Full Frontal
"F" come Full Frontal
Ecco la tanto attesa opera sperimentale di uno dei più apprezzati registi della nuova generazione americana. Se negli ultimi tempi il film è assurto agli onori della cronaca (rosa) solo per le presunte e integrali nudità rivelate dalla sua protagonista Julia Roberts (mai bufala fu più clamorosa), in realtà l'originalità del film si può più appropriatamente cogliere nella sua genesi e nel suo sviluppo. "Full Frontal" nasce come una dichiarazione di poetica del regista Steven Soderbergh (già in parte contenuta ma volutamente celata in "Ocean's Eleven") come un ideale seguito di "Sesso, bugie e videotape", film che contenesse la sua idea di cinema, di film nel film. Per l'occasione ha quindi riunito attorno alla sua "musa" Julia Roberts (che ha diretto in "Ocean's Eleven" e portato all'oscar in "Erin Brockovich") un cast di adepti, ormai disposti a tutto pur di farsi guidare dalla sua mano. Così, buttando giù un paio di regole che sanno tanto di "Dogma" ha stabilito turni e assegnato compiti, con tanto di minimo salariale e guai a chi sgarra. La cosa ha funzionato se è vero che tutti (compreso il regista David Fincher, qui cameo nella parte di se stesso) hanno accettato di buon grado l'insolito entourage per dar corpo alle aspirazioni del regista.
Ecco quindi svelate le tanto sbandierate nudità della Roberts: un film in cui mettere a nudo se stessi, per abbandonarsi alla storia senza inibizioni. Un ritorno quindi alle origini, allo sperimentalismo, alla strada indipendente forse fin troppo battuta di "Sesso bugie e videotape". Cinema nel cinema. Storie che si intrecciano e si sovrappongono, finzione e realtà mescolate, nascoste e rivelate allo spettatore sempre più imbrigliato nelle sabbie mobili della complessa struttura del film. Soderbergh si diverte a tendere le sue trappole e a farci cadere nella rete del "nulla è ciò che appare", aggrovigliando ancor più la matassa attraverso l'uso del digitale alternato al 35 mm. Il gioco è degno di Tom Ripley, ma sicuramente più interessante per chi riesce ad apprezzare l'operazione registica e non si lascia disorientare dalle numerose citazioni disseminate per tutto il film. Personaggi cameo (Brad Pitt, David Fincher), vecchie conoscenze come Terence Stamp già protagonista del suo "L'inglese" (1999), e star della tv come Erika Alexander (ve la ricordate Pam nei "Robinson"?) caratterizzano il canovaccio-Full Frontal da cui tra verità e improvvisazione nascono le storie che ruotano intorno ad un unico personaggio-comun denominatore, Gus (David Duchovny), il Godot della situazione, un produttore intorno al quale ruotano le vicende quotidiane di molte star o presunte tali, l'attesa del quale sarà il filo conduttore che porterà alla rivelazione di tutte le strane e apparentemente casuali "coincidenze" del film. Ma proprio per definizione Godot/Gus si fa attendere, creando un clima da "Cena di Trimalchione" in cui gli ospiti cercano di rendersi simpaticoni e brillanti per rivelarsi fra Bacco Tabacco(!) e Venere parodie di un mondo volutamente superficiale.
Sorderbergh realizza il suo Satyricon sul mondo del cinema mescolando, da gran giocatore quale è, le carte del suo mazzo rigorosamente truccato, divertendosi a mettere in crisi il pubblico chiuso forzatamente su un ascensore che non ferma a nessuno piano, che sale e scende i piani sovrapposti della realtà e della finzione fra ambiguità e parodia, vero e falso. F come Full Frontal...
Ottavia Da Re
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