Paolo Sorrentino a Sette: “Con This must be the place vorrei mettermi in gioco autobiograficamente”
A pochi giorni dall’apertura del Festival di Cannes il regista si racconta a Sette
in edicola da giovedì 5 maggio
Paolo Sorrentino racconta su Sette ad Antonio D’Orrico la sua vita e la sua carriera a pochi giorni dalla presentazione sulla Croisette del suo nuovo film “This must be the place”.
Del suo nuovo film sul quale c’è grande riserbo, dice, “con This must be the place – che racconta un rapporto tra molte lacune tra un padre e un figlio, come è stato forzatamente il mio con mio padre – mi piacerebbe mettermi in gioco anche autobiograficamente. Cercare una regia più essenziale. Finora ho usato molto nella messinscena, i fuochi d’artificio. Mi piacerebbe fare un passo indietro e dare più spazio all’autenticità dei personaggi”, e aggiunge “mi è capitato di vedere i primissimi filmati dei Lumière quando inventarono il cinema e documentavano la vita del loro rione a Lione. Quelle immagini mute mi hanno stregato con la loro semplicità, la gioia, il senso della vita che trasmettevano”.
Del protagonista del film interpretato da Sean Penn afferma, “somiglia un po’ a Rob Smith dei Cure, che ancora oggi che ha 50 anni e passa porta i capelli lunghissimi e si mette il rossetto”.
Della sua ispirazione, da dove sia nata e dove tragga continue suggestioni l’attore napoletano dice, “sono figlio di genitori molto grandi, mi hanno avuto tardi. Il mio bacino di osservazione, nel periodo in cui mi formavo, non erano tanto i miei coetanei ma i coetanei dei miei genitori. Per questo, penso, sono sempre stato inattuale e sono rimasto sempre affascinato dagli uomini di mezz’età”.
Su Servillo, “è diverso dagli altri attori. Lui è come se avesse fatto il regista di cinema anche se non lo ha mai fatto”.
Conclude parlando di un suo progetto mancato, dopo Il divo aveva pensato di girare un film sulla mondanità, ispirato a Cafonal, la rubrica di Dagospia da cui poi sono nati due libroni, “Cafonal è la dolce vita oggi degenerata al massimo. All’inizio per snobberia, il librone di D’Agostino e Pizzi non volevo leggerlo, ma poi l’attrazione è stata fortissima. Sfogliando le pagine ho provato la vertigine della vacuità assoluta”.
03/05/2011
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