Quelliche...ilCinema alla conferenza stampa di LASCIATI ANDARE
La nostra Ilaria Serina ha incontrato i protagonisti Toni Servillo, Verónica Echegui, Carla Signoris e Francesco Amato, il regista del film in occasione della conferenza stampa di presentazione di "Lasciati andare". Molte le domande della stampa, che raccogliamo per voi nel nostro articolo riassuntivo.
“Per lasciarsi andare, nella vita occorre una buona dose di coraggio ed ironia” - Francesco Amato
“Lasciarsi andare, probabilmente vuol dire affrontare la vita, non con professionismo, ma, da efferati dilettanti” - Toni Servillo
- Cosa significa per voi lasciarsi andare, nella vita di tutti i giorni?
Francesco Amato:
Stavo vivendo un periodo molto difficile, delicato della mia vita e credo che questo film possa essere la risposta a quel momento. Ho cercato di affrontare la vita e le sfide che inaspettatamente essa ci propone, con maggiore leggerezza e questo aspetto ho voluto trasporlo, raccontarlo nel film: non prendere le difficoltà troppo sul serio.
Groucho Marx è stato uno dei nostri modelli di riferimento per tutta la lavorazione del film, ho anche regalato la biografia a Toni, e si è rivelato fondamentale per trovare e mantenere il giusto tono di comicità.
Questo film ha avuto il dono e la fortuna di convogliare in sé molto talento ed io ho sempre sentito per tanto una grande responsabilità nei confronti del mio lavoro, certamente, ma soprattutto nei confronti di tutti coloro che vi sono stati coinvolti e che in maniera così generosa hanno messo a disposizione il loro talento per realizzarlo.
Il coraggio non è esattamente una qualità che mi caratterizza, ecco direi che il pavido è il personaggio che mi assomiglia di più nel film, perciò ho dovuto attrezzarmi a riguardo: a tal proposito ricordo un’intervista che Toni rilasciò subito dopo la vittoria de “La Grande Bellezza” agli Oscar di tre anni fa, in cui consigliava ai giovani attori emergenti di avere il coraggio di difendere le proprie idee, di portarle avanti con forza, energia e determinazione. Ecco, in quel caso credo che Toni stesse davvero parlando ai giovani e non a me, ma io comunque le sentii mie quelle parole, le ascoltai come se si stesse rivolgendo a me personalmente.
Toni Servillo:
Ho trovato subito, sin dalla prima lettura della sceneggiatura, che ci fosse questo bellissimo incontro tra il personaggio di Elia e quello di Claudia: un incrocio di personalità assai differenti che però si danno una mano, ognuno a suo modo, a sopravvivere, a vivere meglio, esercitando involontariamente la loro professione. Lui facendo l’analista, ma inconsapevolmente, fuori dal contesto del suo studio; lei svolgendo il suo lavoro di personal trainer ma fuori dalla palestra e tra le mille difficoltà di una ragazza che cerca fortuna in un altro Paese. Quindi penso di poter affermare che lasciarsi andare significhi non voler affrontare a tutti i costi la vita con eccessivo professionismo, prendendosi troppo sul serio, ma semmai con la giusta leggerezza.
- Com’è nata la collaborazione a questa commedia tra Toni Servillo, il regista Francesco Amato ed il resto del cast?
Toni Servillo:
In modo molto naturale. Non era un mistero per nessuno che da tempo cercassi un progetto come questo, grazie al quale mi sarei potuto confrontare con il registro della commedia pura. Un giorno mi hanno cercato Riccardo Tozzi ( produttore ) insieme a Francesco Amato ( regista ), con grande sicurezza hanno sottoposto il progetto alla mia attenzione; io ho letto il copione, mi è piaciuto e da lì è partita la nostra collaborazione, molto semplicemente. Sì è vero, tutto è accaduto da subito molto naturalmente.
Francesco Amato:
Con Toni abbiamo lavorato moltissimo sul testo sin dall’inizio: ogni mercoledì sera lo raggiungevo dov’era in turné con lo spettacolo da lui diretto ed interpretato, tra gli altri, con il fratello Peppe, “Le voci di dentro” dal testo di Eduardo de Filippo, dove ho avuto occasione di conoscere anche Vincenzo Nemolato che qui avrebbe poi vestito i panni di Yuri. La mattina seguente leggevamo insieme la sceneggiatura ed io mi appuntavo ogni nostra sessione di prove con un registratore vocale, lavoro che poi mi è tornato molto utile sul set.
