Molto forte, incredibilmente vicino
Come si Sopravvive al Dolore? Come si riesce a Comprendere l’Imponderabile? Come si potrà mai Accettare ciò che non ha alcun Senso? Cercando. Questo è il più grande insegnamento che Thomas Schell ha lasciato a suo figlio Oskar: bambino decisamente fuori dal comune che, benché estremamente intelligente e sensibile, è intimorito dalla vita, dalla gente, alla quale si relaziona in maniera a dir poco spigolosa e con una coerenza disarmante che, appartiene giusto ai bambini.
Thomas, consapevole dell’originalità e particolarità del mondo interiore che contraddistingue Oskar rispetto ai suoi coetanei e di come questo inevitabilmente plasmi la sua concezione del mondo; per vincere paure e ritrosie del figlio, lo coinvolge in giochi di “identificazione” attraverso il tempo o di ricerca, attraverso vere e proprie “spedizioni” atte a pungolarne la naturale curiosità, ma a dissipare quelle diffidenze che lo rendono tanto ombroso e singolare agli occhi di chi non lo conosce. Oltre a ricoprire il ruolo fondamentale che gli compete per natura; Thomas è di fatto l’unica finestra sul mondo che ad Oskar è dato avere e conoscere… Fino a “Il Giorno Più Brutto”.
A un anno di distanza dalla scomparsa del padre, rimasto vittima nell’attentato al World Trade Center dell’11 settembre 2001; Oskar inaspettatamente trova una chiave ( non a caso! ) tra gli oggetti appartenuti a Thomas, il cui unico indizio è la parola Black.
Convinto fin da subito che si tratti di un nome e che sia esistito un legame tra suo padre e questa persona; Oskar, deciso a conoscerne la natura, si organizza mettendo in atto la più grande spedizione di sempre (eccezion fatta per quella del leggendario “distretto 6”), nella caparbia, disperata convinzione che la soluzione a questo mistero porterà con sé La Risposta ad una Domanda che non trova voce, ne tanto meno pace.
Perfettamente equipaggiato, dopo aver concepito nei minimi dettagli il piano di ricerca e munito solo della sua ostinazione; Oskar (uno strepitoso Thomas Horn) ci condurrà attraverso i cinque distretti di New York, permettendoci di scoprire con lui il cuore vivo e pulsante di questa incredibile città unica al mondo: la gente che la abita e che ne costituisce il volto e l’anima.
Stephen Daldry ("The Hours" e "Billy Elliot") mette al centro di questa storia di crescita ed elaborazione del lutto, il suo giovane protagonista e fa del suo sguardo il punto di vista ideale, per raccontarci, non tanto la ferita aperta di una nazione, ma la capacità intrinseca di un popolo e quindi dello spirito umano di non darsi mai per vinto, anche posti dinnanzi a quanto di più annichilente possa mai colpirci. Primo fra tutti proprio Oskar e sua madre Linda, vittime collaterali insieme a centinaia di altre persone che si sono trovate a vivere, loro malgrado, uno degli episodi non solo più drammatici della Storia moderna; ma l’Evento emblematico che ha di fatto irrimediabilmente cambiato il volto dell’Occidente e delle scelte future a livello globale.
Tratto dall’omonimo romanzo di Jonathan Safran Foer – di cui nel 2005 Liev Schreiber ("Manchurian Candidate") scelse di adattare “Ogni cosa è illuminata” per esordire alla regia - sceneggiato da Eric Roth ("Munich" e "Forrest Gump") e sottolineato dall’emozionante musica di Alexandre Desplat ("Carnage" e "The Tree of Life"); il punto di forza del film sta proprio nel non relegare la vicenda umana del giovanissimo Oskar all’interno dell’11 Settembre ( già per altro ampiamente documentato e raccontato dal Cinema negli ultimi dieci anni, talvolta anche preso a prestito in maniera pretestuosa ), ma, partendo da essa, sceglie di conferirgli un respiro più ampio. Attraverso il ricordo che Oskar ci restituisce di Thomas (un Tom Hanks a tratti un po’ troppo sopra le righe e con qualche sbavatura gigiona) ed al quale si aggrappa con tutte le sue forze; veniamo a conoscenza di un uomo estremamente umano, consapevole e rispettoso dell’infanzia del figlio e di tutte le sue peculiarità caratteriali, ma che vuole ed instaura con lui un rapporto stimolante e paritetico da adulto. Ad affiancarlo nella sua ricerca vi sarà l’Inquilino: un uomo a cui la nonna di Oskar dà ospitalità – alle sue regole – e che ha scelto di non parlare, ma di esprimersi unicamente scrivendo su dei post it poiché alcune esperienze, nella vita, ti tolgo la volontà di pronunciare alcuna parola da quel momento in avanti. Ad interpretarlo Max von Sydow, che per questo ruolo silente ha ottenuto la nomination all’Oscar.
Altra presenza fondamentale in questo percorso, solo apparentemente distante, ma in realtà estremamente vigile ed attenta è Linda Schell (un’intensa Sandra Bullock) che si trova a sopperire la mancanza del marito con accesi confronti, quasi dei veri “corpo a corpo” verbali ed emotivi, in cui il figlio Oskar lascia ben poco spazio alla comprensione. Pur riconoscendo di aver bisogno l’uno dell’altra, la riconciliazione tra i due e quindi con il ricordo che entrambi custodiscono di Thomas, avrà bisogno di pazienza e fiducia reciproca.
Sebbene il film incontri degli innegabili intoppi e cedimenti, dovuti anche alla trappola di qualche facile sentimentalismo di troppo; non sarà infatti il lato più strettamente personale della vicenda di Oskar a coinvolgerci veramente sino alla fine, ma l’incessante ricerca che ne scaturisce ed è legata ad essa, la parte più riuscita della non semplice trasposizione firmata da Daldry. La scelta vincente in tal senso è proprio quella del suo protagonista assoluto, che la regia rispecchia pienamente sia da un punto di vista emotivo che visivo; restituendoci rabbia, paura e frustrazione, coinvolgendoci prima e respingendoci un attimo dopo. Non possiamo non comprendere il dolore di Oskar ed il conseguente disagio, ma nonostante ciò, talvolta è francamente difficile condividerne l’atteggiamento spiazzante e questa alternanza è proprio ciò che rende autentico il racconto.
La Perdita che il bambino si trova ad elaborare, porta con sé l’opprimente senso di colpa del non detto e l’impossibilità di riparare a ciò che vive come un’imperdonabile omissione di aiuto. Questo nodo ci verrà giustamente celato sino alla fine e solo quando Oskar troverà il coraggio di scioglierlo dando voce a quel che reputa inconfessabile, grazie alla comprensione scevra di giudizio che solo un estraneo può regalarci; potrà finalmente liberare sé stesso ed iniziare così a far pace con tutto ciò che era rimasto insoluto e quindi sospeso da quel giorno.
Quegli “Otto Minuti” che ha tentato disperatamente di allungare per non dover rinunciare alla presenza del padre accanto a sé; non solo lo porteranno ad una sensazionale scoperta finale, ma gli permetteranno di comprendere che solo noi siamo in grado di mantenere vivo un legame, attraverso i ricordi ed i gesti quotidiani, anche al di là dell’inaccettabile confine al quale ci pone dinnanzi la morte.
Ilaria Serina
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