La recensione: COLLATERAL BEAUTY a cura di Ilaria Serina
Al cinema dal 4 gennaio
Amore. Tempo. Morte. Questi sono secondo Howard Inlet, brillante agente pubblicitario a capo di un’agenzia newyorkese di successo, i cardini della nostra intera esistenza e tutto ciò che realmente ci accomuna a qualunque altro essere umano sulla faccia della Terra: una connessione profonda data dall’innegabile condivisione di questi tre aspetti della vita che ci legano gli uni agli altri ben al di là di tutto quello che, al contrario, potrebbe mai dividerci. In un memorabile discorso di trionfo atto a celebrare un anno di successi lavorativi, Howard ( Will Smith ) ricorda a tutti i suoi collaboratori come tale successo sia giunto proprio poiché ognuno di loro lavora tenendo sempre ben a mente l’unica, vera, essenziale domanda che ci spinge ad alzarci ogni mattina per vivere la giornata che ci attende e alla quale ha senso cercar di dare una risposta: “perché?” Quesito non da poco, al quale potremo riuscire a restituire un pieno significato solo non trascurando mai quel umano trittico comune denominatore.
Tre anni più tardi quello stesso uomo che celebrava la vita ora si limita ad osservarla da una distanza siderale: lascia che il tempo gli scivoli addosso pressoché inerme, rifiutando il benché minimo gesto d’amore o attestato d’amicizia, poiché la morte lo ha privato della forma più autentica e completa attraverso la quale l’amore possa mai manifestarsi, quella di una figlia. Il lutto per questa incommensurabile perdita, oltre ad averlo annientato come essere umano distruggendo la sua famiglia, lo sta portando ad un passo dal fallimento aziendale. Tutto ciò che riesce a fare è riversare su carta quel senso di annichilimento, figlio di tanto dolore, che si traduce in delle missive indirizzate per l’appunto alla Morte, al Tempo e all’Amore; quel che di certo non avrebbe mai potuto immaginare è che le risposte non tarderanno ad arrivare!
Mentre Howard si tiene quotidianamente occupato reiterando il perpetuo erigere per poi distruggere complesse architetture di domino colorati, dietro le quali si è oramai trincerato per sfuggire la responsabilità di qualsiasi decisione; Whit, Claire e Simon ( rispettivamente Edward Norton, Kate Winslet e Michael Peña ) suoi cari amici e fidati colleghi da sempre, devono riuscire ad escogitare un modo, nel minor tempo possibile, per abbattere quella prigione di impenetrabile silenzio in cui Howard si è caparbiamente rinchiuso mettendo a repentaglio la propria vita, il loro legame di amicizia e la sopravvivenza stessa della loro agenzia, frutto di non pochi anni di sacrificio e di duro lavoro che potrebbero ora andare in fumo. “Collateral Beauty” scritto da Allan Loeb ( “21” e “Rock of Ages” ) e diretto da David Frankel ( “Il Diavolo veste Prada” e “Io & Marley” ) affronta il difficile, delicatissimo e cinematograficamente insidioso tema dell’elaborazione del lutto, in maniera politicamente corretta, per tanto estremamente convenzionale e rassicurante, senza rischiare mai, nemmeno per un istante, di destabilizzare lo spettatore per quanto la situazione si faccia impegnativa sullo schermo. Semmai il solo intento è quello di coinvolgerlo emotivamente cercando di far breccia con un sentimentalismo diffuso e mal celato dietro una confezione natalizia dalle atmosfere dickensiane. Qui infatti, al posto degli spiriti del Natale passato, presente e futuro, troveremo la personificazione della morte, del tempo e dell’amore, che avranno il volto, al cospetto del protagonista, di Helen Mirren, Jacob Latimore e Keira Knightley. Dovranno assolvere al difficile compito, commissionato loro, di riportare Howard in seno all’azienda che egli stesso ha costruito e possibilmente a riabbracciare la vita che ora invece rifugge con rabbia. Nel frattempo non perderanno occasione di impartire ai loro committenti qualche utile lezione sulle responsabilità, le aspettative e le preoccupazioni che il ruolo genitoriale comporta.
Sarà la presenza di Will Smith, sarà la scelta del tema affrontato con un certo tono e calato in quell’atmosfera, ma “Collateral Beauty” ricorda moltissimo i film che Gabriele Muccino realizzò proprio grazie alla collaborazione con il famoso attore americano e che gli permise di lavorare e farsi conoscere anche oltreoceano: da “La Ricerca della Felicità”, passando per “Sette Anime” sino al più recente “Padri e Figlie” che vede invece protagonista Russell Crowe.
Quello portato avanti qui da Loeb e Frankel in poco più di un’ora e mezza è un gioco delle parti che riserva qualche piccola sorpresa e una furba strizzatina d’occhi sul finale che ha il sapore della favola. “Collateral Beuaty” è, per tutte le ragioni sino ad ora esposte, un perfetto prodotto natalizio, sia nella forma ( cast "all stars" ) che nella sostanza: la difficile accettazione e quindi riappacificazione con la vita attraverso tutto ciò che ne è l’essenza stessa, magnifica o temibile che sia. Il clima delle feste, che ricorrono in questo periodo dell’anno, ben si presta per affrontare certe universali riflessioni o a sollevare alcuni spinosi quesiti che trovano solitamente nella cinematografica cornice natalizia discrete soluzioni prêt-à-porter.
L’aspetto potenzialmente più interessante, ma che viene unicamente accennato senza che trovi nel film un reale approfondimento, è proprio quello che dovrebbe essere il file rouge di tutta la storia e che le dà il titolo: quella bellezza collaterale a cui non diamo grande importanza e che invece risiede in ogni dettaglio della nostra esistenza; si manifesta inaspettatamente nella nostra quotidianità e se siamo in grado di coglierla, rappresenta il sale della vita ed il suo salvifico significato a cui aggrapparsi nei momenti più bui.