TEATRO / La recensione: PROVANDO...DOBBIAMO PARLARE di Sergio Rubini

TEATRO: la recensione di “PROVANDO…DOBBIAMO PARLARE”
Dal Teatro al Cinema e poi di nuovo al teatro
Dal 17 al 21 febbraio al Teatro Toniolo di Mestre


"...Da un copione ad un canovaccio di sceneggiatura, passando per alcune recite pubbliche per tastare “i colpi di tosse” del pubblico di piccoli spettacoli fino ad approdare al cinema per poi tornare alla sua 'mise-en-scène' naturale, il teatro, tutto nasce dalla volontà di provare a inscenare e concentrare una storia in un’unica notte..." Così il regista e protagonista Sergio Rubini di “Provando… dobbiamo parlare”, in un prologo che anticipa la rappresentazione dello spettacolo scritto da lui, Carla Cavallucci e Diego De Silva in scena al Teatro Toniolo di Mestre (dal 17 al 21 febbraio), dopo aver raccolto consensi ovunque. Sì perché con questo spettacolo ci troviamo di fronte ad un caso raro di scrittura, nata per il teatro, confezionata perfettamente per il cinema in un “Carnage” all’italiana ambientato in un lussuoso attico nel centro di Roma e riportato in vita su un palcoscenico, in una dimensione quasi primordiale, spogliata di quasi tutta la forma scenografica del grande schermo, provata di oggetti, terrazze, libri, animali, orpelli, tranne un pesce, unico testimone e voce fuori campo (al cinema era quella di Antonio Albanese, a teatro quella di Giorgio Gobbi) di quella che diventa, all’apparir del vero, depurata dal montaggio e dalla macchina da presa, usando solo pochi escamotage per concentrare ancora di più l’attenzione sui protagonisti, una vera e propria “carneficina” in cui i protagonisti , due coppie di amici, all’opposto per mentalità, idee politiche, sociali, culturali, rapporti coniugali…
Da una parte la coppia innamorata intellettuale e progressista, di sinistra radical-chic formata dall’affermato scrittore Vanni / Sergio Rubini, (che qui sembra citare Woody Allen) con la giovane compagna a sua volta scrittrice e a sua volta ghostwriter, apparentemente sperduta e umile(?) ex allieva, “Linda”, Isabella Ragonese con “la puzza sotto il naso” e il terrore degli animali (“E’ degli uomini che devi avere paura, non degli animali” le ripetono, profetici, il Prof. E Costanza).
Dall’altra la coppia scoppiata di medici borghesi burini “fascistoni” e contenti formata dalla dermatologa “Costanza” Maria Pia Calzone (nota per “Gomorra – la serie”, ma già attrice per la Comencini, Sironi, Patierno; bravissima a rendersi antipatica con battute al veleno (“bisognerebbe imparare a crescere, a maturare, a mentire”) e dal cardiologo “Prof.” Fabrizio Bentivoglio, interprete raffinato e immenso che dopo aver assimilato ogni idioma possibile (perfino la “cantilena” veneta ne “La lingua del santo”, “La giusta distanza”) sfoderando, nella sua carriera un plurilinguismo che non ti aspetti, mette da parte anche l’ultimo briciolo di eleganza per giganteggiare (senza gigioneggiare) anche nel romanesco più becero regalando perle di battute da “camionaro” (al pari di Mario Brega in “Bianco Rosso e Verdone”), in una figura volgare, volutamente esasperata, e nemmeno molto lontana dalla realtà.
Uno scontro tra titani, chiusi (ma sarebbe il caso di dire “liberati”) in una gabbia kafkiana di un palcoscenico spoglio, a darsi battaglia in una notte di pioggia e di sonno vigile dell’irragionevole ragione che nella sua apparente razionalità, si sa, genera mostri. In un crescendo di rivelazioni implodono tradimenti, segreti, antipatie, più o meno note e solo mascherate dall’ipocrisia, vomitate in scena, a turno, in cui ogni protagonista (“quattro” personaggi in cerca dell’autore/regista Rubini), si prende la sua fetta di palco (“non so’ io che ve rubbo la scena, siete voi che nun sapete sta’ sur palcoscenico”, sbotta il Prof. Bentivoglio) in cui tutti si rivelano diversi, compreso il padrone di casa, Vanni, l’intellettuale pacato che, dopo aver cercato di ammansire i propri ospiti con tutta l’abilità retorica e diplomatica del suo personaggio, in un’escalation di ipocrisia infine “sbrocca” come tutti gli altri diventando finalmente se stesso (“Urlo perché l’urlo è una forma antropologica di sincerità” ), uno scrittore frustrato confinato in un immaginario attico nel centro di Roma che fa acqua da tutte le parti come la sua vita, in cerca “di una scialuppa” a cui aggrapparsi per salvarsi dalla realtà, futile, banale in cui come dice alla sua Linda “a furia di parlare di cose superficiali diventi superficiale anche tu”.