Carla Signoris:
Per caso eravamo entrambi in vacanza all’isola d’Elba e, benché non fosse assolutamente in programma, abbiamo colto l’occasione di incontrarci con Francesco e parlare del progetto: è raro trovare una sceneggiatura magnifica come questa, così ben scritta da risultare già pronta, dove il tuo personaggio lo riesci a vedere con estrema facilità e lo ami così com’è, tanto è scritto con chiarezza. Questo primo, fondamentale e prezioso elemento è stato quello che indubbiamente ha poi permesso di avere quella leggerezza che ha caratterizzato tutto il nostro lavoro e che abbiamo la possibilità di riscontrare costantemente, con grande piacere, in questi primi incontri con la stampa ed il pubblico: ci state restituendo leggerezza.
- Quando avete capito che la storia così com’era scritta funzionava tanto da far scattare in voi la voglia di partecipare a questo film e qual è la vostra scena preferita?
Verónica Echegui:
Sin da subito! E’ tutto molto ben congeniato ed ogni situazione si collega perfettamente all’altra; tutto è estremamente funzionale al procedere della narrazione e l’esser prontamente entrata in sintonia con i due protagonisti – Elia e Claudia – sin dalla lettura del copione, mi ha permesso di comprenderli a fondo e di afferrare il cuore della storia che mi ha conquistata.
Io amavo Jep Gambardella, ma quando ho conosciuto Toni Servillo mi sono innamorata di lui, della sua incredibile umanità, con cui si approccia al lavoro e si rapporta a tutti i suoi colleghi sul set. E’ molto difficile scegliere una scena su tutte, anche perché ciò che immagini in una prima fase di lettura non sempre corrisponde a quanto andrai poi a fare sul set; ma se devo sceglierne una su tutte, allora scelgo quella di Winnicott. Il giorno in cui girammo quella scena io ero stata molto male, a questo si erano sommati alcuni problemi tecnici ed io avvertivo una grande pressione su di me. Toni mi ha supportata moltissimo ed il risultato è ciò che voi oggi potete vedere sullo schermo.
Un aspetto che amo moltissimo di questo film è che evidenzia quanto si possa cambiare a dispetto di ciò che comunemente pensiamo a riguardo: cambiare si può e si deve, basta volerlo e lavorare sodo per farlo. Siamo troppo intellettuali oggi, radicati e prigionieri della mente, mentre fisico, mente e spirito sono collegati tra loro, sono un tutt’uno e se ci ricordiamo questo e restiamo in ascolto delle nostre sensazioni, assecondare il cambiamento sarà molto più semplice ed avverrà in maniera estremamente naturale.
Toni Servillo:
Anche io ho amato molto quella scena, anche perché racchiude in sé la leggerezza che è insita in tutta la storia. Questo film dà quasi la sensazione in alcuni momenti di voler spiegare quel vecchio adagio secondo il quale “la vita è ciò che ci accade mentre ci occupiamo d’altro”. I nostri due protagonisti infatti, senza esercitare consapevolmente la loro professione, mettono in moto qualcosa che sul piano emotivo, sentimentale, cambia le loro esistenze. Questo tipo di trasformazione accade spesso nelle commedie, è un genere che racconta molto bene questo aspetto e quando ci riescono, ci riescono meglio di molti drammi… Beh, speriamo d’esserci riusciti anche noi.
Francesco Amato:
Io ho un debole per le scene che raccontano le sedute di psicanalisi e quelle della coppia Elia/Giovanna, grazie alle quali si evince che, nonostante la separazione, c’è ancora, seppur sopita, della passione dell’amore reciproco. Questa coppia, come tante altre hanno modo di sperimentare nel loro percorso di vita, ha solo bisogno di riscoprirsi innamorata uscendo dalla routine quotidiana reinventandosi. Talvolta si ha solo la necessità di trovare il coraggio di ammetterlo con sé stessi e al partner.
- Gli autori della sceneggiatura Francesco Bruni, Davide Lantieri e Francesco Amato come hanno lavorato su questo aspetto di umorismo ebraico molto sottile, pungente e raffinato che caratterizza tutto il film nella sua leggerezza, ma senza mai rendere il film superficiale? Quali ispirazioni avete avuto e com’è stato girare nel ghetto ebraico di Roma?
Francesco Amato:
Recentemente ho letto una dichiarazione di Amos Luzzatto in cui egli sosteneva che l’umorismo ebraico non è semplicemente un’antologia di barzellette, ma semmai uno strumento per superare i problemi della vita e, in questo senso, la commedia non credo che sia disimpegno, anzi, credo che possa essere l’occasione per misurarsi con le proprie fragilità e quando si riesce a far ciò attraverso questo genere, lo si riesce a fare con risultati talvolta ben più efficaci del dramma. Questo film evidentemente è debitore di tutta la cultura anglosassone ed ebraica: dai fratelli Marx ai fratelli Coen, passando per Ernst Lubitsch, Billy Wilder, Woody Allen e Mel Brooks; è il cinema che ci piace e che credo abbia in sé una sostanza molto reale e concreta nell’ambientazione tipicamente romana, con una commistione però tra il tradizionale e l’esotico data dalla rappresentazione del quartiere ebraico. Con questa comunità così forte ma ben integrata Elia ha un rapporto di necessità, ma anche di sofferenza, un po’ come c’è l’ha anche nei confronti di Carla, sua moglie: restare insieme, ma in autonomia.
