<b>Foto © Ottavia Da Re</b> RAZ DEGAN, UN FILOSOFO PER OLMI

L'attore israeliano a Cannes con "Cento chiodi", film di Olmi che rappresenta l'Italia sulla Croisette

Ne è passato di tempo da quando, capello ribelle e sguardo sfrontato, lanciava slogan modaioli facendosi "i fatti suoi" per una nota marca di liquori. Oggi Raz Degan continua a lanciare lo stesso sguardo di sfida ma verso un mondo che lo vede artista, musicista, attore, ma soprattutto viaggiatore, testimone e narratore di infinite espressioni, che hanno reso il suo sguardo lo specchio di un'anima errabonda capace di racchiudere in sé lo spirito di paesi sperduti, di un'intera umanità. Fino a diventare figura cristologica per un maestro come Ermanno Olmi che in lui ha ritrovato quel volto, sfuggente e incisivo insieme, capace di esprimere la profondità e l'introspezione di "Cento chiodi" una "favola" religiosa e moderna allo stesso tempo, di cui è il solitario protagonista. Con un incipit folgorante e spiazzante che lo vede inchiodare dei testi sacri sul muro di un'università. Un altro sguardo di sfida, stavolta rivolto all'interiorità lacerata di un uomo contemporaneo.

Sta per uscire "Cento chiodi" l'ultimo film di Olmi di cui sei protagonista assoluto
Finalmente. "Cento chiodi" esce il 30 marzo distribuito da Mikado dopo una lunga post-produzione. Io interpreto un professore di filosofia delle religioni che un giorno, improvvisamente, dopo un gesto clamoroso, decide di lasciare l'insegnamento e di andare a vivere in un rudere sulle rive del Po. E' un film a cui tengo moltissimo ed è davvero un grande film. Soprattutto per il momento in cui esce, e perché suggerisce anche un nuovo modo di interpretare la figura di Cristo. Ti invita a farlo tra le righe, in modo sottile.

Come lo definiresti?
Una "favola". In un mondo in cui tutto corre troppo veloce, come quello che stiamo vivendo, è un momento di riflessione che non ti aspetti...

Cosa ti ha dato Olmi?
La certezza che sono sulla strada giusta.

Una strada già intrapresa in passato...
Il precedente più importante è stato "Alexander" di Oliver Stone. Ma per me è stato fondamentale anche un film come "Giravolte", opera prima di Carola Spadoni, girato nel 2001, in cui credo di aver realizzato l'interpretazione più importante della mia carriera. Ero un folle, recitavo accanto alla figlia di De Niro, Drena De Niro e allo scomparso Victor Cavallo.

Sei stato anche Dario in "Alexander" di Oliver Stone. Un'esperienza unica su un set internazionale. Cosa ti ha insegnato?
Anche se poi nel film la mia interpretazione si riduce ad un cammeo, sono stato sul set cinque settimane e in cinque settimane impari un sacco di cose. Questo film mi ha soprattutto spalancato le porte su una dimensione che non ho mai vissuto, su un mondo che viaggia a budget altissimi e meccanismi complessi. Mi ha proiettato da una dimensione "italiana" ad una dimensione "internazionale".

Oliver Stone che regista è?
Un incredibile genio. Uno che ha una formazione militare, una disciplina rigorosa e questo si vede anche sul set, dove controlla tutto e gestisce le cose in maniera impeccabile, quasi maniacale.

In precedenza hai girato anche "Titus" di Julie Taymor, nel ruolo di Alarbus...
Questo lavoro è straordinario. Mi ha dato la possibilità di recitare e lavorare accanto a dei grandissimi: Anthony Hopkins con cui ho girato due film ("Alexander" ndr), Jessica Lange. E ora Olmi...

Che non ti conosceva quando ti ha scelto come protagonista del suo film...
Ha visto una mia foto in un book e mi ha contattato. Lui non conosceva me e io non conoscevo lui. E' stata una scoperta reciproca.

Perché ti ha scelto?
Perché sono sempre me stesso, non porto nessuna maschera...E lui l'ha capito subito.

Cosa ti hanno dato la tua cultura, le tue origini israeliane, nella vita e nel lavoro?
Più che la cultura è stata l'esperienza di vita vissuta a insegnarmi molto, la fiducia in me stesso e l'amore per l'arte, che per me è davvero tutto.

Cosa ti aspetti da "Cento chiodi"?
Un Oscar!

Nel film c'è una scena iniziale di grande impatto, in cui il tuo personaggio inchioda dei libri sacri ad un muro. Cosa hai provato girandola?
Ansia! Era la prima scena che giravo del film e si è rivelata la più importante. Ma dopo poco sono entrato subito in sintonia con la scena. L'ho percepita come una musica. Era come se in quel momento sentissi nella mia testa una sinfonia di Beethoven. Io sono una persona "musicale" non "letteraria", vivo le cose attraverso il ritmo, la musica. E anche questo film e il rapporto di grande sintonia con il regista si è sviluppato attraverso questa dimensione. La musica ti mette nella condizione di esprimerti al meglio.

Una passione che ti ha portato a realizzare un album...
Proprio in questi giorni ho presentato a Milano una compilation di musica lounge "East West Gallery", dal nome della mia galleria d'arte, divisa in due parti, una legata all'Oriente e l'altra all'Occidente. E' un album che raccoglie brani ma anche alcune foto, assemblate in un video, che hanno accompagnato i miei viaggi e che ho realizzato con mio fratello.

Altri progetti?
Ho ricevuto alcune importanti proposte cinematografiche sia in Italia che all'estero, ma al momento voglio concentrarmi su "Cento chiodi" che mi ha dato davvero molto, come attore ma soprattutto come uomo.

Artista a tutto tondo: nella moda, nel cinema, nella musica. Ma fra tanti interessi, cosa ti appassiona veramente?
Viaggiare. Mi porta fuori dal tempo. Ci sono due cose in particolare che mi portano fuori dal tempo: viaggiare e fare cinema. Ma io sono molto elastico. E non ci sarebbe da sorprendersi se domani decidessi di intraprendere un' altra cosa nuova. Sai, la vita è un miracolo, fino a quando la vivi così, non c'è nessun problema.

Come a dire "sono fatti miei...". E, per stavolta, anche un po' nostri.

Foto © Ottavia Da Re. Tutti i diritti sono riservati

Intervista a cura di: Ottavia Da Re


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