La recensione: LITTLE SISTER
In una vecchia casa situata ai margini della tranquilla cittadina di Kamakura, all’ombra di un longevo albero di prugne, tre giovani donne sorelle tra loro, ma dai caratteri profondamente differenti , si affacciano all’età adulta, cercando, tra le scelte lavorative, problemi di cuore e un passato famigliare non semplice, la propria strada ed un posto nel mondo. Sachi, Yoshino e Chika – questi i loro nomi – sono l’una la famiglia dell’altra, l’unica famiglia che oramai conoscono e che è rimasta loro dopo che il padre, quindici anni fa, le lasciò per iniziare una nuova relazione e la madre, ferita da una separazione dolorosa, decise in seguito di rifarsi una vita altrove, lontana da quei luoghi carichi di troppi ricordi. Le tre sorelle non sono state l’oggetto del contendere nel corso di una lunga pratica di divorzio; ciò nonostante, come purtroppo spesso accade in questi casi, son state lasciate indietro proprio da chi avrebbe dovuto accudirle diventando per loro un punto di riferimento certo. Dalle ceneri di questa coppia però è risorto un nuovo, solido e sereno nucleo famigliare che non si è lasciato travolgere dagli avvenimenti ne divorare dall’acredine, ma ha saputo ritrovare con grazia e dedizione un sano equilibrio con un suo centro forte: Sachi, la maggiore delle tre.
Al funerale del padre le tre giovani donne faranno la conoscenza della loro sorellastra adolescente Suzu, che, divenuta ormai orfana, accetta volentieri l’invito delle sorelle, per quanto appena conosciute, a seguirle per trasferirsi a vivere da loro, prima per qualche tempo e poi in via definitiva. Sarà proprio attraverso lo sguardo fresco di Suzu che faremo il nostro timido ingresso in questo mondo: con grande garbo ci addentreremo nella quotidianità di queste “piccole donne” fatta di gesti semplici e spontanei, quanto di rituali ben precisi e tradizioni consolidate nel tempo.
Conosceremo lo spirito allegro di Chika ed il suo esuberante amore per i piaceri della tavola; l’inclinazione al bere di Yoshino per le frivole disavventure di cuore e il pacato senno di Sachi che non cessa mai di dividersi tra le responsabilità affettive e quelle lavorative. Suzu dal canto suo inizierà una nuova vita con tutto ciò che essa comporta: un nuovo percorso di studi, una nuova squadra di calcio – la sua passione – con tutti gli amici che queste scelte includeranno e sarà ben felice di entrare rispettosamente a far parte della sua nuova famiglia che avrà la volontà e la pazienza di accoglierla con grande affetto.
Il regista giapponese Hirokazu Kore-eda torna a parlare di temi a lui cari come i legami famigliari, che non devono necessariamente esser sanciti da un legame di sangue o da una parentela più o meno stretta per divenire altrettanto importanti, preziosi e costituire così il cuore pulsante, la solida base dei nostri affetti.
Torna il tema del tempo che scorre docile e lento orchestrato dalla quotidianità capace di rinnovarsi giorno dopo giorno attraverso azioni abituali e fa da contrappunto agli anni che si susseguono impassibili rispetto ai nostri piccoli cambiamenti; il tempo delle generazioni che lasciano il testimone a chi seguirà loro e vengono celebrate con una foto, un ringraziamento, il rito che si rinnova nel distillare un liquore che ha il sapore dei ricordi da custodire gelosamente, per poi dispensarlo con parsimonia.
Ritroviamo il tema del perdono che non deve necessariamente essere enunciato o esibito, ma che nasce dalla condivisione, dal dialogo, dalla comprensione di sé e di chi ci sta accanto ed è il frutto di scelte coraggiose, anche piccole, che consolidiamo di giorno in giorno con mite consapevolezza.
La regia di Kore-eda trova senz’altro il suo punto di forza nella sorprendente semplicità e delicatezza con cui celebra l’inesauribile forza della vita, quando si sceglie di abbracciarla, senza mai dimenticare che ad essa è indissolubilmente legata la morte che il regista nipponico affronta con rispetto e sacralità ben commisurate alla grande naturalezza che lo contraddistingue.
Il passato ricopre un ruolo importante: è il “luogo” che ci ha dato i natali e che ci ha visto crescere, ma non è la prigione nella quale rimanere rinchiusi nonostante il dolore che ci ha segnati.
Se “Father and Son”, film vincitore a Cannes nel 2013 del Premio della Giuria che ha portato all’attenzione del grande pubblico questo talentuoso e sensibile regista, metteva l’accento sulla figura paterna e, posti di fronte ad una scelta cruciale, obbligava i protagonisti a una rimessa in discussione ben più radicale ed immediata; in “Little Sister” ( ispirato alla graphic novel "Umimachi's Diary" dell'autore Yoshida Akimi, di cui ha conservato solo l'impianto di fondo ) le svolte della vita sono molto più dolci e ci si prende tutto il tempo necessario per affrontarle. Ciò risulterà ben chiaro anche allo spettatore che se nel primo caso rimaneva immediatamente avvinto dinnanzi ad una spaccatura così netta e alle difficili opzioni che scaturivano da dilemmi esistenziali di tale portata; con questo nuovo film dall’allure squisitamente orientale, Hirokazu Kore-eda chiede, specialmente a noi occidentali, un’attenzione ed una compartecipazione maggiore e più attenta nella visione.
In “Little Sister” il regista nipponico coniuga perfettamente l’universalità dei sentimenti e delle relazioni umane con lo spaccato sociale e culturale della sua terra, dimostrando tutta la qualità del suo cinema che ha la rara, apprezzabile capacità di rendere Cinema il quotidiano.
Ilaria Serina
Scheda film:
Titolo originale: “Umimachi Diary”
Anno: 2015
Data uscita: 01/01/2016
Durata: 128’
Nazione: Giappone
Produzione: Fuji Television Network, Shogakukan, Toho Company
Distribuzione: BIM
Regia: Hirokazu Kore-eda
Sceneggiatura: Hirokazu Kore-eda
Fotografia: Mikiya Takimoto
Cast: Haruka Ayase, Masami Nagasawa, Ryôhei Suzuki
30/12/2015
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