Nella guerra tra le parti, spicca la “singolar tenzone attoriale” tra Sergio Rubini e Fabrizio Bentivoglio, alchimia perfetta la loro, dove le diplomatiche e pacifiche delucidazioni del “Vanni” Rubini diventano degli assist infallibili per le battute “sbracate” e irresistibili del “Prof.” Bentivoglio che a sua volta serve all’amico scrittore colpi di fioretto (“ma se permetti prof, così mi sbagli tutta la linea difensiva” o “zoccola a costo zero è un ossimoro molto raffinato”) e così via in un continuo e ininterrotto scambio di prospettive, parolacce, volgarità, metafore, nevrosi, in cui i protagonisti si “vampirizzano” a vicenda, fino a scarnificarsi, cannibalizzarsi, perdere anche l’amore che si dava ormai per scontato. Quel “Dobbiamo parlare” sibillino, diventa un logorroico sfogo di frustrazioni e invettive che riflettono specularmente la realtà dei rapporti umani, e lo spettacolo di Sergio Rubini riesce a rappresentarlo senza cadere nel dramma, in modo magistrale mantenendo un registro comico e ironico, a tratti sarcastico, in un “happening” di mostruosa umanità e anche di leggerezza (basti pensare all’irresistibile scena del balletto tra il “Prof.” e “Lindina” in piena “crisi” di coppia sulle note di “Happy” di Pharrell) che riesce trasfigurare se stesso, diventando uno spettacolo esilarante a cui fanno da contrappunto delle “finte” (?) incursioni dalla regia che, a tratti, informa gli attori in scena della mancanza di un personaggio (il fantomatico portiere Gaetano), di cambiamenti di scena, buchi di copione ecc. come a voler marcare la differenza tra il lavoro cinematografico uscito qualche mese fa (perfetto, fissato, immutabile) e quello teatrale, per dare senso a quel “Provando…” che anticipa il titolo a dir poco imperativo e inquietante della rappresentazione. Ma anche un escamotage per uscire e rientrare nella rappresentazione, in cui gli attori son chiamati ad uscire e rientrare nei loro ruoli, recitando due volte, in una rappresentazione che si fa meta-teatrale ma anche reale, perché nella vita si prova e si sbaglia, si entra e si esce dal gioco delle parti, si ripetono anche gli errori, continuando a cercare di evitarli, ma pur sempre “provando”.
Troppo facile e scontato citare “Carnage” di Polanski (tratto tra l’altro da una pièce di Yasmina Reza), per descrivere questa “carneficina” all’italiana, che sembra contagiare invece altre prove cinematografiche recenti (vedi “Il nome del figlio” della Archibugi o “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese attualmente in sala).
Se un legame con Polanski si vuole proprio trovare, va forse cercato in una delle più importanti esperienze d’attore di Sergio Rubini, nel ruolo silenzioso di un giovane poliziotto proprio a fianco del “commissario” Polanski e del mostruoso indagato Depardieu nel claustrofobico “Una pura formalità” di Tornatore, in cui durante una notte di pioggia, la buia stanza di una stazione di polizia diventerà la scena di un confessionale di brutalità umana. Ma la vera ispirazione per Sergio Rubini, sembra andare altrove e oltre, per risalire alla sua prima esperienza di regista (“La stazione” adattamento di un lavoro teatrale di Umberto Marino). assieme alla migliore commedia all’italiana, evocando Scola (“la cena”), Monicelli (“Parenti serpenti”), metabolizzandola attraverso lo sguardo sottile e ironico che ormai lo caratterizza, cercando un cinema che si fa sempre più teatrale (e reale allo stesso tempo) e che, per una volta, in modo del tutto inaspettato, viene adattato al teatro, in una “trasposizione teatrale” di un film teatrale per vocazione naturale (“un po’ come il backstage di uno spettacolo, senza scenografie” come fa notare Rubini nel prologo).
Sergio Rubini, dopo aver girato il film, con questo sorprendente “ri-adattamento” teatrale riporta il racconto alla sua matrice originaria, a quel copione nato nudo, ritrovando la libertà di provare a reinventarsi, sperimentando, rinnovandosi, divertendosi e facendo non solo riflettere, ma autenticamente godere il pubblico, che dalla sua “bolla” d’acqua di vetro concava, come il “pesce” costantemente in scena, assiste testimone silenzioso ma divertito, alla “commedia umana”, di fronte alla quale non è neppure necessario proferir parola. Meglio tacere, osservare, fregarsene come fanno il Prof. e Costanza, oppure prendersi la libertà di andarsene, come fa Linda o di scrivere, come fa Vanni che, rimasto solo nella quiete dopo la tempesta, proprio nel silenzio di un “mattino che ha l’oro in bocca”, ritrova l’ispirazione perduta e il piacere di scrivere un nuovo romanzo. Senza scialuppe o amici naufraghi. Perché forse nemmeno l’amore può salvarti. Ma il teatro sì, anche quando diventa cinema, in una metamorfosi straordinaria, per tornare ad essere prepotentemente se stesso.

