La recensione: PICCOLE BUGIE TRA AMICI
"La meilleure jeunesse" di Francia, davanti e dietro la macchina da presa, per un affresco soleggiato e salmastro dei trentacinquenni di oggi. "Piccole bugie tra amici" (Les petits mouchoirs), terza regia del talentuoso Guillame Canet, si presenta come uno spaccato, dolorosamente verosimile, di una generazione che avrebbe dovuto cambiare il mondo e che, invece, si trova a vivere con malinconico rimpianto il reiterarsi di occasioni perse e desideri mai soddisfatti.
Parigi oggi. Un gruppo d’amici si raduna al capezzale di Ludo, l’amico di sempre, investito in scooter dopo una serata e ricoverato, gravissimo, in terapia intensiva. C’è dolore, sconcerto, tanta paura ed incredulità, ma anche uno scomodo interrogativo cui rispondere: partire o meno, l’indomani, per le agognate quanto immancabili vacanze estive tutti insieme? “l’abbiamo sempre fatto in questi quindici anni”, “lui partirebbe”, “è solo un’ora da Parigi”, “tanto qui che possiamo fare?”, “restiamo in contatto e torniamo prima, nel caso….”. la preoccupazione è reale, ma la voglia di partire e divertirsi è più urgente. Destinazione le sabbie dorate di Cap Ferret e la villa di uno di loro, Max, che ogni anno ospita tutti e organizza gite in barca, cene luculliane , svaghi e relax. La convivenza farà sì che la loro amicizia, i legami, le certezze, i sentimenti, le pulsioni ed i segreti di ciascuno verranno messi a dura prova. Perché non si è mai del tutto sinceri con se stessi e men che meno con gli amici di una vita.
Questo lo sfondo su cui l’enfant prodige d’oltralpe cesella, probabilmente, un gioiellino in cui tutto, o quasi, funziona alla perfezione. Né lo scenario, né la trama sono originali o innovativi, è vero, e l’incedere della pellicola è perennemente in equilibrio precario tra la rilettura ed il citazionismo di The Big Chill di Kasdan, punto di riferimento e di ispirazione dichiarato dal regista-sceneggiatore, vero anche questo. Ma la sincerità delle intenzioni c’è, così come la trasparenza nel tratteggiare una generazione in cui è fin troppo penoso riconoscersi e la capacità di dirigere un film-fiume con un pool d’attori d’una bravura pazzesca, che raduna nomi e volti di peso come i premi Oscar Marion Cotillard (La Vie en Rose) e Jean Dujarden (The Artist), il mostruoso Francois Cluzet (protagonista del campione d’incassi Quasi Amici), il bravissimo Gilles Lellouche (presto in sala ancora con Canet e Dujarden in Gli Infedeli), l’elegante e confuso Benoit Magimel, l’esasperata Valerie Bonneton, il pedante Laurent Lafitte e la sofferente Pascale Arbillot. Attori intensi ed appassionati che senza smania di protagonismo o rivalità danno corpo ad una pellicola realmente corale, dove nessuno è spalla ma, ossimoricamente, protagonista puro.
E di responsabilità Canet se ne prende parecchie, dal momento che non solo è autore della sceneggiatura, lavoro che gli è costato cinque mesi di autoanalisi e trascrizioni di una parte del proprio vissuto, ma ha anche curato la colonna sonora che spazia da Ben Harper a Janis Joplin passando per David Bowie, Damien Rice, Eels, Ben Harper e Paul Anka e anche come regista, ci tiene a far capire che il César alla Regia del 2007, non è stato un caso. La bravura c’è e la consapevolezza d’esserlo e di renderlo chiaro a tutti pure, e quindi "Piccole Bugie Tra Amici" si apre con un piano sequenza mozzafiato e prosegue con l’uso iperfunzionale della camera come lente d’ingrandimento dei volti dei propri protagonisti.
L’incedere è sicuro, senza tentennamenti, non c’è condanna è vero, ma non perché si preferisca coccolare i suoi personaggi, sfaccettature esplose dello stesso Canet, o per incapacità d’indagine, bensì perché l’intento è restituire la credibilità delle piccole meschinità, delle paure che ciascuno cela dietro alla bugia a fin di bene o al sorriso di circostanza e quel ciascuno è, per sua stessa ammissione, il regista stesso e ciascuno di noi. Chi è senza peccato scagli la prima pietra, quindi.
Da questo punto di vista, a mio parere, l’indagine umana intrapresa dal compagno della meravigliosa Marion è perfettamente riuscita: i 155 minuti scorrono piacevolmente, si ride parecchio, ci si commuove, si resta perplessi e ci si stupisce della assoluta naturalezza di ciò che avviene sullo schermo, perché dietro alla lavorazione ossessiva che ha portato il cast artistico ad una convivenza di parecchie settimane, ci sono legami veri di amicizia decennale tra gli interpreti e ciascuno di essi incarna in modo formidabile personaggi-tipo che rappresentano uno spaccato davvero esemplare di ciò che siamo e del vuoto che pervade le nostre vite.
Vite in cui è preferibile apparire piuttosto che essere, ostentare piuttosto che capire o ascoltare gli altri, in cui è più facile parlare dei legami che ci stringono agli altri piuttosto che viverli. Il dialogo è volto a proiettare di sé l’immagine che ci aggrada o ci protegge, la riflessione privata e silenziosa, invece è quella che si lascia per il calar della sera, quando è facile celarla sotto la stanchezza di una giornata trascorsa al mare. Perché nonostante le parole e le promesse, Parigi è a poche ore d’auto se si tratta di riconquistare l’amata mentre pare dall’altro capo del pianeta se si tratta di andare a trovare l’amico che lotta tra la vita e la morte. Non c’è cattiveria, solo quel sano ed inconsapevole egoismo infantile che denota l’immaturità di questi ex-giovani che non hanno ancora compreso d’esser adulti.
Sicuramente a livello filmico non sarà mai un cult come il capolavoro di Lawrence Kasdan o le pellicole di Claude Sautet, sebbene tecnicamente sia molto bello e curato, ma il pregio di coinvolgere completamente lo spettatore nella semplice quotidianità e nelle pieghe dei rapporti e delle emozioni dei suoi protagonisti è innegabile. Sulla carta il minutaggio è irragionevole, e la sinossi potrebbe quasi dar ragione a tale convinzione, ma durante la visione c’è un crescendo emotivo tale, che la comparsa dei titoli di coda sembra spezzare un incantesimo.
Marta Ravasio
Sito italiano: www.luckyred.it/piccolebugietraamici/
07/04/2012
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