Elio Germano in c. stampa / © Marta Ravasio
MAGNIFICA PRESENZA: Ferzan Özpetek e il cast presentano il film
Presentato alla stampa milanese nella cornice extra lusso del Business Centre dell’Armani Hotel Milano, nel palazzo razionalista progettato in origine da Griffini nel 1937, “Magnifica Presenza” è una pellicola corale (in sala dal 16 marzo) che non si discosta dalle tematiche care a Ferzan Özpetek.
La trama vede Pietro, un ragazzo timido, solitario, col grande sogno di fare l’attore che prende in affitto una casa tutta per sé, un appartamento d’epoca, dotato di un fascino molto particolare.
La felicità dura solo pochi giorni: presto cominciano ad apparire particolari inquietanti.
E’ chiaro che qualcun altro vive insieme a lui. L’appartamento è occupato, ospiti non previsti disturbano la sua tanto desiderata privacy… Sono misteriosi, eccentrici, elegantissimi, perfettamente truccati. Si scatenano mille ipotesi e mille tentativi di sbarazzarsi di queste ingombranti presenze, finché poco a poco lo spavento iniziale lascia il posto alla curiosità, alla seduzione reciproca, ad emozioni comuni che creano un legame profondo tra i coinquilini forzati.
Con loro Pietro condivide desideri e segreti, crede in loro e loro credono in lui come nessun altro fuori da quella casa…
Con buona parte del cast al seguito, il regista turco si propone ai giornalisti come un grande oratore, quasi fagocitando i propri attori in un rincorrersi continuo di aneddotica e racconti, analisi sul proprio film e riflessioni sui temi che più volte abbiamo incontrato nella sua carriera.
Il primo spunto è una frase, pronunciata da un travestito ferito che, soccorso dal protagonista, lo saluta dicendo “Ho sempre potuto contare sulla gentilezza degli estranei.” Una frase che dà il senso al film ma anche a tutto il cinema di Özpetek e che rende anche il senso di quello che è per il regista la famiglia, non necessariamente intesa come legame di sangue. Una frase che arriva da Un tram chiamato desiderio, utilizzata perché il senso della famiglia in questo film è un po’ diverso, perché “nei miei film – sottolinea il regista – mi piace molto l’idea di far incontrare i due mondi, com’è successo per Le Fate Ignoranti, dove il personaggio di Margherita Buy andava in un altro ambiente così diverso dal suo, pur trattandosi di due mondi reali. In Magnifica Presenza lo scarto è sia sul piano dell’epoca che su quello della realtà e mi divertiva molto – prosegue – fare incontrare i due livelli e vedere cosa sarebbe successo mischiandoli. Il tutto è nato prima in fase di stesura del soggetto, quindi con la sceneggiatura e dopo ancora con il subentro degli attori con i quali s’è discusso dei dialoghi e degli atteggiamenti che avrebbero dovuto avere, facendo più volte rimaneggiare lo script.”
Il secondo importante spunto di riflessione, nonché tema ricorrente delle opere di Özpetek è la memoria, i morti, in qualche modo ritornano sempre. A metà tra ossessione personale e monito in un mondo come quello odierno che pare essersi dimenticato dei luoghi del passato e del ricordo, il film si fonda sul riferimento al passato nostalgico, come per certi versi in Midnight in Paris o in The Artist, ma in aggiunta c’è la nostalgia del presente, il protagonista Pietro vive il presente con un forte senso di mancanza: vorrebbe fare l’attore invece fa l’aiuto pasticcere di notte, vorrebbe trovare l’amore invece è sempre deluso. Le presenze hanno lo stesso tipo di problematica: non sanno di essere morti, pensano ancora di andare in scena, provano, si preparano, aspettano e non mangiano, convinti che da un momento all’altro s’alzi il sipario. Inoltre, ciascuno di loro ha dei problemi anche con il proprio presente, un sogno da realizzare, timori per i propri figli o gelosie professionali, con l’aggiunta che il presente di cui credono di far parte è quello del ’43, di certo molto diverso da quello che vogliono. “Mi piace molto – afferma il regista di Mine Vaganti – capire il presente attraverso il passato, in questo senso la memoria mi sta a cuore. Ecco l’importanza degli anziani, della testimonianza diretta di chi ha vissuto. La compresenza di presente e passato, come due condizioni che possono coesistere è la grande convinzione su cui convergono i miei sforzi. Anche ne La Finestra di fronte c’era una scena di ballo non prevista, in cui Massimo Girotti torna giovane con tutti i morti intorno o in Mine Vaganti, il massimo con i vivi ed i defunti che alla fine si mescolano e ballano tutti assieme. Qui ancora di più. Mi piace ricordare, ma senza dispiacere, da cui il ricorso al fantasma, che io preferisco chiamare “presenza” perché non si distingue troppo dalla persona che realmente c’è o meno. E nell’arco della lavorazione del film sono otto le presenze che sono entrate più o meno intimamente nella mia vita, quelle a cui ho scelto di dedicare il film. La mia grande paura – prosegue- era trovare un modo per far coesistere sulla scena vivi e morti, per non rendere ridicole le situazioni ma posso dirmi molto soddisfatto dell’equilibrio che siamo riusciti a raggiungere.”
