Cesare Cremonini, poeta di note
“C’è qualcosa di grande” in Cesare Cremonini. E non è solo il titolo di uno dei suoi più grandi successi. Ne ha fatta di strada da quando, capelli ossigenati, in 50 Special, lanciava i Lùnapop e le emozioni nate sui banchi di scuola scombinando le classifiche e il mercato discografico. Da allora il fenomeno giovanile Cesare Cremonini è diventato un cantautore “romantico” i cui sogni zuccherosi di allora, si traducono oggi in versi di struggente e consapevole maturità. L’abbiamo incontrato all’Aqualandia di Jesolo, dove ha avuto inizio il suo “Summer Tour” con cui in questi mesi ha acceso le piazze italiane assieme alla sua band e all’inseparabile Ballo. Un’intervista “marmellata”, spalmata tra calcio, musica e poesia.
Hai deciso di iniziare il tuo tour a Jesolo con la data “0”. Come mai?
Siamo abituati a fare le date “0” in posti sperduti. Abbiamo chiesto di poter fare stavolta le prove del tour in un luogo di vacanza perché dalle mie occhiaie e dalle borse che ho sotto gli occhi si vede bene che non andiamo in vacanza da un anno e mezzo. Iniziare un tour è una responsabilità anche nei confronti del tuo fisico e di te stesso, nel senso che dedichi totalmente la tua esistenza ad un progetto che, comunque vada, ti prenderà anima e corpo, e quindi perché, in un momento di grande lavoro come questo non unire la visione di un cielo limpido la mattina che può aiutarti a lavorare anche meglio? Jesolo in questo senso è perfetta. Non lo dico per carinerie nei confronti della città. Non avremmo potuto scegliere un posto migliore. Solitamente le prove tour non si fanno in posti così spensierati e così piacevoli. Già l’idea di poter mangiare un risotto “alla pescatora” alla sera è qualcosa di estremamente gratificante rispetto ai paninacci dell’Autogrill a cui siamo abituati…
Hai vissuto il mondiale in primo piano e sei un grande appassionato di sport. Vengono in mente Baggio e Senna che hai citato in “Marmellata #25”. Quanto sono importanti certi personaggi certe figure, certi personaggi per chi come te scrive canzoni e cerca continua poesia…
Io credo che si inizino a scrivere poesie e canzoni in un’età in cui i sogni sono sicuramente una grossa parte della tua immaginazione e della tua vita. Almeno, io ho iniziato in quel periodo, e la maggior parte degli artisti che io ho amato hanno cominciato con gli stessi stimoli con cui ho iniziato io. Personaggi come Baggio, Senna, che ho citato, idoli per le qualità uniche che hanno, sono secondo me il motore di questi sogni per moltissima gente. A tal punto che a volte per molte persone, che hanno condizioni di vita più difficili e meno fortunate di altre, grazie a queste stelle, riescono ad alleggerire il peso di una vita difficile. Ecco perché secondo me a loro dobbiamo tantissimo…
Anche parecchia poesia…
Baggio è la poesia del calcio. Quando ho scritto “Marmellata #25”, ho pensato che potesse risultare troppo nazional-popolare, che è una parola che non mi piace. Poi ho pensato, “ma che cazzo me ne frega!”…Lui per me è stato l’immagine della poesia, di qualcosa di molto più alto di un calciatore per cui l’idea di mettere in un ritornello il verso “da quando Baggio non gioca più non è più domenica”, per me voleva dire dar voce ad una generazione intera di persone che come me, la domenica, quando Baggio ha smesso di giocare, ha perso quel fascino poetico e anche un po’ malinconico che aveva sempre avuto, quando sapevi che dopo una partita in cui avevi visto giocare Baggio, c’era la scuola…e quindi finivano i sogni e iniziava la realtà. Poi, alla fine, io sognavo anche a scuola…infatti la maggior parte delle mie canzoni in “Squèrez?” le ho scritte sui banchi, per cui mi portavo sempre dietro un po’ di questa magia…
C’è una vena nostalgica, nei confronti di uno sport che, mondiali a parte, sta perdendo quella magia?
