La forza del passato
Una vita vissuta con un padre filofascista, quella del protagonista de La forza del passato.
Senza sorprese. Una moglie che ama, un figlio che adora e una soddisfacente professione come
scrittore di libri per ragazzi. Fino a che, pochi giorni dopo la morte del padre, uno
sconosciuto entra nella sua vita con una rivelazione sconvolgente che innescherà un processo di
domande e inattese scoperte.
Dopo Tre storie e Guarda il cielo, Piergiorgio Gay torna per dirigere una storia sulla menzogna,
l'identità e la conoscenza dell'altro, tratta da un romanzo di Sandro Veronesi. Il film, che ha
diviso la critica all'ultima Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, rinuncia a
implicazioni di carattere filosofico per mostrare come la vita possa essere rivoltata da un
momento all'altro. Il passato affiora e condiziona il presente, il nostro essere e chi ci
circonda.
La riflessione di Gay, in alcuni momenti, strizza quasi l'occhio a Pirandello e alle sue
riflessioni sulla personalità, soprattutto nell'ultima parte del film; ma ciò che sembra stare a
cuore al regista è il voler mostrare l'interdipendenza fra verità e menzogna, fra realtà e
finzione. Niente è come davvero sembra: la nostra vita è reale, ma non conosciamo tutto ciò che
ne fa parte.
E il film racconta tutto questo partendo da una posizione opposta a quella che ci si
aspetterebbe. Scegliendo un approccio anti-documentaristico. In primis con le dimensioni
sproporzionate (ma possibili) della scoperta che sta alla base della storia. E
in secondo luogo con lo stile narrativo adottato. Per i flash-back che ritraggono il protagonista
bambino e per gli squarci quasi onirici che mostrano il giovanissimo protagonista dei suoi
romanzi è stato usato lo stesso attore; per le seconde sequenze la pellicola è stata investita di
una luce arancione che, se aiuta lo spettatore a orientarsi, sortisce un effetto di straniamento
che possiede un retrogusto soprannaturale.
Il regista lascia che la storia scorra senza forzature, evitando di rallentarla troppo con
una sceneggiatura con pochi picchi (uno dei momenti clou si ha quando il protagonista si
scatena sulle note della musica rock), ma senza cadute.
E il cast, guidato da un Bruno Ganz in piena forma, si dimostra all'altezza della situazione. Alessandro Bizzotto
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