi ripetono costantemente: "Ma certo"
anche per le cose meno ovvie; gli americani non hanno il senso dell'occasione; e via dicendo.
Sono stoccate caustiche, ma addolcite da un procedimento narrativo originale, per nulla scontato.
Le critiche alla cultura francese sono fatte apertamente attraverso il filtro dell'occhio
americano, che non può non notarne difetti e manierismi. Eppure, questo non vuol dire che l'indole e
i costumi statunitensi attraversino il film a testa alta uscendone indenni. La satira invisibile
e discreta tipica del tocco Merchant/Ivory (la casa di produzione del regista) li non risparmia.
Il gioco è sottile: i biasimi aperti provengono da francesi già poco simpatici (come la madre
di Charles-Henry), è vero; ma ad Ivory non servono battute pungenti. Gli basta osservare, seguire
gli americani con la macchina da presa; e il loro lato meno perfetto emerge spontaneamente.
La stessa Isabel, che dovrebbe passare per la solare e genuina protagonista di Le Divorce, non
ne esce certo come una figura irreprensibile; è leggera, a tratti sconsiderata, la ragazza
che sfoggia una costosissima borsa Kelly (così chiamata perché cara a Grace di Monaco) anche
nelle occasioni meno adatte. E neppure la sua americanissima famiglia è un modello di
savoir-faire. Sua madre Margeeve è una gran brava persona, certo, ma facilona, spesso poco
assennata, facile agli slanci. Suo fratello Thomas troppo interessato al risvolto finanziario del
divorzio di Roxeanne.
Chi resta, allora, a salvarsi e fare da ponte fra i due mondi? Roxeanne, la moglie abbandonata
che supera il suo dolore grazie al tempo e a un nuovo amore. Sintesi fra l'America (dov'è nata)
e la Francia (dove vive), conserva un equilibrato distacco, una
lucida consapevolezza delle due culture cui appartiene e delle loro differenze. Posta davanti a
una prova difficile - la condizione di madre abbandonata all'inizio di una nuova gravidanza -,
Roxeanne sa analizzare il contrasto fra la sua famiglia e quella dei Persand ristabilendo il
peso delle priorità (la separazione è cosa ben più grave ai suoi occhi dei dissidi fra congiunti)
e impiegando in modo personale una conoscenza completa di entrambi gli universi valoriali.
Un ruolo esaltato dalla splendida interpretazione di Naomi Watts, in grado di regalarci attimi di
autentica commozione anche in un contesto leggero. Contraltare dei sorrisetti di Kate Hudson
(che veste i panni di Isabel), la Watts riempie Roxeanne di cristallina passione e di malinconia
negli sguardi velati di lacrime, virando poi nel finale verso una brillantezza tanto inattesa
quanto delicata. Da antologia la scena in cui reagisce con colpi di borsa alle
proposte del tradito Matthew Modine, abbandonato dalla compagna che ora vive con l'ex-marito
di Roxeanne.
Ivory è ringiovanito? Ivory non è mai stato vecchio.
Alessandro Bizzotto
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