The Skeleton Key
Caroline (Kate Hudson), una giovane sprovveduta infermiera decide di offrire la sua assistenza, e l’affetto per un padre scomparso troppo prematuramente, ad un uomo anziano e paralizzato (John Hurt), che vive in una strana casa della Louisiana, nelle paludi del profondo e oscuro Sud assieme alla moglie Violet (Gena Rowlands), una donna piena di fissazioni e superstizioni. La giovane si adatta con fatica alla realtà di quel vecchio e morboso mondo, indifferente alle assurde tradizioni e ai riti che sembrano avvolgere come piante selvagge le paludi e la vita di ogni abitante. Ma giorno dopo giorno, porta dopo porta, Caroline inizia a scoprire che alcuni riti legati alla storia e alle persone che hanno vissuto in quella stessa casa, nascondono molto più che qualche innocua stregoneria e l’iniziale curiosità, lascia il posto ad un’inquietudine profonda, che metterà in crisi la sua razionalità e il rapporto con Violet.
Thriller gradevole, costruito su meccanismi abbastanza efficaci ma un po' troppo collaudati che spesso si rivelano incapaci di tenere alta la tensione del film e di rendere davvero inquietante un soggetto comunque accattivante, che ricrea molto bene, attraverso gli ottimi scenari di Drew Boughton e Suttirat Anne Larlarb e una regia (quella di Iain Softley, già impegnato nell’irrazionale con lo straniante K-Pax) comunque onesta, priva di orpelli o di eccessi fuorvianti, le suggestioni di un passato lontano ma ancora latente, che riemerge
gradualmente senza mai scadere nel grottesco (e il rischio di banalità in questi casi è dietro l’angolo), ma facendosi trascinante, ammaliante, intrigante come agli occhi dell’ apparentemente scaltra protagonista, in cui il pubblico inevitabilmente si identifica, nel tentativo di “vederci chiaro” e di liberare la mente da stupide (ma sempre inquietanti) idee di superstizione.
Proprio alla luce di questo, il film deve moltissimo alla grande interpretazione di Gena Rowlands (e, sia pure in misura minore, di John Hurt) e trova la "chiave" della propria riuscita in un "the end" (finalmente!) originale e non convenzionale, in grado di riscattare in parte le lacune del film e di giustificare la presenza come protagonista dell'insipida e sempre più inespressiva Kate Hudson: eccezionale il modo in cui l’attrice viene usata nel film dalla Rowlands (e dal regista) quale vittima sacrificale, simbolo di dell’apparente anticonformismo moderno e di una razionalità che crede di poter controllare e spiegare tutto, che alla resa dei conti vengono punti come il più becero dei sortilegi (da ricordare la sequenza finale dopo il sortilegio con la Rowland, che si accende la sigaretta di fronte alla Hudson, povera “bambina”).
Una nota di merito per l’intrigante colonna sonora del film realizzata da Ed Shearmur che dal profondo Sud, intriso di magia nera, risale le radici del Mississippi attraverso pezzi riarrangiati come "Highway Blues" di Mississippi Fred McDowell o "Do Whatcha Wanna" di ReBirth Brass Band, in un viaggio attraverso la musica nera fino all'R&B dei nostri giorni che si chiude sui titoli di coda con la bellissima "Death Letter" di Johnny Farmer.
Ottavia Da Re
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