No, io credo che non verrà mai meno, credo invece che la magia del calcio per molta gente ha perso di significato ma sono sicuro che è dalle grandi sconfitte e dalle grandi delusioni che si possono migliorare le cose. Non conosco persone, a cui non servano certe sconfitte, se non qualche genio…penso agli U2 che da quando hanno iniziato non sono mai scesi, sono sempre andati in crescendo e pensi “non è possibile…non hanno mai sbagliato niente?”. A parte queste eccezioni, abbiamo bisogno di sconfitte e di delusioni per trovare un riscatto.
Non è un caso che la vittoria mondiale nell’82 sia arrivata in un momento di grandi polemiche e corruzione…
Non è un caso che quest’anno abbiamo vinto il mondiale in un momento in cui sembrava stessimo perdendo credibilità. E’ sempre così nella vita…
Ed è abbastanza commovente, nel momento in cui più nessuno ci scommette qualcosa…
Come diceva Brera, la caratteristica del calcio è l’imprevedibilità…
E se ci pensi…se entrava la palla di Zidane, avevamo perso il mondiale…
Continuando il nostro parallelismo con il calcio…hai detto che anche nella musica e nell’industria discografica c’è un “sistema Moggi”…
Certo. C’è e c’è sempre stato. E’ un sintomo di anni passati, ci sono stati anni in Italia in cui la differenza, il bello e il cattivo tempo, lo facevano poche persone, nel mondo dello spettacolo e anche nella musica. E questo persone hanno acquistato un potere tale che la discografia è rimasta in mano loro per tanti anni. E questo meccanismo si è un po’ sciolto con l’arrivo di nuovi gruppi e di una ventata di gioventù che è partita un po’ con i Lùnapop… L’Italia è fatta così. Non c’è da meravigliarsi. Molte cose in Italia si decidono prima e il pubblico poi le scopre come un evento, ma non c’è niente di cui meravigliarsi. Se ci fai caso, negli ultimi dieci anni, tutto si ripete in modo identico. C’è il disco di Madonna, poi c’è quello di Vasco, di Ligabue, poi quello di Robbie Williams e di nuovo quello di Madonna…Ogni tanto ci sono delle “robe strane” tipo i Lùnapop che entrano in questo circuito e spaccano tutto e non capisci da dove vengono…Questo dovrebbe accadere più spesso. Come permettere al pubblico di avere maggiore controllo della musica.
E l’esperienza dei Lùnapop cos’ha significato alla luce di questo?
Il progetto dei Lùnapop è stato qualcosa che ha massacrato i discografici italiani, perché eravamo indipendenti…è stata la radio a lanciarci e di conseguenza il pubblico a sceglierci. Tu dovevi vedere la faccia di certe persone quando ci incontravano in qualche casa discografica, non ci volevano credere. Era qualcosa di “non dominabile”, secondo loro, qualcosa che non era nemmeno nato secondo i canoni che loro avrebbero voluto, perché quando noi abbiamo proposto il primo disco, andava di moda l’hip hop, e le case discografiche che sono solo capaci di dirti quello che funziona, quello che va o non va, non consideravano altro. Arriviamo noi con il nostro sound anni ’60, leggero…ti lascio immaginare, il disco ha fatto il giro di tutte le case discografiche e nessuno ha voluto produrlo. A più di qualcuno, è costata la sedia, in seguito…Queste sono esperienze che possono rivoluzionare le cose.
In Italia però le piccole rivoluzioni, come quella dei “Lùnapop”, sono rare…
C’è una ripetitività che alla lunga diventa noiosa. Siamo un paese piccolo, e se non cerchiamo di darci un po’ di colore, diventa tutto una noia mortale. E’ un grosso peccato perché c’è molta gente che non ne può più. Se tu vai in paesi in cui la musica, l’arte, sono più sviluppati e meno omologati, ti accorgi che c’è spazio per tutti, per te, per il tuo modo di essere. Basti pensare che quando sei in Italia hai sempre la sensazione che ci siano sempre cose di serie A, di serie B, di serie C…Mentre io penso che l’integralismo nella musica sia una grandissima stronzata, perché è una grave mancanza di rispetto nei confronti degli altri. Ci dovrebbe essere spazio per tutti e invece sembra che tutti litighino per poter rappresentare l’unica cosa importante…
Secondo te da cosa dipende?
