Radio America
Maestro nel dirigere film corali, analizzando le dinamiche relazionali fra esseri umani, Robert Altman si propone ancora una volta come cineasta dalla raffinatezza sempre in crescita, oltre che sociologo, psicologo e quant’altro. Titoli già venerati (America oggi), piccoli gioielli cinematografici (La fortuna di Cookie) e capolavori contemporanei (Gosford Park), del resto, anche negli ultimi quindici anni si sono susseguiti e incasellati nella filmografia di un autore che per alcuni è già leggenda, per altri lo sarà presto, e che finalmente con il 2006 l’Academy s’è resa conto di non aver mai premiato – rimediando purtroppo solo con un Oscar alla carriera –.
Tornano in Radio America i meccanismi interattivi fra attori sociali, i rapporti personali che si mescolano e intrecciano, e portano a condividere sogni e nostalgia insieme alla professione. Il film segue infatti con esatta precisione temporale l’ultima diretta radiofonica di un live show nel Fitzgerald theater destinato ad essere demolito. Al presentatore (Garrison Keillor) si alternano in scena per i numeri musicali i due cowboy Dusty and Lefty (Woody Harrelson e John C. Reilly), le sorelle-sirene della musica country Yolanda e Ronda (Meryl Streep e Lily Tomlin) e numerosi vocalist, mentre una misteriosa donna angelo (Virginia Madsen) si aggira misteriosa fra le quinte turbando la fantasia del responsabile della sicurezza (Kevin Kline), uno qualo dell’edilizia (Tommy Lee Jones) medita sull’abbattimento dello stabile e fra uno stacco e l’altro si mangia e si ride, si condividono i ricordi e si piange persino un lutto.
Sceneggiato con misuratissima precisione dallo stesso Garrison Keillor (reale conduttore del vero programma radiofonico A Prarie Home Companion, che dà il titolo originale all'opera), il film è scandito dai tempi serrati della diretta in radio, cui è legato con ferrea puntualità. I tempi della radio non sono quelli cinematografici, ovviamente; gli scarti temporali della settima arte, le impennate e i rallentamenti sono sostituiti da una successione temporale dettagliata, ma dal ritmo inesorabilmente immutato e uguale a se stesso. Il rischio, sottoponendo Radio America a una scelta così insolita e poco convenzionale, era di creare un'opera monocorde, spesso vuota e vacua. Ma Altman ha giocato la carta con lucida consapevolezza: incastrando, senza sovrapposizioni temporali, i dialoghi di diversi attori, ha adattato la pluralità del film ad un'orchestrazione cinematografica che riesce a tagliare e cucire le inquadrature giocando con lo spazio anzichè con la cronologia.
La riflessione è agrodolce, ma senza graffiare con aggressività; alla critica che più volte ha visto Altman impegnato si sostituisce l'analisi. Eppure in Radio America
non c'è il conflitto, aperto o latente, che serpeggiava in Gosford Park fra macro-sistemi sociali, o fra individui perdutamente imperfetti come in America oggi, e neppure lo sguardo ravvicinato sui difetti personali de Il dottor T e le donne. Il maestro sembra qui voler esplorare anche le potenzialità della mdp, del mezzo cinematografico, dell'interagire fra inquadrature, oltre che fra persone. È ottimo e perfettamente funzionale, in quest'ottica, il montaggio di Jacob Craycroft, che sa alternare i dettagli visivi risponendo con puntuale perfezione alla frammentazione del racconto cara allo stile di regia di Altman; e la scena, ora ridondante ora irresistibilmente languida, finisce per essere - così come la vita - luogo in cui la finzione riesce solo in parte. Si recita sempre, ma non sempre in modo perfetto, e soprattutto mai per sempre.
Niente eccessi, però: l'accettare il cambiamento (e, di nuovo, l'esistenza) deve essere serafico, quasi filosofico. Il sipario si abbassa su uno show o su una vita, si apprezza il buono che c'è stato e si guarda avanti. A trant'anni da Nashville, insomma, la musica e lo spettacolo tornano - forse con maggiore consapevolezza - a rappresentare la nazione americana e il suo tessuto eterogeneo.
Fenomenale Meryl Streep in versione canora, nuovamente capace di dar vita a un personaggio ricco e multiforme mescendo verve comica e tensione drammatica; assai convincente Woody Harrelson, giustamente intensa e ambigua Virginia Madsen.
Di nuovo, il cinema segue la vita e le sue svolte. Il lungo addio e America oggi non sono passati invano.
Alessandro Bizzotto
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