Protagonista in scena, più schivo in conferenza stampa, Elio Germano racconta che non ha fatto alcun provino per questo ruolo, lui che nel film ne affronta due a dir poco assurdi, ma che s’è incontrato con Özpetek, hanno parlato del film e scelto come lavorare sul personaggio, che in questo caso è coinciso con una lavoro di costruzione della persona, evocandone il fantasma, che poi s’è trascinato dietro fino all’ultima battuta in sala di montaggio. “ogni giorno se ne parlava – dichiara la Palma d’Oro come miglior attore per "La nostra vita" – in modo che alla fine sembrava che fosse, appunto, una presenza reale, un amico in comune di cui sapevamo tutto. Molto è avvenuto sul set, con gli altri del cast, ma il lavoro sul personaggio di Pietro è stato davvero molto approfondito. Dalla sceneggiatura al set e dal set alla sceneggiatura, un flusso continuo. Le figurine, ad esempio, sono nate da una serie di passaggi in questo senso. Serviva raccontare un momento di solitudine e dapprima s’era pensato di girare una scena di me in silenzio al computer poi, siccome in quel periodo erano uscite le figurine del 150° anniversario dell’Unità d’Italia ed io – rivela l’attore senza troppa seriosità – le avevo comprate per me, prima volta in vita mia….ci è parsa un’idea molto bella, che racconta moltissimo del personaggio e rievoca di per sé il passato e la memoria.”
A tal proposito, il regista ci regala un aneddoto legato alla scena in cui padre e figlio giocano con le figurine del protagonista, ovvero il primo contatto tra Pietro e le presenze e svela che in origine ci sarebbe dovuto essere anche il fantasma di un cagnolino, in seguito eliminato perché presenza un po’ troppo indisciplinata che rendeva impossibile le riprese. Senza volerlo, così sostiene Özpetek, s’è evitato il possibile confronto con The Artist, anch’esso film sul passato nostalgico e sul mestiere dell’attore, sebbene, per chi scrive, qualsiasi confronto o richiamo siano del tutto fuori luogo. Sempre nelle riprese di questa scena nasce l’idea della figurina di Garibaldi come pezzo raro. “da turco, mi piace molto che sia un attore straniero, il conterraneo Gem Ylmez, a tirar fuori Garibaldi, sapendo della sua importanza per l’identità d’Italia.” E sempre intorno alle figurine nasce la scena corale in cui tutte e otto le presenze interagiscono e giocano con il protagonista, “senza contare - aggiunge Germano – l’idea della solitudine evidenziata dall’avere due album, quello vero e quello dei doppioni, il non avere nessuno con cui scambiarle perché si è fuori età e c’è quasi da vergognarsene.“
Margherita Buy, alla sua terza volta con Ferzan Özpetek, si complimenta con lui per la capacità di assemblare una sceneggiatura davvero vasta e coordinare un cast di otto attori che, per di più, interpretano degli attori, una sorta di corto circuito da incubo per qualunque regista e si unisce al resto del cast presente Beppe Fiorello, Paola Minaccioni e Vittoria Puccini per ricordare quanto impegno fosse profuso nelle letture corali, dove si capisce e si costruisce il personaggio, in un clima di forte collettività. La stessa idea è ribadita dal produttore, Domenico Procacci, che racconta di come Ferzan gli proponga, inizialmente, più idee che cambiano, si evolvono e sulle quali, in seguito, ci si focalizza per arrivare ad una sceneggiatura che poi sul set cambia continuamente, proprio in virtù della sua richiesta di collaborazione a più livelli, dal cast artistico a quello tecnico. Basti pensare al finale “pirandelliniano” del tutto diverso da quello in sceneggiatura, nato da un’idea sviluppata con il resto della troupe. Uno stile di lavoro inusuale quanto efficace. “Altrettanto insolito – interviene Vittoria Puccini – è il tempo che Özpetek dedica ai proprio attori, caratteristica meravigliosa quanto mai rara in questo periodo in cui la mancanza di tempo sul set è all’ordine del giorno. Con lui si può passare anche mezza giornata a parlare, a capire una scena o a trovare la via più giusta per realizzare un’idea. È un lusso, un valore aggiunto del rapporto regista-attore che mette molto a proprio agio l’interprete.“
A proposito del ruolo dell’attore, del suo vivere tra finzione e realtà, la gli attori di oggi e quelli del passato, molto s’è concentrato, soprattutto per far rivivere un certo clima di fascino ed inquietudine, sull’utilizzo del trucco, una scelta che è talmente piaciuta al regista da aver voluto filmare gli occhi in fase di make up e utilizzarli come apertura di titoli di testa, titoli che richiamano quelli di coda, in cui s’esalta la capacità di Germano di reggere un piano sequenza in primo piano della durata di cinque minuti e mezzo, durante il quale assiste allo spettacolo teatrale della Compagnia Apollonio. “Il trucco, per gli attori degli anni Trenta e Quaranta, era l’inizio di tutto, la cosa più importante ribadisce Özpetek- e da qui la scelta delle parola d’ordine della Compagnia.”.
La conferenza si chiude con un accenno al cameo di Maurizio Coruzzi, una scena di colore con un personaggio alla “Kurz di Coppola in una situazione alla Dario Argento”, girata in un laboratorio di cappelli teatrali in cui lavorano non più le pallide cinesi di “Gomorra” bensì delle coloratissime trans capeggiate dalla Badessa, che aiutano il protagonista nel ritrovamento di Livia Morosini, la persona che potrebbe rendere la libertà alle otto presenze bloccate nella propria casa. Una scena suggestiva ed al contempo eccessiva, il varco verso un altro mondo, la cui coesistenza con la luce del sole è in equilibrio precario almeno quanto i vivi lo siano con i morti.
Marta Ravasio
LE FOTO DELLA CONFERENZA STAMPA DI "MAGNIFICA PRESENZA" ( PHOTO © MARTA RAVASIO - TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI):
Sito ufficiale: www.magnificapresenza.it
Informazioni:
www.01distribution.it
www.fandango.it
Facebook: https://www.facebook.com/fandangoproduzione
15/03/2012
|