Il diavolo veste Prada
Arriva sul grande schermo "Il diavolo veste Prada" film tratto dal bestseller "Devil wears Prada" di Lauren Weisberger, diretto da David Frenkel, regista di “Sex and the City”, e fotografato dallo "scorsesiano" Florian Ballhaus. Una pellicola che evidenzia il mondo “brutale” della moda Newyorkese, dove le vere “star” sono gli abiti disegnati dalla bravissima designer Patricia Field a fare da cornice ad una monumentale Meryl Streep che nel ruolo della dispotica direttrice super-fashion Miranda Priestly (personaggio che si ispira nella realtà a Anna Wintour, direttore di Vogue America), regge le sorti della protagonista (Anne Hathaway, perfetta nel ruolo della vittima sacrificale) e dell’intero film regalando una moderna Crudelia Demon e l'ennesima autorironica interpretazione magistrale (strizzando l'occhio a dei precedenti tanto sottovalutati quanto indimenticabili, come She Devil - Lei il diavolo e La morte ti fa Bella).
“Molto lavoro fu concentrato nella scelta e nel far indossare i vestiti giusti e gli accessori”, osserva il regista “questa fu una necessità perché il film doveva andare in questa direzione narrativa dove gli abiti opportunamente inquadrati e illuminati per mantenere i colori esatti sono i veri protagonisti del film!”.
Vestiti e personaggi vengono così fotografati in super 35mm (il formato più adatto nelle location della verticale New York) con Arricam Studio su Kodak Vision 2 200T 5217 e 500T 5218 con lenti Zeiss e Angenieux e successivamente trattati in Digital Intermediate dal laboratorio Technicolor supervisionato da colorist Joe Gawler.
E se gli abiti rivelano una grande "presenza scenica", non sono da meno le protagoniste della pellicola Anne Hathaway (Andrea Sachs) e Meryl Streep (Miranda Priestly), la prima chiamata a fare da assistente – Cenerentola – alla seconda, la luciferina - matrigna - direttrice della rivista di moda Runaway (ad ogni inquadratura sembra di sentirla sussurrare "Specchio, specchio delle mie brame..."), cui fa da spalla un impagabile Stanley Tucci (nel ruolo del guru della moda Nigel).
Nelle riflessioni a margine si può scorgere una lezione diseducativa che il film potrebbe far emergere anche non prendendosi mai troppo sul serio, offendendo tutte le "taglia 42" della sala in cui è proiettato; tuttavia ne consegue una pellicola piacevolmente “pret à porter” sapientemente montata e diretta, dove abiti e accessori (cinture, scarpe e borsette) nella loro ostentata fastosità, diventano funzionali allo spettatore, e vengono utilizzati come stimoli visivi per capire momenti e situazioni, evocando la mise en scène di Sex and the City, in cui spesso il contorno modaiolo diventava specchio e metafora di certi atteggiamenti, prospettiva "fashion" attraverso cui filtrare la realtà e svelarne cinicamente la sua essenza, spesso affascinante, quanto crudele e spiazzante.
Da una parte troviamo così il cinismo, la dedizione per il lavoro e l’abnegazione di Miranda; un atteggiamento messo a duro confronto con la voglia di esser sempre noi stessi evidenziato dai valori e dalla spontaneità di Andrea, valori che richiamano forse un po’ di retorica ma che non guastano al film, dimostrando che nella vita si può anche rinunciare al successo e al denaro per valori come le persone e gli affetti.
Fabio Pirovano
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