Se vai ad un concerto di un certo artista e vedi volare sassi e bottiglie, vuol dire che c’è un grosso problema culturale e sociale in questo paese. Qui conta solo la ruota che gira…Invece negli altri paesi ognuno ha la sua ruota…Perché c’è spazio per tutti. L’ Inghilterra, che non è l’America, è un paese che dà spazio a tanti generi musicali. Se tu in Italia vuoi fare country, muori di fame. Se tu guardi le persone in generale, puoi notare che non riesci più a riconoscere chi è dottore e chi pittore…sono tutti vestiti uguali, tutti simili. E’ un’omologazione che è nata vent’anni fa e che ora è al culmine. Poi, nel momento in cui la musica finisce nei reality show, possiamo decretarne la sua fine, perché mischi le carte e quando mischi le carte il pubblico non ha giustamente la prontezza di capire certi giochi…
Non credi che il pubblico si possa educare?
Sì, assolutamente, ma non è così semplice. Le cose cambiano troppo velocemente. In un attimo siamo passati da una condizione ad un'altra. Quando sono uscito con il primo disco nel ’99, si respirava un’aria completamente diversa da quella che si respira adesso, che è quasi soffocante. Questo mi ha molto meravigliato perché ho sempre pensato che si potesse cambiare, in meglio o in peggio, ma non così velocemente. La discografia che allora era ancora in crescita ha avuto un crollo. Ogni anno si perde il 15% di dischi venduti, non briciole. Son sette anni che si vende il 50% in nero.
Però c’è anche un nuovo modo di consumarla la musica…
Sì ma non è sempre legale… Io non c’è l’ho con il fatto che si possa scaricare musica da internet. A me dà fastidio chi giustifica questo atto dicendo che il cd costa troppo e poi magari ha una borsa griffata da 250 euro o si prende 15 cocktail in disco per ubriacarsi, oppure gira con tre grammi di coca in tasca… Questo è assurdo. Questo vuol dire che la musica non esiste più e che è morta. E purtroppo sta prendendo il suo posto una ricerca di emozione diversa, che sei pronto a pagare pur di viverla, come ad esempio l’apparire in tv. Da noi c’è gente che darebbe l’anima pur di fare un’apparizione di dieci minuti…
Se ci aggiungi l’invidia, per un musicista diventa davvero difficile trovare spazio in Italia…
In un paese in cui è dimostrato come chi ha il potere viene considerato corrotto sotto tutti i punti di vista, se tu assumi un ruolo importante, diventi famoso come cantante o altro, anche tu vieni messo in una mischia, che però non ti appartiene, per cui l’invidia fa sì che l’idea che una persona possa raggiungere il successo, in Italia viene vissuto come qualcuno che sta togliendo il posto a qualcun altro, capisci? Questo è assurdo. Ci sono paesi in cui chi dimostra di avere più capacità degli altri viene applaudito e incoraggiato...
E’ successo anche a te?
Per quanto mi riguarda, mi hanno distrutto due macchine. A te sembra che un ragazzino che scrive canzoni d’amore a diciott’anni meriti questo, solamente e unicamente perché sta avendo successo? Questo secondo me è sintomo di un grave problema culturale. Io mi sono fatto due conti ed ho imparato a difendermi. Però uno può rischiare di cadere per queste cose…
Difficile cantare e scrivere di sogni in questo clima…
Tutti noi sogniamo di avere un ruolo nella vita. Ti assicuro che è molto più facile quando lo sogni, perché quando ce l’hai ci sono milioni di persone che te lo vogliono distruggere, questo sogno, anche se fai l’avvocato. Perché in questo momento non c’è nessun tipo di “unione”. Esiste solo il singolo, e il singolo pensa solo a se stesso e questo è quello che sta avvenendo in questo paese.
La musica può tornare ad essere fenomeno di unione?
Assolutamente sì. La musica ti ipnotizza in qualche modo e ti riporta a terra quando fai i tuoi voli pindarici chissà dove, però può succedere solo se questo è supportato da tutte le altre arti e da tutti i media. Tu non puoi fare la tua scommessa con te stesso per riuscire a cambiare il mondo, se non c’hai qualcuno dietro. Non l’ha mai fatto nessuno, neanche Ghandi era da solo contro il mondo. E non si può pretendere di cambiare qualcosa se poi prendi un cantante che era sparito nel nulla, lo metti in un reality e poi gli fai fare un disco. Chi come me ha delle basi e sta lavorando nella musica capisce il meccanismo, chi non è del settore non capisce…
Quindi diventa difficile riconoscere certi bluff, anche a livello musicale…
Penso comunque che durino e abbiano successo nel tempo soprattutto le cose più sincere e più vere. Non mi spavento mai quando esce un nuovo cantante in cui riconosco l’ipocrisia, perché penso che poi cadrà in fretta.