Ottavia Da Re


TRAILER DEL FILM "DOBBIAMO PARLARE":



INFORMAZIONI SPETTACOLO TEATRALE:
TEATRO TONIOLO - IO SONO TEATRO 2015.2016

Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone, Isabella Ragonese, Sergio Rubini
"PROVANDO... DOBBIAMO PARLARE"
di Sergio Rubini, Carla Cavalluzzi, Diego De Silva
regia Sergio Rubini

mercoledì 17 febbraio, ore 19.30
giovedì 18 febbraio, ore 21.00
venerdì 19 gennaio, ore 21.00
sabato 20 gennaio, ore 19.30
domenica 21 gennaio, ore 16.30


TEATRO TONIOLO, MESTRE - VENEZIA
SINOSSI & PRESENTAZIONE SPETTACOLO "PROVANDO...DOBBIAMO PARLARE"
Sbarca direttamente dal cinema il cast stellare di "Provando... Dobbiamo parlare" che vede riuniti sul palcoscenico Sergio Rubini, Fabrizio Bentivoglio, Maria Pia Calzone e Isabella Ragonese, impegnati con un testo brillante che sta raccogliendo in tutta Italia applausi a scena aperta e le ovazioni dei critici per la formidabile prova attorale fornita da questa doppia coppia all'asso.
Certo, una coppia borghese può essere teatrino di tutti i vizi borghesi: ostentazione di ricchezze, rapporti utilitaristici, rivendicazione dei diritti di figli avuti da matrimoni precedenti, patrimoni da spartire, lettere di avvocati, conti in banca, minacce, testamenti, risarcimenti, crisi di panico e via discorrendo. Per non parlare delle menzogne, i sotterfugi, i tradimenti e tutte le complicazioni che ne conseguono. Una coppia che funzioni in questo modo, spesso è tesa a gestire il suo status sulla base del calcolo e della scorrettezza, dimentica ormai da anni che il motore che li unì un tempo fu l’amore. Ebbene immaginiamo che i migliori amici di una coppia come questa, siano due che stanno insieme invece per tutt’altre ragioni. Non sono sposati, non hanno proprietà, terreni da dividere, case da accaparrarsi, non sono cointestatari di un conto in banca, e per quel che riguarda i beni materiali condividono solo un bell’attico in affitto al centro di Roma e “quintalate” di libri che non sanno più dove mettere. Lui è uno scrittore, un Premio Strega, due bestseller alle spalle, cinquant’anni ben portati e la trascuratezza da intellettuale consumato e progressista; lei vent’anni più giovane e il fascino di chi pende ancora dalle labbra del maestro, il suo fidanzato in questo caso. Inoltre questi ultimi due a differenza dell’altra coppia anziché fare figli hanno scritto dei libri insieme - i libri di lui a dire il vero - e un’insana necessità di dirsi sempre tutto, questo almeno nelle intenzioni. Adesso, l’anomalia di queste due coppie è senza dubbio che sono amici e che stiano sempre insieme. Supponiamo adesso che la coppia borghese, proprio come ogni coppia borghese che si rispetti, stia attraversando la sua ennesima crisi coniugale, questione di corna nello specifico, e che si sia fiondata a casa degli altri due anche una sera in cui non avevano messo in conto di vedersi. Ma in fondo non è proprio nel momento del bisogno che servono gli amici? Ed ecco così che la serata si fa notte e il salotto diventa un vero e proprio scenario di guerra in cui non solo emergono tutte le differenze tra le due coppie, ma i loro diversi punti di vista, le distanze, ciò che di ognuno l’altro non sopporta, tutto quel groviglio del non-detto che fino a quel momento soggiaceva sul fondo della coscienza. Col risultato che all’indomani della battaglia, alle prime luci del giorno, nonostante le premesse, quella più divisa sarà proprio la coppia tenuta insieme solo dall’amore. Ma perché l’amore forse non basta?

BIGLIETTI
intero € 29
ridotto € 26
last minute under 30 €10
in vendita presso la biglietteria del teatro Toniolo
con orario 11-12.30 e 17-19.30, chiuso il lunedì

PREVENDITA ONLINE
www.vivaticket.it

INFO
www.teatrotoniolo.info

18/02/2016

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Settimanale di informazione cinematografica - Direttore responsabile: Ottavia Da Re
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