In the Cut
Que sera sera ("Sarà quel che sarà") canta la voce che accompagna l'incipit di In the cut.
I titoli di testa scorrono su immagini che prima ritraggono la degradazione di alcune strade di
New York, tutte spazzatura e umidità, e poi, per contrasto, la nevicata di petali bianchi in un
giardino in piena fioritura. Il nuovo film di Jane Campion si apre con una pacatezza vagamente
insinuante, sempre raffinata.
New York è la città in cui vive Frannie Avery (Meg Ryan), docente universitaria di letteratura;
il giardino che si riempie di fiori bianchi è quello di casa sua. E la cascata simile al fioccare
della neve offre l'occasione per la prima, bellissima esplosione del genio visivo della Campion:
in bilico fra il sonno e la veglia, Frannie immagina un gruppo di pattinatori su una pista
di ghiaccio, circondati da neve fresca. Un inserto onirico in un caldissimo bianco e nero che
può essere considerato un'evoluzione delle sequenze immaginarie di Ritratto di signora (girato
dalla Campion nel 1996) che mettevano in scena il desiderio della protagonista Isabel Archer. Ma
le immagini di In the cut sembrano avvicinarsi a quelle di un incubo, quando uno dei pattinatori
lascia sul ghiaccio una scia rossa che squarcia lo schermo.
Frannie è una donna schiva, forse troppo riservata, dall'intelligenza acuta, che nasconde
dietro i modi scostanti le insicurezze che la sua solitudine genera. Unica amica, l'estroversa e
insoddisfatta sorellastra Pauline (Jennifer Jason Leigh), con cui Frannie ha un rapporto di forte
complicità. La distanza di sicurezza che ha messo fra sè e ciò che la spaventa della città e
della vita è invasa dalla presenza del ruvido detective Malloy (Mark Ruffalo), che indaga sul
raccapricciante caso d'omicidio di una ragazza dello stesso quartiere di Frannie. Conoscere
Malloy risveglia i desideri taciuti della donna: la torbida relazione che intrecciano la porterà ad iniziare un viaggio attraverso le paure che ha sempre negato.
Tratto dal romanzo Dentro di Susanna Moore e sceneggiato dalla stessa autrice e dalla
regista, In the cut è una viscerale analisi psicologica prima di essere un thriller, e una
passionale storia d'amore prima di essere un'esplorazione dell'ossessione sessuale. Maestra nel
muovere la macchina da presa senza dare l'impressione di farlo, la Campion costruisce la storia
con lo stile essenziale che le è congeniale, rifiutando la tensione esoterica che attraversava
Lezioni di piano e rimanendo vicina ai toni meno patinati di Holy Smoke. Inquadrature
a mala pena messe a fuoco, soggettive attraverso i vetri bagnati di pioggia di un'auto, brevi
carrellate attorno alla protagonista ne rendono visibile il conflitto interiore; le fasi della
storia con Malloy sono scandite dalle scritte dei manifesti che Frannie legge in metropolitana,
le cui citazioni spaziano da Federico Garcia-Lorca ("L'inerzia dell'acqua sotto una fronda di
stelle / L'inerzia della tua bocca sotto un boschetto di baci") a Dante ("Nel mezzo del cammin di
nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita").
Le concessioni all'aspetto del thriller più conosciuto sono poche e misurate, ma la Campion sa
generare tensione anche con un'unica inquadratura. Per questo sorge il sospetto che la componente
della detective story non sia mal inserita come le critiche più feroci vogliono, ma appositamente
dosata con ritrosia consapevole. Anche l'erotismo, rifiutato in parte dalla censura americana con
lavoro di forbici, ma integro nella versione per l'Europa, è mostrato senza ambiguità e in modo
mai volgare o gratuito, come parte del processo dell'evoluzione emotiva.
La discesa nell'inferno personale di Frannie, rappresentato in metafora dai quartieri più
malfamati della city, bui e infidi, è talmente mimetica da essere talvolta sopra le righe.
Questo è vero. Jane Campion rischia la stessa ambigiutà di alcuni personaggi di Lezioni di
piano: non concede niente a ciò che non è necessario per mettere a nudo la sua protagonista,
disorientando con ellissi criptiche. E il ritratto di Frannie è piuttosto lontano da quello a
tutto tondo della lady Archer di Ritratto di signora. Ma lì c'era Henry James dietro le
spalle. Qui, invece, la volontà di scoprire cosa significa essere una donna sola alle prese con
un caso d'omicidio nella New York di oggi.
Seguire Jane Campion non è mai stato facile per lo spettatore; ma arrivare alla fine delle sue
storie senza aver rinunciato a starle dietro è indubbiamente gratificante. Anche se in In the cut, forse più che negli altri film della regista, la chiusura è dura e simbolica, con
quell'abbraccio molto meno convenzionale di quello che si scambiavano Holly Hunter e Harvey
Keitel in Lezioni di piano; e la porta che si chiude davanti ai due protagonisti fa
tornare alla mente quella dinnanzi a cui si fermava Nicole Kidman nell'ultima immagine di
Ritratto di signora.
Il confine fra immaginario e reale è un bagnasciuga dai confini mai netti (sembra ricordarlo il
rumore dei pattini sul ghiaccio nel sogno che si trasforma nel gracchiare sordo di un campanello
nella realtà), così come è insicura la linea che separa l'attrazione dalla paura. Tutto In the cut nutre un'atmosfera disperata, di incertezza latente, che rende il risultato pervaso da una
tensione simile (ma non identica) a quella noir.
Meg Ryan, con capello castano liscio che sostituisce le celebri ciocche bionde, scava nel
personaggio di Frannie in un processo di ricerca denso e completo. Scelta per il ruolo dopo la
rinuncia di Nicole Kidman (che è rimasta, comunque, nelle vesti di produttrice), la Ryan
interpreta una donna che vive un brusco risveglio sensuale ed emotivo con audacia e coraggio,
sottoponendosi ad una riuscita metamorfosi.
Bravi i comprimari, bravissimi Mark Ruffalo e Jennifer Jason Leigh. Alessandro Bizzotto
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