About a Boy - Un ragazzo
Cosa succede quando un eterno
teenager incontra un ragazzino cresciuto troppo in fretta? Accade che entrambi
possano imparare l’uno dall’altro a vivere meglio assumendo e perdendo
responsabilità. “About a Boy-Un ragazzo”: quale dei due? Will (Hugh Grant),
trentotto anni, vive da single incallito tra impianti stereo, massaggi
rilassanti e conquiste rapide e indolori; il dodicenne Marcus (Nicholas Hoult),
invece, deve affrontare giorno per giorno i compagni di scuola che lo ritengono
“diverso” e le crisi di pianto della madre depressa, Fiona (Toni Collette), una
hippy agguerrita, convinta che la miglior cosa per il figlio sia mangiare
vegetariano e vestire golfini retrò fatti in casa. Due vite apparentemente
inconciliabili, ma complementari, che si incontrano, quando Will7Hugh,
sperimentando la sua ultima teoria per rimorchiare con il minimo dispendio
energetico, decide di spacciarsi per un padre single e di intrufolarsi in un
gruppo di mamme disperate tra le quali Fiona, che tenta il suicidio. Si
ritrova, quindi, a fare i conti con la disperazione di un ragazzino strano e
cocciuto con un peso troppo grande sulle spalle, che lo costringe, ricattandolo
ad uscire con la madre trascinandolo ad un appuntamento disastroso che culmina
con: “Killing me softly” cantata in coretto davanti al piano da madre e figlio.
Per il povero Will/Hugh è troppo. Decide di lasciarsi alle spalle la sfigata
famiglia e di ritornare alla sua amata vita di viziose abitudini. Marcus, però
non molla. Invadente e rompiscatole si presenta ogni giorno dall’amico pur
sapendo di non essere ben accetto e fra silenzi e quiz davanti alla TV, la
solitudine di entrambi, diventa complicità. Will/Hugh comincia ad affezionarsi
a quel bizzarro ragazzino con il caschetto e quegli strani vestiti fuori moda,
che tutti prendono in giro quando si mette a cantare nell’ora di matematica,
mentre Marcus, fra un cd e l’altro, cerca un po’ di pace e meno responsabilità,
trovando la serenità dei ragazzini della sua età. Il tempo passa e Will/Hugh,
di nuovo alle prese con l’ennesima messinscena, chiede a Marcus di fingersi suo
figlio per conquistare Rachel (Rachel Weisz) ragazza-madre di cui è innamorato.
Grazie a Marcus, capisce di non poter più mentire e diventa sincero per la
prima volta in vita sua, pur sapendo di perdere Rachel. La situazione
precipita, Will/Hugh si trova davanti tutta l’inutilità della sua non-vita,
mentre Fiona ricade nella depressione. Marcus è di nuovo solo ma decide di fare
l’unica cosa che può far felice la madre e si esibisce al concerto della scuola
cantando “Killing me softly”. Will/Hugh cerca di fermarlo, di fargli capire la
figuraccia sicura a cui andrà incontro. Ma Marcus, consapevole del suo gesto,
affronta fischi e risate fino in fondo, trascinando Will/Hugh sul palco, che
finalmente capisce la forza di “quel ragazzo”, il coraggio nell’assumersi il
peso della vita, di lottare contro le apparenze immolandosi sull’altare del
conformismo di fronte a un mondo mediocre e vuoto come la vita.
Se la prima parte del film si
mantiene su uno “humor” un po’ forzato e poco tagliente, la seconda acquista
intensità e sensibilità, grazie anche all’impatto del giovane Nicholas Hoult,
faccetta capace di comunicare una forte emotività, e ad uno Hugh Grant più
misurato del solito che, tagliati i “boccoli” che lo hanno consacrato sornione
e imbranato, trova la sua miglior interpretazione proprio quando porta in scena
se stesso, sovrapponendosi al personaggio con sprezzante e acida ironia. Un po’
stonata la voce fuori campo che accompagna le due storie parallele, che manca
di mordente e della giusta asprezza. Il film, quindi, se perde nei propositi
dichiarati di “commedia”, acquista intensità, da un punto di vista drammatico
dove riesce più convincente, con maggiore attenzione per la complessità delle
caratterizzazioni e per la resa delle sfumature nei conflitti interiori, con
momenti di autentica commozione nella presa di coscienza del dramma dei
personaggi. Buoni gli interpreti, in particolare Toni Collette, sempre abile
nel portare in scena madri problematiche (come già ne “Il sesto senso” di N.
Shalaman che le ha valso una candidatura all’oscar). Forse è mancato il
coraggio di affondare di più la lama nelle crepe dell’esistenza, preferendo un
finale più conciliante rispetto al bellissimo romanzo di Nick Hornby da cui è
stato tratto, ma sicuramente un buon film, come non ci aspettavamo certo dai
registi di “American Pie” Paul & Chris Weitz, che, sia pur con alcune
incertezze, si dimostrano capaci di fare ben altro che “sesso con una di torte
di mele”…
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