K-19 - The Widowmaker
Kathryn Bigelow, dopo l'intenso e affascinante "Il Mistero dell'acqua" pur mantenendo la connotazione marina, decide di cambiare marcia e di conformarsi alla linea mediocre e sempliciotta del cinema Usa & getta. Deve aver dato troppo peso a Nanni Moretti che in "Aprile" faceva del suo "Strange Days" un emblema di allucinante incomprensibilità, se è arrivata a confezionare questo polpettone scotto che è K-19. Non che "The Widowmaker"(letteralmente "Il fabbricante di vedove"), sia da buttare. Escludendo l'ultima mezz'ora (ma è davvero arduo rimuoverla), possiamo includerlo tranquillamente nel filone dei vari U-571. Ma i più fedeli adepti della bella e controversa regista rimarranno parecchio delusi dalla convenzionalità del suo ultimo e costosissimo film. Se la prima parte sembra crescere a fatica e trova a malapena il suo punto di interesse nella guerra fredda fra l'irreprensibile e pure antipatico generale Alexei Vostricov/ Harrison Ford e il buon "capitano o mio capitano" Mikhail Polenin/ Liam Neeson (dei due sicuramente il più convincente), la seconda parte affonda come il suo sottomarino tra liti da boccaporto al limite dell'ammutinamento e i soliti sacrifici patriottici per salvare la baracca e non lasciarla nelle mani degli americani. Già perché in K-19 la situazione è ribaltata, anche se i russi sono sempre i russi, solo...visti dagli americani...
Se non fosse una storia vera ci sembrerebbe un modo nuovo per lodare le idee liberali e criticare lo spauracchio comunista ottuso e cieco di fronte all'eroismo della ciurma e del suo generale. Ma, purtroppo si cade nella retorica politica, scontata e anacronistica. Il tutto condito da un'accompagnamento orchestrale stile "Inno all'Altare della Patria" che pompa eroismo a destra e a manca, grazie al quale K-19 scala il climax della sua autocelebrazione fino al finale patetico che vorrebbe essere commovente ma finisce per risultare irritante e a tratti comico, con i due generali vecchietti e canuti, in cimitero a commemorare l'equipaggio con tanto di bicchierino di vodka e naso rosso. Tristissimo. Come una regista quale la Bigelow sia potuta inciampare in un explicit del genere non vogliamo saperlo, ma il conformismo di certe scelte narrative e stilistiche lascia alquanto perplessi.
Un film lungo (2 ore e 20 minuti) prolisso e noioso, che trova la sua unica originalità nella claustrofobica ambientazione, che porta la mdp ad introdursi serpeggiante nei cunicoli delle paratie comunicando la sensazione di opprimente soffocamento e labirintica profondità tipica dei compartimenti stagni dei sottomarini.
Ci auguriamo che Kathryn Bigelow ritrovi la rotta e riemerga dalle profondità di K-19 in cui si è inabissata.
Confidando in giorni migliori, anzi in Strange Days... Ottavia Da Re
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