The Quiet American
Dopo Il santo e Il collezionista di ossa, Phillip Noyce cambia rotta trovando ispirazione in
Graham Greene. The Quiet
American è basato sull'omonimo romanzo del celebre autore di
Berkhampstead, pubblicato nel 1955, e abbandona (in parte) l'action e il thriller per una storia
più insinuante. Amore e politica s'incontrano nella Saigon del 1952, dove vengono a conoscersi
quasi per caso il giornalista inglese Thomas Fowler (Michael Caine) e un cooperante americano,
Pyle, giovane e idealista (Brendan Fraser). A incrinare la loro amicizia non saranno solo visioni
politiche differenti, ma anche una comune passione: quella per la giovane amante di Thomas,
Phuong (Do Thi Hai Yen).
Il lavoro di Noyce e degli sceneggiatori Christopher Hampton e Robert Schenkkan sembra voler
dosare con misura la spy story e il dramma sentimental-esistenziale; e il film fa vivere in
contemporanea la tormentata storia del triangolo amoroso e la scoperta di un intrigo nascosto,
facendole però correre su binari separati, lasciando che s'incrocino, ma non che s'intreccino in
modo solido.
La componente che in The Quiet
American appare più sacrificata è quella emozionale. Quel senso
di disagio, solitudine, dolore latente che vena le storie di Graham Greene si trova schiacciato
fra una regia molto attenta al calligrafismo elegante e il palesarsi del complotto politico.
L'approccio di Noyce è diverso, anche se non opposto, a quello adottato da Neil Jordan, che
rileggendo Fine di una storia di Greene nel 1999 ha realizzato - osiamo - un capolavoro. Dove Jordan
metteva in scena l'invisibile delle passioni inconsce, dei desideri nascosti, Noyce vuole rendere
visibili gelosia e rabbia, sentimenti più noti e terreni, sfruttando soprattutto la recitazione
dei suoi attori. Se il film di Jordan si tendeva nello sforzo di far percepire una tragedia
profonda, trascendentale nel suo chiamare in causa i dubbi sull'esistenza di Dio, The Quiet
American, forse pagando il dazio alla decisione di dar perso alla componente spettacolare, mostra
più che alludere, impoverendo il livello sentimentale della narrazione.
Tuttavia, il film si regge sul lavoro di un regista di mestiere consumato, anche se nella sua
sottigliezza i più critici potranno scovare uno stile piatto. La macchina da presa si fa mobile
nel seguire i personaggi; una fotografia ora tersa ora cupa accompagna le svolte dell'intreccio;
e se oltre all'enfasi manca anche la nota davvero toccante, il film non rinuncia a quella vena di
tensione che insaporisce uno spettacolo pressochè impeccabile.
Poichè nessuno è come sembra, è la solitudine l'unica possibile condizione? L'amore lascerà
spazio alla redenzione?
Apprezzabile la prova di tutti gli interpreti. Se Brendan Fraser, un po' ingessato, riesce a
reggere il confronto con Michael Caine, è messa in ombra dai due protagonisti la giovane Do Thi
Hai Yen, che pronuncia brevi batture con poca convinzione. Alessandro Bizzotto
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