“La storia di Glass pone la seguente domanda: Chi siamo quando veniamo spogliati di tutto? Di cosa siamo fatti e di cosa siamo capaci?” Alejandro González Iñárritu
Se il cinema americano è da sempre stato concepito e considerato come un cinema d’azione, per lo meno rispetto a quello di matrice europea alla cui sensibilità siamo maggiormente abituati; un cinema che è divenuto nella sua storia paradigma stesso del rapporto se non dello scontro, come sarebbe più appropriato in effetti definirlo, tra uomo e natura, allora quest’ultima fatica firmata dal regista messicano Alejandro González Iñárritu ( “Babel” e “21 grammi” ) è senz’ombra di dubbio uno degli esempi più fulgidi di quel cinema negli ultimi anni.
Protagonista assoluto è Leonardo DiCaprio ( “Inception” e “Shutter Island” ) che veste i panni di Hugh Glass, vero e proprio pioniere le cui gesta sono leggendarie tra tutti coloro che vivono ed amano certi luoghi; offrendoci una performance quanto mai fisica e che potrebbe finalmente portare l’attore americano a ricevere il tanto sospirato Oscar.
Siamo agli inizi del 19° secolo, periodo che nel Nord America segna il principio dell’industrializzazione, dove il business più redditizio, prima ancora della scoperta dell’oro e del petrolio, era costituito dal commercio dalle pellicce. Questo spingeva uomini del calibro di Hugh Glass, per l’appunto, di John Fitzgerald ( Tom Hardy – “Mad Max” e “Legend” di prossima uscita ) e del giovane e ancora inesperto Jim Bridger ( Will Poulter – “Maze Runner – Il labirinto” ) a recarsi in remoti territori pressoché inesplorati, ben oltre i confini delle mappe conosciute. Chi è in cerca della quiete di una vita in solitudine, per proteggere sé stesso ed il proprio figlio dalla follia delle barbarie e delle razzie perpetrate alla popolazione di inermi villaggi indigeni, in nome dell’avidità e dell’ignoranza. Chi invece cerca unicamente di sopravvivere, nella speranza di ricavare quel tanto che occorre da poter anche solo immaginare un futuro lontano dal gelo di quegli altipiani innevati e chi, ancora, non ha la minima cognizione di sé e del proprio posto nel mondo, ma trova ugualmente il coraggio di dar voce a quell’umanità dalla quale non è ancora pronto a separarsi. A guidare la spedizione lungo il fiume Missouri è il Capitano Henry ( Domhnall Gleason – “Ex Machina” e “Brooklyn” di prossima uscita ) , figura realmente esistita e uno dei fondatori della Rocky Mountain Trading Company.
Forte della consacrazione al successo che gli ha regalato “Birdman” e dell’ingresso ad Hollywood che a pieno titolo l’Academy gli ha adeguatamente rinnovato con le nomination di quest’anno, Alejandro González Iñárritu ha dimostrato con “The Revenant” di essere un cineasta poco incline a “sedersi sugli allori”, ma pronto, proprio cavalcando intelligentemente quel successo di cui è fresco, ad accettare nuove, pericolose sfide, pur di perseguire idee, intenti e aspirazioni che caratterizzano la sua cinematografia.
Complice la strepitosa fotografia del due volte premio Oscar Emmanuel “Chivo” Lubekzi ( “Gravity” e “Birdman” ), Iñárritu ci porta nel vivo dell’azione fluttuando letteralmente dal corpo di Glass che allo stremo delle forze arranca nella neve, alle canne dei fucili spianati contro orsi o pellerossa, sino agli occhi gelidi, ma profondissimi, nei primissimi piani di questi uomini che si stagliano contro il profilo di una natura algida e meravigliosa, totalmente inerme ed indifferenze alla lotta umana per la sopravvivenza, sia essa fisica che spirituale.
L’ambiente come ventre che accoglie e tiene in sé questi indomiti individui pronti a tutto, forgiandoli nei suoi elementi, così come ogni altra sua creatura, che in essa trovano tutto ciò che rappresenta la vita quanto la morte, nella completezza e perfezione del suo ancestrale ciclo naturale.
Se uno dei punti di forza del film sta proprio nel raccontare con grande equilibrio questo rapporto che poi è sempre connotato coi toni della sfida – uomo vs natura – così come nel restituire con grande immediatezza e semplicità la ruvida ambivalenza dei suoi protagonisti, mai veramente buoni o cattivi, ma più che mai umani nei loro limiti e nelle loro debolezze, spinti avanti unicamente dal disperato desiderio di sopravvivenza; la parte più spirituale del film, quelle legata al passato, agli affetti che rappresentano l’unica forza alla quale Glass può fare appello ed aggrapparsi, è la meno efficace di tutte.
