Il pianista
Nel 1993 Steven Spielberg conquistò le platee con il suo dramma sull'olocausto, Schindler's List, basato sul romanzo di Thomas Keneally. Prima di iniziare a girare, Spielberg chiese a Roman Polanski di essere suo consulente nella realizzazione del film. Ma Polanski disse no.
Quasi dieci anni dopo, il regista ha deciso di scavare nella memoria per riportare alla luce la sua esperienza nel ghetto di Varsavia. E per raccontare, rileggendolo personalmente, uno dei momenti più bui della storia: la persecuzione nazista degli ebrei.
Se Spielberg guardava la vicenda da un punto di vista fuori, quello del protagonista, l'industriale tedesco Oskar Schindler, Polanski ne adotta uno interno. Il pianista è la storia del musicista ebreo Wladyslaw Szpilman ed è basato sulla sua biografia.
Vincitore della Palma d'oro all'ultimo Festival di Cannes, il film ripercorre fedelmente tutte le tappe della persecuzione, dal 1939 alla fine della Seconda Guerra Mondiale, con gli occhi del suo protagonista (ben interpretato da Adrien Brody); la reclusione nel ghetto, la deportazione della sua famiglia, i tentativi sempre più disperati di sopravvivere, fino all'aiuto che un ufficiale tedesco gli concede poche settimane prima dell'entrata dei russi in Polonia.
La dura aderenza ai fatti, che il regista preferisce all'enfasi drammatica per dar forma alla tragedia, può apparire fredda e distaccata, talvolta avere sapore accademico. E a un'armoniosa evoluzione della storia si sostituisce l'esibizione di una serie di nitidi quadri.
Eppure Il pianista non è un album fotografico; e non è nemmeno un opera piatta. Il realismo di Polanski colpisce in modo diretto, depurato da fronzoli retorici e affiancato a una sceneggiatura che riduce al minimo i dialoghi e punta sui silenzi e sul linguaggio della solitudine, e non tenta di coinvolgere l'emotività con ampollose ridondanze. La colonna sonora di Wojciech Kilar è tesa, vibrante, ma non concede nulla al trasporto degli ampi stacchi orchestrali che John Williams aveva composto per condire Schindler's List; la fotografia di Pawel Edelman è fredda e terribilmente poco splendente.
E il film va apprezzato con una certa dose di raziocinio, con riflessione, ammirando la sincerità del regista e la ferrea passione con cui ha costruito l'intera opera.
Un film necessario. A rileggere la storia, certo, a non dimenticare. A insegnare come, allo stesso modo del dolore, la solidarietà umana parli un linguaggio universale.
Alessandro Bizzotto
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