The Fog - Nebbia assassina
"State lontano dalle nebbia", diceva alla fine la speaker Stevie Wayne nel bellissimo film The Fog targato John Carpenter; ma erano gli anni ottanta quando i soldi erano pochi ma non mancavano l’entusiasmo e la volontà di fare bene, intenti che si riflettevano negli attori e nel cast tecnico, soprattutto quando le emulsioni della pellicola a malapena raggiungevano i 250 asa ma il Dop Dean Cundey era un valore aggiunto e con lenti anamorfiche squarciava il buio - Dio solo sa come - mentre gli effetti ottici, il trucco di Rob Bottin (La Cosa) e una magistrale colonna sonora elettronica (John Carpenter e Dan Wyman) aiutavano lo spettatore ad immergersi in questo incubo, chiaro omaggio lovercraftiano.
Giunge sui nostri schermi 25 anni dopo in un’epoca dove le nuove leve pop-corn-movie sono in pieno IQ CountDown, il remake battezzato Revolution Studios con la supervisione di John Carpenter (co-producer), Debra Hill (morta per un tumore all’eta di 56 anni prima dell’inizio delle riprese), Larry Franco (La Cosa) e Dan Kolsrud (produttore esecutivo anche di L.A. Confidential, Seven).
Avendo ben chiaro in mente quali fossero i momenti chiave del capolavoro orginale, accompagnato da uno score di Graeme Revell che tenta invano di esser tagliente e funzionale come quello suonato da Carpenter, dirige l’inglese classe 1962 Rupert Wainwright, già autore di Stigmata, in un mix di protagonisti che con i loro nomi ricordano i vecchi e gli amici di John Carpenter, ma di fatto ottengono, cercando di replicarne il modus operandi, goffi tentativi visivi e recitativi (inguardabile quanto inascoltabile Tom “Smallville” Welling) buttando alle ortiche una ghiotta occasione per provare ad esser qualcosa di diverso rispetto ad un mediocre cast e regista.
A discapito della buona fotografia di Nathan Hope (ASC Award per "CSI"), e di un buono e credibile effetto digitale (e non) sulla realizzazione della nebbia (almeno questo), alcune licenze narrative dello sciagurato scenggiatore Cooper Layne (The Core) prese sullo script originale lasciano interdetto chi come me ha amato la gemma degli anni 80.
Nel remake la vicenda si infarcisce di malandata ingegnosità, sterili turbamenti, castronerie recitative e incongruenze varie; rispetto l’orginale saturo di terrore per ciò che non si riesce a vedere, viene anche meno quella magica tensione claustofobica di cui la stazione radiofonica del faro era anche protagnista (mentre qua è una futile scenografia) condita dagli ovattati rumori tipo la Sirena da nebbia, le campane ma anche i silenzi e le sonorità elettroniche che ci lasciavano “mesmerizzati” dalla nebbia…
Inutile dare come “avviso ai naviganti” di stare lontano da questa nebbia.
Sarebbe stata una buona idea un sequel, che forse, sì, avrebbe avuto più senso e sarebbe stato meno carico reponsabilità. Purtroppo il saldo attuale tra budget e incassi al box office danno un incoraggiante +11 milioni di dollari dando allo Studio una certa ragione, quindi non resta che rassegnarsi nel vedere, in nome dei tempi moderni e delle belle ragazze in mutandine (e fosse solo per questo), deturpati altri capolavori.
Fabio Pirovano
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