La fortuna di Cookie
Con "La fortuna di Cookie" Robert Altman fa uso di una struttura narrativa ormai consolidata:
prende diversi personaggi le cui storie vengono a intrecciarsi per dare, alla fine, un nitido quadro
d'insieme. Questa volta siamo a Holly Springs, una cittadina sul delta del Mississipi immersa in
una terribile tranquillità. La consolidata routine del paese è però sconvolta quando l'anziana
Cookie decide di suicidarsi per raggiungere nell'aldilà suo marito. E'allora che la nervosissima
nipote Camille, coadiuvata dalla sorella catatonica, Cora, decide, spinta da un estremo fanatismo
religioso, di inscenare un omicidio per salvare la famiglia dall'onta di un gesto folle.
Da qui Altman fa nascere una saporitissima commedia appena venata di giallo, brillante senza
eccedere in humour e mai fiacca. E quel metodo delle storie sovrapposte ritorna, ma in modo
leggermente anomalo. Se usualmente il regista partiva da numerose storie di figure
apparentemente estranee fra loro, qui riduce il numero dei personaggi, circoscrivendolo come
il numero degli abitanti della città, e legandoli fra loro -con relazioni di amicizia o parentela-
rende l'intera struttura più compatta.
Così, oltre alle due nipoti di Cookie, troviamo la figlia (presunta) di Cora, Emma; il suo
innamorato, il poliziotto Jason; il grande amico di Cookie, Willis, e pochi altri abitanti di un
luogo dove tutti conoscono tutti.
Per questo la storia non fatica mai a procedere. La sceneggiatura di Anne Rapp è solida e
sicura, e Robert Altman addolcisce quel tratto spigoloso della sua regia che aveva reso celebre
America oggi, si allontana da quei quadri lucidi e pungenti per rendere questi colorati e vividi
come le uova di Pasqua del giovanissimo vicino di casa dell'anziana suicida.
La mano del regista si fa meno marcata e visibile del solito, ma non perde in decisione ed
efficacia, e dietro la smagliante ricostruzione degli eventi e la perfetta messa in scena della
commedia dagli sviluppi imprevisti sta il consueto sguardo, dall'usuale punta sarcastica, di chi
ha sempre messo in scena lo studio dei conflitti e delle relazioni fra umori e comportamenti.
Di riflesso, la direzione degli attori è straordinaria. L'intero cast è eccellente
nell'aderire a quei modelli di comportamento, a tratti insoliti e bizzarri. E sono soprattutto le
attrici a dominare la scena, anche per via della loro superiorità numerica. Tanto la veterana
Patricia Neal (Cookie) quanto la giovane Liv Tyler (Emma) affrontano i loro ruoli con
mimetismo e misura ammirevoli, ma a far scintille è il duetto di recitazione delle straordinarie
Glenn Close (Camille) e Julianne Moore (Cora).
La Close estremizza l'uso della mimica facciale e dei movimenti con sorprendente brio nel
mettere in scena le nevrosi di Camille, senza mai essere sopra le righe. Julianne Moore, che
torna a lavorare con Altman dopo America Oggi, è strepitosa nel velare il suo sguardo con
una fissità mai inespressiva, prendendo una figura che sulla carta può apparire piatta e
modellandola con sapienza fino a farne un grande ritratto a tutto tondo. La coerenza e il rigore
con cui fa attraversare la vicenda al suo personaggio rende ancor più credibile e
organico quel finale in cui il gioco delle parti sembra rovesciarsi, per un'interpretazione
magnifica, d'assoluta perfezione. Alessandro Bizzotto
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