Trainspotting

Disturba, non si può negare. Per il linguaggio, per le immagini talvolta esplicite, per l'argomento trattato… ma ciò che provoca più disagio è qualcosa di intangibile, che percorre tutto il film e attraversa ogni singola inquadratura: è il senso di solitudine, di desolazione, di abbandono.
Sin dall'inizio Mark Renton (Ewan McGregor) dichiara di non voler accettare una vita banale e monotona, di cercare qualcosa di diverso, che dia un significato alla propria esistenza. Tuttavia questo "qualcosa" non riesce a trovarlo ne' nell'amore e nel sesso; ne' nella famiglia, che, pur con tutto l'impegno, non arriva a comprendere il ragazzo a pieno; ne', tanto meno, nell'amicizia: nessuno dei presunti amici si preoccupa davvero per Mark, lasciato solo nei momenti del bisogno, e ciascuno è pronto a sfruttarlo mettendolo anche nei guai.
Persi i "treni" dell'amore, della famiglia e dell'amicizia, Mark sale su quello della droga. Il desiderio di una vita piena lo porta, paradossalmente, al rifiuto della vita stessa…
Poiché nessuno dei suoi "amici" ha o avrebbe scrupoli nei suoi confronti, egli si sente autorizzato a tradirli, ammettendo di essere cattivo e giustificando così il proprio comportamento. Ma davvero Mark è "cattivo", oppure lo è diventato spinto dalle circostanze e dalle persone che gli sono accanto? Il sorriso ambiguo di Ewan McGregor che chiude il film ci lascia senza risposta…
Danny Boyle dà il meglio di sé con una regia da una parte cruda ed esplicita, dall'altra ricchissima di immagini simboliche. Il titolo stesso è metaforico: "guardare i treni che passano", osservarli mentre corrono davanti agli occhi senza riuscire a salirvi…
Colpisce, tra le tante immagini impressionanti, quella del bambino morto; essa ci ricorda il bambolotto che appare in "Piccoli omicidi tra amici", ma acquista una valenza ben diversa: lì era una semplice figura inquietante, in "Trainspotting" diventa il simbolo stesso dell'abbandono, e tormenta Mark mentre affronta, da solo, una terribile crisi. In effetti, Boyle sembra più volte riprendere spunti o motivi da questo suo precedente film per svilupparli: l'atmosfera a volte tetra e pessimistica, l'umorismo sottile e amaro, il tema dell'inconsistenza dell'amicizia…
Il trattamento che Mark subisce quando sviene per un'overdose, poi, è più eloquente di qualunque lungo discorso sul rapporto drogato-società: sia l'amico fornitore della droga, sia il tassista, sia le guardie e le infermiere lo maneggiano esattamente come un sacco della spazzatura!
Bellissima è, inoltre, la scena in cui il giovane è, questa volta, in crisi di astinenza. Un semplice letto, una coperta calda e fastidiosa, una stanza vuota e stretta, una porta sbarrata, un'infinità di treni disegnati sulla tappezzeria delle pareti, una musica martellante, una telecamera in movimento frenetico… e l'incubo di Mark ha inizio. La scena è ben costruita, e Ewan McGregor dà il suo tocco da maestro con un'interpretazione che trasmette allo spettatore il senso di claustrofobia e la mancanza di fiato che fanno star male il suo personaggio. Ewan è senza dubbio l'anima del film; sul suo viso esso si apre e si conclude. Il suo sorriso è una sorta di filo conduttore: accennato, pieno, inquietante, ambiguo, amaro, forse mai gioioso e sincero, esso ci rivela gli stati d'animo del protagonista più che tante parole.
Proprio con questo splendido sorriso si chiude, in dissolvenza, il film. Mark ha preso il suo treno e, quasi lanciando una sfida, ci guarda dritto negli occhi e sembra chiederci: "e voi su quale treno salirete?"


Lydia Colona

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