Julie Walking Home

Un'inizio assordante. Le urla di un ospedale, le rotelle dei lettini che stridono in corsa sui pavimenti, la macchina da presa che ruota, come impazzita. Poi il contatto con un piccolo degente placa il dolore di un malato.
Il bambino si rivelerà un misterioso guaritore polacco, cui la Julie del titolo si rivolgerà nel tentativo di guarire suo figlio da una malattia che non lascia possibilità di cura.
Ma dopo un inizio simile, i toni mutano rapidi. La storia strappalacrime dell'ultimo film di Agnieszka Holland vira verso il sentimentalismo, il dramma disperato, la riflessione distaccata sulla vita, in una girandola di emozioni amplificate, ritratte, ma poco vissute. Ora toccante, con punte di sensibilità in cui lo sguardo della macchina entra in modo silenzioso nella vita dei protagonisti (dai momenti di vita familiare a quelli passionali), ora spiazzante, con svolte quasi tragiche che cadono in modo secco, Julie Walking Home riesce a far passare il senso di dolore, di solitudine e precarietà dei legami e dell'esistenza attraverso lo schermo, che ne filtra però la verosimiglianza.
La Holland costruisce tante storie imbastendole in modo troppo ricco, e le accompagna con un'enfasi che, in taluni momenti, incontra risvolti decisamente inconsueti in una stridente ridondanza. In parte del racconto è dilatata in eccesso la guaina delle emozioni forti, e il peso che viene dato a ogni evento (il figlio di Julie guarisce, il figlio di Julie non guarisce, Julie s'innamora, Julie non è innamorata) la schiaccia e la deforma, lasciando che il dramma scorra in modo disordinato, sollevando perplessità anzichè partecipazione.
Accolto con smorfie e nasi storti dalla critica della 59^ Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, Julie Walking Home non manca di una (forse troppo) genuina volontà di coinvolgere, ma perde colpi strada facendo, disfando una matassa troppo intricata con meno cura del necessario.
La prova di Miranda Otto, che rende Julie fragile e forte insieme, è comunque apprezzabile, e compensa come può alle lacune di una sceneggiatura troppo presuntuosa per ritrarre la vita senza ricorrere a piccole scorciatoie e a luoghi comuni. E così anche un finale che avrebbe potuto essere poeticamente malinconico nella sua tenerezza struggente finisce per essere un epilogo più cupo del necessario, devitalizzato e, purtroppo, anche un po' retorico.


Alessandro Bizzotto

Julie Walking Home

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