Triplo gioco
Neil Jordan rilegge Jean-Pierre Melville. Con Triplo gioco (The Good Thief), il regista de
La moglie del soldato e Intervista col vampiro dà nuovamente vita e vigore alla storia di "Bob il
giocatore". Quella di Bob, ladro ormai avanti negli anni, idealista, disincantato, ma che tende
ancora a difendere le cause quasi perse e s'è fatto amico del commissario che più di una volta
l'ha spedito al fresco. Stanco (e appagato?) dalla sua carriera, Bob è sempre più intenzionato
a scivolare nell'ombra di una routine da condividere con l'eroina -da cui non riesce a
liberarsi-; ma due eventi ricondizionano i suoi progetti. L'aiuto a una giovanissima ragazza
dell'est, che Bob sottrae alla strada per mostrarle la via di una vita migliore, e la proposta
di un colpo clamoroso: svaligiare l'inespugnabile Casinò di Montecarlo, alleggerendolo di una
celeberrima collezione di dipinti, e farlo fingendo di mirare invece alla ricca cassaforte.
Cineasta di razza ed eccellente narratore, Neil Jordan racconta come sempre a modo suo, qui
più che mai senza tentare di sedurre lo spettatore. Così come, del resto, ha sempre fatto.
Persino con Fine di una storia (probabilmente il suo miglior film). Raccontava l'amore
impossibile con i toni mistici e poetici di un'epopea, ma senza furbe scorciatoie. Lì
sprigionavano fascino musiche, fotografia e un duetto d'attori mai così ben calibrato (Ralph
Fiennes e Julianne Moore). Triplo gioco, invece, non ha una colonna sonora memorabile, nè una
-pur buona- fotografia da premio.
Sono i toni e i modi con cui le storie s'incastrano e la fluidità inaspettata di una vicenda
bifronte l'appiglio solido del film. Che, onestamente, disorienta nel suo incipit così poco
usuale, per nulla tipico, ibrido fra toni e generi quasi stonato. L'elemento disadorno fino
all'eccesso, quasi mai frequentato dalla tradizione cinefila americana. Le atmosfere squallide
che ammiccano al noir, ma che non ne hanno la patina ambiguamente seducente. La componente
brusca dello spionaggio, anche se Triplo gioco non condivide quasi nulla con il genere.
Ma non è una stonatura inconsapevole, l'effetto di un freno tirato troppo tardi. E' sempre
Jordan che si diverte abbozzando particolari diversi prima di passare al soggetto principale. E
che, una volta entrato nel vivo della vicenda, non vuole o non riesce a fare a meno di uno
stile vagamente insinuante, certamente non convenzionale. Si concede adesioni tese al malessere
del protagonista (la crisi dovuta all'astinenza da eroina che s'impone per tornare lucido in
vista del colpo, messa in scena con inquadrature ravvicinate e claustrofobiche al viso sudato),
una panoramica del piano di furto degna dell'azione più nota e pochi momenti lucidati dal
glamour del Casinò. Senza rinunciare a un'impronta insolita: brevissimi fermo immagine che
chiudono la maggior parte delle scene. Come se i fatti si fermassero nella loro corsa piena di
foga. Come se l'incedere degli eventi obbligasse a una pausa, a quei pochi secondi per riprendere
fiato.
Nel tono ora teso ora più sciolto che, avvicinandosi al finale, sfiora a malapena la
brillantezza -stavolta europea-, la sceneggiatura firmata dallo stesso regista evita tanto le
domande etiche (quanto è lecito fare un eroe di questo malinconico signore, un gentiluomo, ma
pur sempre un ladro?) che le lungaggini sentimentali (attorno alla ragazza redenta), affidando
il ruolo principale a un ruvido e assai bravo Nick Nolte e tenendo un piccolo ruolo, non
accreditato nei titoli, per Ralph Fiennes, che in un'amichevole partecipazione nel ruolo di uno
spietato ricettatore d'opere d'arte regala attimi di somma arte interpretativa.
In coda, un finale ad effetto non troppo marcato, essenza opposta di quell'inizio
fuorviante, per una sorta di Ocean's Eleven all'europea, più raffinato, molto più consapevole.
Alessandro Bizzotto
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