L'uomo del treno

Un professore anziano e un rapinatore. Sono questi i protagonisti di L'uomo del treno.
L'ultimo film di Patrice Leconte, il regista francese che ha sfiorato l'Oscar con Ridicule, è un'opera piena di nostalgia e di dolcezza. La storia di un incontro fortuito e singolare tra due persone diverse fra loro e molto diverse da ciò che vorrebbero essere.
Così, l'anziano professore è un uomo un po' eccentrico, tutto brio e curiosità, il rapinatore invece una personalità silenziosa, discreta ed educata. Soprattutto, il primo vorrebbe girare il mondo e sfuggire alla routine, mentre il secondo sogna una casa, una vita regolare e un paio di pantofole. Davanti a tutto questo, due prove: un intervento di by-pass e un colpo in banca.
Narrato quasi sottovoce dalla sceneggiatura di Claude Klotz, il film raggiunge il suo equilibrio fra un sentimentale tono agrodolce e una vena di humour, folle e sottile, che ora si assopisce, ora ricompare in guizzi briosi.
Il grande merito di Leconte è quella sfumatura poetica, quella patina quasi mistica con cui ha tratteggiato i risvolti di un'amicizia atipica, senza sciupare il risultato con pretenziosi movimenti di macchina o con una colonna sonora invasiva o troppo zuccherosa. La fotografia di Jean-Marie Dreujou è lucida, quasi livida e accesa da abili giochi cromatici che rendono la pellicola vagamente somigliante ai dipinti di Rembrand e Vermeer.
Accolto con lodi e consensi pressoché unanimi dalle platee dell'ultimo Festival di Venezia (tanto da vincere il Leone del pubblico), L'uomo del treno ha uno dei suoi punti di forza nelle interpretazioni di Jean Rochefort e Johnny Hallyday. Un duetto mai stonato che avrebbe meritato la Coppa Volpi.


Alessandro Bizzotto

L'uomo del treno
Jean Rochefort

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