Io sono leggenda
Most recurring Perché
Titoli di coda:
- perché la prima sequenza riporta a caratteri cubitali, riempiendo lo schermo, il nome del regista per almeno 6 secondi?...Ma te ne vanti pure??? -
“Io sono la leggenda” è diretto dal regista di “Constantine” Martin Lawrence ed è tratto dall’omonimo racconto di Richard Matheson, sceneggiato per questa odierna versione dal produttore Akiva Goldsman e da Mark Protosevich.
Ambientato sull’isola di Manhattan New York, narra dell’unico sopravvissuto, perché immune, ad una cura per il cancro, Robert Neville (Will Smith), cura che ha determinato un virus sterminando la popolazione mondiale rendendo chi veniva infettato per via aerea o per contatto fisico, un rabbioso, violento ed affamato cannibale fotofobico sensibile ai raggi UV con dermatiti autocomburenti ed attitudini e caratteristiche somatiche tipiche di un vampiro impegnato nella finale olimpica per categoria dei 100 metri.
Dopo questa premessa che pare un’accozzaglia di cose già viste e, a pare mio, meglio rappresentate (“28 giorni dopo”), mentre si è alla scrupolosa ricerca di una cura pur consapevoli che non è rimasto nessuno vivo sulla faccia della terra e quelli vivi mordono, la pellicola cerca di districarsi nella rappresentazione nella realtà di paranoie o fobie causate dalla solitudine dove il nostro bravo Smith corre, con il suo bel cane Sam, sparando a gazzelle e leoni a Times Square, animali selvatici probabilmente evasi dallo Zoo appena la parte della popolazione mondiale ha smesso di prendersi cura di loro, oppure dialoga con manichini che poi tanto manichini non sono (essendo una sequenza palese che uno di loro Fred ha mosso il capo)..paranoia “contagiante?”.
Eccetto per l’uso, ininfluente, della musica (James Newton Howard), il film di Lawrence, tuttavia, per qualche arcano mistero, funziona; sarà per la bravura di Will Smith (Dio benedica "ALI" e Michael Mann) accompagnato dal cane Sam, oppure per i flashback che ci portano all’Alfa, la casa di Neville che dà un certo senso di sicurezza, grazie alla fotografia di Andrew Lesnie ("King Kong", "Il Signore degli Anelli") coerente con le locations e non troppo virata in seppia come accade spesso quando la luce viene stuprata per dar spazio agli effetti CGI. Senza dimenticare Manhattan immersa nel silenzio con le sue strade desertificate, il tempo a disposizione tra alba e tramonto, countdown del sole, il correre a rinchiudersi in casa prima che scenda la notte, rea di liberare il risultato di una presunzione, la scienza che si è posta sopra Dio, mentre Neville ignora tutti questi significati non trovando il nome alla sua fede fino al momento in cui risucirà a vedere.
In tutto questo misticismo che diventa quasi un sogno lucido si trova il tempo anche di spaventarsi del buio, sede delle creature (create digitalmente e talvolta così finte da non esser credibili) geneticamente modificate che sembrano rivendicare giustizia per quello che è accaduto fino all’epilogo che sembra voler far dire agli scrittori - produttori ”scusateci abbiamo finito le risorse e le idee per dare più credibilità a tutto quello che avete visto fino ad ora, non chiedetevi troppi perché (neanche come si fa a raggiungere la terra ferma da Manhattan quando tutti i ponti sono stati fatti saltare), potreste cadere nei nostri plot hole, portatevi un torcia…è buio quaggiù”.
Fabio Pirovano
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