Litigi d'amore
Mixata al tono crepuscolare, la commedia sentimentale ha dato vita a un genere fertile che non smette di ispirare dai
tempi di Voglia di tenerezza. Ma quando la patina rincuorante della lacrima consolatrice s'incrina integrandosi col dramma
l'esperimento si fa meno sicuro, a rischio d'insuccesso strutturale o di botteghino.
Siccome il business impera e vuole la sua parte col box office, ecco uscire un'opera interessante come The Upside of
Anger (letteralmente "Il lato superiore della rabbia") con la maldestra resa Litigi d'amore, nuovo esempio di
banale traduzione tranquillizzante. Dietro cui si celano, però, i toni amari della rabbia e del risentimento.
La vita di Terry (Joan Allen) cade improvvisamente a pezzi di fronte alla scomparsa del marito, sparito senza una parola.
Le quattro figlie, ormai alla soglia dell'età matura, ne sopportano gli sbalzi umorali cercando di capirla. Il disordinato
vicino di casa Denny (Kevin Costner), ex campione di baseball, s'insinua con silenziosa insistenza nella sua vita fino a
riuscire a entrare in sintonia piena con lei. La nuova storia d'amore procederà tesa e a volta insicura, gli alti e bassi
nel rapporto di Terry con le figlie potreranno conseguenze incontrollate. Ma ancor più difficile da gestire sarà la rabbia
che segue l'abbandono, il rancore che terrà una parte di Terry bloccata fino all'inattesa svolta finale.
Affidando la narrazione nelle sembianze di un flashback alla voce della minore delle quattro figlie di Terry (non a
caso quella con cui il legame è più freddo e combattuto, interpretata da Evan Rachel Wood), il regista Mike Binder ha dato
all'opera un tono di compiutezza maggiore, innescando un gioco che lascia vedere un punto d'arrivo senza però rivelarne le
coordinate.
E via allora con pennellate ora d'efficace ironia ora di tensione graffiante, giù nella crisi della protagonista,
dentro e fuori dai piccoli grandi drammi quotidiani di chi le ruota attorno. Un intrecciarsi di rapporti dall'essenza
bifronte in cui condividere le insicurezze porta con sé il rischio di ferire l'altro.
Binder ritrae non solo i tortuosi percorsi intrecciati dei personaggi, ma anche lo scorrere del tempo attraverso
le foglie che cadono, l'alternarsi delle stagioni che cambiano l'aspetto della casa e del giardino, assecondate dalle diverse
luci della fotografia di Richard Greatrex (Shakespeare in Love). Un gusto naturalista che riprende - per somiglianza -
quello già caro alla regista australiana Gillian Armstrong, che con il suo Piccole donne (un titolo a caso?) aveva fatto
del mutare delle stagioni un efficacissimo strumento narrativo.
Lo sfumare della commedia nel drammatico, quel coesistere di toni che così bene s'alternano districandosi fra le
anse di una storia carica ma sempre snella, è il vero merito di Litigi d'amore: la tragedia, che rifiuta l'annacquato
percorso trasversale della lacrima silenziosa, é dura, ma organizzata per riempire spazi che non ingombrano, lasciando che
la rabbia del titolo originale esploda, ma per contrasto carichi di tensione maggiore anche il lato ironico della storia
(gli impacciati duetti amorosi iniziali, le piccole nevrosi di Terry).
Attente le prove di tutti gli interpreti, ma il film si costruisce soprattutto sulla bravura extra di Joan Allen,
protagonista di prim'ordine cui basta un'occhiata per ribaltare il senso di un'inquadratura. Ora agile e autoironica, ora
spigolosa e fredda, la Allen consegna al cinema una delle migliori prove della sua carriera, dando compiutezza a ogni sbalzo emotivo praticamente a vista.
E se lo spaccato di vita borghese U.S.A. può sembrare frutto di un'affettazione manieristica, la sceneggiatura
interviene con curiosi giochi d'attesa (su tutti quello relativo al funerale con cui il film si apre. Sarà della figlia
la cui salute pare vacillare? O del giovane amichetto troppo spericolato?). A riprova del fatto che per interessare può
essere più che sufficiente cercare lo straordinario nell'ordinaria serie di sorprese della vita.
Alessandro Bizzotto
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