- Come ha trovato e costruito la caratterizzazione del suo personaggio, fisicamente, con quella folta barba bianca ed i chili di troppo?
Toni Servillo:
Non ho seguito alcun metodo Strasberg di trasformismo particolare: le pance erano finte, ne avevo due, per poter partire da uno stato critico di salute che induce il mio personaggio a chiedere l’aiuto di Claudia, ad una che va dimostrando l’effettivo miglioramento dopo settimane di allenamento. La barba l’avevo già e abbiamo provato a farla crescere prima delle riprese per vedere se fosse funzionale al mio personaggio e in effetti abbiamo convenuto che mi conferiva questo aspetto un po’ freudiano molto rassicurante.
- Tutti i personaggi scritti in sceneggiatura son stati pensati esattamente per chi poi gli ha interpretati o ci son stati dei cambiamenti? Ad esempio: Claudia è sempre stata spagnola anche in fase di ideazione?
Francesco Amato:
Tutti i personaggi erano scritti per gli attori che vedete.
In realtà non avevamo affatto pensato ad un Paese di provenienza in particolare per il personaggio di Claudia; infatti i casting fatti in una fase iniziale hanno tenuto in considerazione attrici italiane, tanto quanto francesi, spagnole e rumene. Poi ho incontrato Verónica, che io per altro già conoscevo avendo visto un film di Bigas Luna, e ci siamo resi conto che lei risultava ancor più forte caratterialmente di come l’avessimo mai immaginata in fase di scrittura, ma al contempo il fatto d’esser spagnola e quindi straniera, la rendeva ancor più precaria, in qualche modo fragile e distante da quella borghesia romana che forse si permette anche d’essere un po’ comoda.
Per quanto riguarda Carla invece, lei ha in sé, nella sua personalità, degli aspetti essenziali per il personaggio di Giovanna: è una donna che sa veramente amare, ma al contempo esser autonoma.
Non è stato affatto difficile comunque fare il cast di questo film.
- Il film sembra stato fatto e concepito anche pensando già ad un pubblico estero: c’è forse un percorso in tal senso e dei Paesi ai quali è stato venduto?
Riccardo Tozzi:
E’ un momento veramente difficile e delicato per il cinema italiano, ma una riflessione che mi viene da fare proprio pensando a questo film è che è stato lavorato in maniera molto attenta ed approfondita pur partendo sicuramente da un’idea di base molto buona; ma il copione, che pur aveva una struttura molto solida è stato lavorato tantissimo: dal testo, nei dialoghi, prima ancora che arrivassero gli attori, poi con loro, poi nella scelta minuziosa dei comprimari, alle location e nelle scenografie. Un lavoro progressivo ed instancabile in tutte le fasi, non avendo fretta di uscire immediatamente e preparando il lancio del film. Questo è un prezioso spunto di riflessione: al di là del tocco e dell’intuito geniale di partenza e dell’indiscusso talento profuso da tutti nel farlo, questo livello di approfondimento e serietà, per far ridere s’intende, ma che forse proprio in questo caso si rivela ancor più necessaria, è una base solida a cui ritornare sempre per lavorare al meglio. Questo ci ha anche permesso di avere un distributore internazionale in tempi brevi, poiché si riconosce sin da subito che può tranquillamente ambire ad essere un prodotto dal carattere internazionale pur avendo una connotazione così specifica, collocato in un quartiere così particolare di Roma, forse mai raccontato prima. Infatti ci siamo posti non poco il problema di come approcciarci, nel corso della lavorazione del film, a quella realtà e a come restituirla con coerenza e rispetto, essendo noi una troupe di “gentili”, ovvero, non ebrei.
Anche mantenere il tono giusto era fondamentale, poiché si parte dalla commedia sofisticata, ma si finisce nello slapstick, con una virata progressiva.
Vedete, quando le cose vanno bene, questo in tutti gli aspetti della vita, si tende ad abbassare la guardia e ci si convince, per convenienza, per abitudine o pigrizia, che si possa andar avanti così pressoché in eterno, sino a quando ti rendi conto che non funziona più ed allora sei costretto a correggere il tiro selezionando idee, progetti, collaborazioni ed anche approccio al lavoro, con maggiore attenzione: quella stessa attenzione che investivi all’inizio e che poi hai smarrito strada facendo. Questo film, ciò che ha portato con sé, sarà per noi a lungo motivo di riflessione e se necessario vorrà dire che si faranno meno film, ma fatti meglio.
L’uscita è prevista nel nostro Paese in 250 sale ed i mercati esteri in cui è già stato acquistato sono: Stati Uniti, Canada, Francia, Spagna, Israele, Australia e Taiwan.