Niente da nascondere
Come rileggere il thriller stravolgendo le regole di genere? Ce lo mostra Michael Haneke, che con Caché (per la
versione italiana Niente da nascondere) riesce a tessere finemente le fila di un mistero senza fare uso degli strumenti
tradizionali propri della suspense più nota. Un'operazione, questa, che sa rivelarsi sempre rischiosa: non rispettare i
codici audiovisivi più diffusi può portare il risultato a imboccare la strada del flop, far smarrire un prodotto
cinematografico nel labirinto dell'incomprensibile. Il genere come categoria influenza sempre l'attività cognitiva dello
spettatore, anche (forse soprattutto) per quanto riguarda stili e linee strategiche di una storia. Ogni regista si
caratterizza per un'impronta e un piglio espressivo peculiari e definiti, tipici della propria personalità artistica, questo
è vero. Ma l'abilità che occorre per potersi permettere di ignorare alcune delle strutture drammaturgiche fondamentali
dev'essere notevole, non certo di routine.
Haneke sceglie una storia intrigante già in partenza. Georges (Daniel Auteuil) e Anne (Juliette Binoche)
conducono un'esistenza invidiabile; hanno un figlio e una bella casa piena di libri. Lui conduce un programma televisivo
dedicato alla letteratura e ai suoi autori, va a prendere il bambino a scuola, guida un'automobile lustra e accessoriata; lei
è ai vertici di una casa editoriale di successo, organizza cene accoglienti per il club d'amici e va con il marito ad
assistere alle gare di nuoto del figlio. All'improvviso, anonimi recapiti inquietanti: videocassette con filmati che
dall'esterno riprendono la casa, il suo ingresso, i suoi abitanti che escono ed entrano, poi incomprensibili disegni con
macchie rosso sangue, e una telefonata troncata a metà. Uno scherzo di cattivo gusto? Gli invii non cessano, la polizia
non ha elementi che giustifichino un intervento. E lentamente un fantasma emerge dal passato di lui, dubbi e mezze verità:
un fratellastro algerino allontanato in tenera età, episodi rimossi e mai confessati. Georges si agita fra ricordi d'infanzia
e rimorsi familiari sotterrati, Anne si dibatte come una leonessa, ansiosa di scoprire la verità. E la bella casa per i due
coniugi si trasforma in campo aperto di incontro e scontro.
La cortina civile con cui il regista ha trattato i personaggi e le loro storie azzera il chiasso dell'effettaccio
più crudo: nonostante le ottime premesse, Niente da nascondere non ha nemmeno una scena imbevuta della tensione
del giallo moderno; persino il colpo di scena propedeutico al finale arriva così, a freddo, inaspettato come una scossa.
L'allungamento dei tempi morti, vagamente hitchcockiano ma più raffinatamente europeo, percorre così una strada poco nota
al thriller, che si trova costretto a ignorare i suoi dogmi narrativi per una riflessività inconsueta.
La particolarità dell'opera di Haneke emerge fin dalla prima inquadratura, con i titoli di testa che compaiono in
successione come le righe di un tema scritte dalla tastiera di un computer, sovrimpressi a una ripresa della casa che si
rivelerà essere quella del misterioso mittente. Il meccanismo che inserisce nella storia i frammenti di quegli strani filmati
ritorna a più riprese come qualcosa che va oltre la soggettiva piazzando lo spettatore al posto dei protagonisti, le cui voci
si odono spesso fuori dal campo visivo. Così, la storia prende forma concedendo allo spettatore indizi che non sembrano tali,
gioca senza darne l'impressione con i tempi (le lunghe discussioni a tavola, le lezioni e le gare di nuoto) e gli spazi
(non solo la casa di Georges e Anne, ma anche la stessa piscina, i bar, lo studio televisivo).
Costruendo l'inquietante, Michael Haneke - sceneggiatore oltre che regista - riesce a sfumare l'elemento personale
con quello di ordine sociale e con la memoria storica (la guerra d'Algeria), trasformando Georges in figura archetipo che
riceve un'eredità fatta di colpe nazionali oltre che singole; l'eccellente prova di Daniel Auteuil, duttile e scattante
sotto la maschera del galateo pacato, rende alla perfezione la complessità di un personaggio che a livello individuale fa
i conti con un trascorso buio, per certi versi più grandi di lui.
La regia è lucida, consapevolmente atipica, meritatamente premiata al Festival di Cannes, e usa inquadrature ferme
che sanno muoversi addirittura meno del necessario. Anche la presentazione degli esistenti sfida le regole convenzionali
della letteratura audiovisiva, soprattutto con il personaggio di Anne; durante le prime scene Haneke s'ostina a inquadrarla
di spalle, parzialmente nascosta nelle semi-soggettive, mostrandola in brevi profili; poi, per contrasto, arriva un suo
improvviso, lungo primo piano, mentre risponde e parla al telefono. L'interpretazione di Juliette Binoche, davvero
sensazionale, riesce ad assecondare il gioco di Haneke con misura magistrale; spesso sacrificata in larghi abiti casalinghi,
la Binoche sa essere dolce e fiera, accorda le emozioni come una sinfonia nascondendole dietro il forte pragmatismo della
madre di famiglia, intensa eppure naturale senza essere sprezzante.
E l'enigma di Niente da nascondere
inizia ad essere sciolto mentre viene presentato, come una tela di Penelope;
in questo senso, il film arriva ad essere addirittura provocatorio scegliendo la conclusione troppo ovvia. Haneke finge di
dover dare allo spettatore una soluzione che non arriva. Ma c'è una chiave del mistero? È già lì come quel passato cui non si
guarda per scelta?
A chiudere il film è così un finale che diventa meno drammatico, ragionevole come una lezione: gli studenti fuori da
una scuola, educati a convivere con la diversità.
Alessandro Bizzotto
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