Pur avendo diversi tratti in comune con i più classici dei western – e per fortuna qualcuno ancora ogni tanto vuole cimentarsi con un genere molto declinato e rivisitato, ma che sembra sempre sul punto di scomparire per sempre – “The Revenant” rivendica una sua voce del tutto personale che risiede proprio nell’intimità che accompagna e caratterizza la risalita dagli inferi del protagonista: un dialogo incessante con sé stesso e tutto quanto possa mai incontrare sul suo estenuante cammino, che però tende talvolta ad allontanare più che avvicinare lo spettatore a Glass, il quale resta di fatto l’unico gancio alla storia per due ore abbondanti.
Proprio in virtù di questa sua forte empatia con la natura e di questi continui rimandi alla spiritualità, sarebbe stato veramente interessante se fosse stato lasciato il compito all’ambiente circostante – altro grande protagonista del film – d’esser l’unico tappeto sonoro, rinunciando così alla creazione di uno score originale.
Quello di Iñárritu è anche un film sulla violenza, una violenza insita nell’essere umano, con la quale tutti prima o poi ci troveremo a fare i conti e certamente non si tratta unicamente di quella che potrebbe mai emergere in uno scontro per la sopravvivenza – violenza che il regista messicano comunque mette in scena con grande onestà, senza edulcorare mai, ma sempre profondamente motivata e contestualizzata – ma semmai quella che ci impone delle scelte, per quanto estreme, che ci permetteranno di conoscere e venire a patti con chi realmente siamo e con cui dovremo convivere.
Ventisei anni or sono Kevin Costner, nei panni del tenente John Dunbar, ci portò ai limiti di quella che allora era considerata la frontiera: era il 1863 e la guerra civile di secessione imperversava dilaniando quella che era una nazione ai suoi albori. Un uomo decise di chiamarsi fuori per andare a scoprire quali fossero le origini di un mondo in dissoluzione e le radici di una cultura sull’orlo dell’estinzione. Servirono non poco coraggio e tenacia a Costner per mettere a segno un film che all’epoca aveva davvero del rivoluzionario, con intere sequenze recitate nella lingua dei Nativi Americani ed uno sforzo produttivo non indifferente per un risultato di ben quattro ore nella versione integrale. Dunbar come Glass è un sopravissuto, un uomo che potrà conoscere realmente sé stesso ed il significato della vita solo attraverso l’immersione ed il confronto con la natura - umana oltre che ambientale – scegliendo la conoscenza di un’altra cultura anziché la sua distruzione.
“Balla coi Lupi” vinse sette premi Oscar su dodici nomination ricevute, le stesse che accompagneranno “The Revenant” a Dolby Theatre la notte del prossimo 28 febbraio.
La pellicola di Costner venne scelta nel 2007 per essere conservata nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti; mentre, nel 1998, l’America Film Institute l’ha inserita nella classifica dei migliori cento film statunitensi si tutti i tempi, al settantacinquesimo posto.
Solo l’Academy ed il tempo ci potranno dire se Iñárritu arriverà a vincere la medesima sfida; per ora la parola c’è l’ha il pubblico che deciderà proprio in queste settimane se recarsi in sala o meno ed affrontare, con il proprio beniamino, una sfida oltre ogni limite, senza tempo e che non ha eguali: quella per la sopravvivenza!
“Nel confronto con la natura, non impariamo quanto siamo grandi. Impariamo quanto siamo fragili, deboli, e pieni di paura. E questo si comprende solo quando si è esposti a un grande pericolo” Reinhold Messner
Una curiosità dal set:
Nel primo giorno di riprese Alejandro González Iñárritu ha riunito la produzione sulle rive del Bow River di Alberta, dove il cast si sarebbe presto immerso nelle acque ghiacciate, per girare una scena d’azione. A ogni membro della produzione è stata consegnata una rosa rossa. Il consulente culturale della tribù dei Blackfoot (Piedi Neri) Craig Falcon, ha guidato una cerimonia, insieme agli anziani della tribù Stoney, per benedire il film, le creature e la terra. Dopo la benedizione, Iñárritu ha chiesto alle 300 persone presenti, di tenersi le mani in silenzio. Poi, tutti insieme, sono entrati nel fiume per spargere i petali di rosa.
Scheda film:
Anno: 2015
Data uscita: 16/01/2016
Durata: 156’
Nazione: USA
Produzione: New Regency Pictures, Anonymous Content, Appian Way, RatPac Entertainment
Distribuzione: 20th Century Fox
Regia: Alejandro González Iñárritu
Sceneggiatura: Alejandro Gonzalez Iñárritu, Mark L. Smith
Fotografia: Emmanuel Lubekzi
Montaggio: Stephen Mirrione
Musiche: Ryûichi Sakamoto, Bryce Dessner , Carsten Nicolai
Scenografie: Jack Fisk
Costumi: Jacqueline West
Cast: Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Will Poulter, Domhnall Gleeson, Paul Anderson, Lukas Haas, Brendan Fletcher, Kristoffer Joner, Forrest Goodluck, Joshua Burge, Christopher Rosamond, McCaleb Burnett