Un amore a 5 stelle (Maid in Manhattan)
Ufficialmente Un amore a 5 stelle può vantare qualcosa di positivo.
Il regista, Wayne Wang, ha alle spalle film come Smoke (Orso d'oro a Berlino) e Blue in the
Face.
E la presenza di un'attore come Ralph Fiennes è già una mezza garanzia.
Eppure quella che i trailer hanno salutato come "la più romantica commedia dai tempi di Pretty
Woman" fatica tremendamente a decollare.
La storia d'amore ostacolata dai conflitti di classe è qualcosa di visto in molte salse, e per
non apparire banale o scontata necessita di varianti aggiornate. Ma la sceneggiatura di Kevin
Wade argina gli ostacoli di un'operazione che avrebbe dato nuova linfa a qualcosa di già noto.
La protagonista Marisa vive sola col figlio di otto anni e lavora come cameriera in un
fantastico hotel di Manhattan; è generosa, onesta, una lavoratrice modello, e al contempo fiera e
determinata. Il protagonista Christopher Marshall è bello, ricco e candidato al Senato, ama gli
animali e accoglie con una scrollata di spalle i consigli del cinico agente e curatore
d'immagine.
Le circostanze in cui si conoscono includono equivoci (Marisa viene scambiata per una ricca
ospite dell'hotel perché sta provando una mise da favola scartata da un guardaroba) e paradossi
(Christopher vuole portare a spasso il suo cane, conosce il figlio di Marisa in ascensore, gli
propone d'accompagnarlo e i due -un candidato al senato e un bambino- vanno insieme a cercare la
madre del secondo).
Certo la fantasia non manca, anche se attinge in modo un po' sterile alla tradizionale ricetta
rosa made in U.S.A.
E il risultato viene messo sullo schermo come l'episodio di una serie tv che manca di soffio
e spessore creativo.
La regia di Wang, sistematica e per questo accusata d'impersonalità, si mesce ai toni ora
svagati ora zuccherosi per dare un mix che, almeno, evita la noia, ma nulla può davanti alla
poca convinzione con cui gli autori stessi sembrano aver strutturato la storia.
Un amore a 5 stelle punta tutto o quasi sulla fortuna storica della commedia sentimentale
e si appoggia quasi troppo al divismo dei due protagonisti. Su cui, per altro, molto si potrebbe discutere.
Alla sottigliezza interpretativa di Fiennes la Lopez affianca soprattutto la volontà di omaggiare
se stessa (anche il suo personaggio viene dal Bronx), e mentre lui per prepararsi al ruolo ha
trascorso parecchio tempo con uomini politici, lei sembra aver sempre addosso una delle sue
creazioni J.Lo anche con un Dolce&Gabbana. Ed è palese quanto sia legittimo comparare la
consistenza artistica della cantante che nel tempo libero ha girato quel che sappiamo e
dell'attore che, quando non frequenta il set di Spielberg o Cronemberg, recita Shakespeare e
Cechov a teatro.
A questo si aggiunge il dispiacere di vedere relegata al ruolo della vanesia e vacua bionda
snob una figlia d'arte (sua madre è Vanessa Redgrave) come Natasha Richardson, troppo spesso
sotto-utilizzata ma già interprete di film come Nell.
Nemmeno ai personaggi di contorno è dato d'affrancarsi del tutto dalle fattezze dello
stereotipo.
Così, laddove la vita non si rispecchia, il mestiere langue, e l'emozione con lui. Alessandro Bizzotto
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