Di solito cosa ascolti?
Ascolto tantissima musica. E’ sempre imbarazzante per me dire cosa ascolto perché sono capace di passare tramite I-Pod da Bruce Springsteen versione country a Bob Dylan, mia grande passione e ogni tanto ritorno da Freddy (Mercury n.d.r.) che ho ascolto sempre e comunque…
E il live che ti ha cambiato la vita?
I concerti dei Queen hanno cambiato la mia esistenza. Stavo ore davanti allo specchio e alla televisione a rifare i concerti di Freddy dall’inizio alla fine perché per me era una fonte di sogno talmente grande a cui potevo attingere che…potevo non avere niente nella vita ma se avevo quello ero felice.
Come ti diverti quando non lavori?
Mi diverto molto…Quando non lavoro faccio le ore piccolissime, sempre.
L’ultimo concerto a cui sei stato e l’ultimo cd acquistato…
Quello degli Artic Monkeys, un gruppo inglese, molto giovane, di cui ho anche acquistato l’ultimo cd.
Ti piacciono perché…
Sono stato molto colpito dal cantante perché ha diciott’anni e ha una voce e un modo di porsi da trentacinquenne. E quando vedi la personalità costruita in un bimbo ti chiedi com’è possibile e ti incuriosisce. A diciott’anni non sai niente della vita. Nemmeno io sapevo niente della vita perché a diciott’anni la mia vita era un banco di scuola e la ragazzina accanto a me… Il fatto che in Inghilterra e in altri paesi a diciott’anni sei molto più immerso nella vita di tutti i giorni rispetto all’Italia, questo mi affascina. E quando senti un ragazzino che fa testi di canzoni che raccontano mondi a me inaccessibili a diciott’anni. “Squérez?” l’ho scritto a sedici anni e parla d’amore perché veramente quello era il mio mondo in quel momento: scuola, compiti e a letto. Sono nato in una famiglia borghese come tante, papà era medico, mamma insegnante in pensione. Quindi ho avuto un’educazione cattolica un po’ chiusa. Poi però questo è stato un grande stimolo per mandare tutti a cagare e fare il musicista…
Quando hai deciso di diventare musicista?
Ho iniziato a studiare musica a sei anni. Ed ho iniziato con la musica classica, perché la mia famiglia “borghese” mi voleva musicista classico. Mia madre ad esempio voleva che io facessi pianoforte più che altro per far sentire alle sue amiche che suonavo il piano, non perché io fossi felice di suonarlo. Però quel pianoforte che io ho odiato per una decina d’anni perché era studio e sacrificio e toglieva spazio e tempo per gli amici, è stato fondamentale, così come l’educazione ricevuta dai mie genitori.
A cui hai dedicato il pezzo “PadreMadre”…
E’ stata un’educazione rigida, ma estremamente importante, anche se mio padre ogni mattina entrava in casa con una tabellina e la mia giornata programmata. Però è stato determinante per il mio futuro. La cultura è fondamentale. Conosco tanti cantanti bravi che si sono fregati solo per non aver avuto la possibilità di essere educati un certo modo.
Qualche esempio?
Ho avuto parecchie discussioni con altri cantanti sul fatto di parlare sempre male degli altri durante le interviste, cosa che trovo davvero di cattivo gusto, perché se tu parli male degli altri evidentemente non hai nulla da dire di te. Allora, io sono abbastanza egocentrico da parlare sempre di me, questo è vero, ma non ho mai parlato male di un collega. Un giorno sono andato da uno di questi colleghi-artisti e gli ho detto “ma chi te lo fa fare di parlare male di me, avrai qualcosa di tuo da dire…a me hanno sempre insegnato che quello che tu dai poi più o meno lo ricevi indietro” e lui mi ha risposto “a me non l’ha mai insegnato nessuno”….Io son caduto dalle nuvole, perché lo puoi imparare anche da un libro o da un film, e questa è cultura.
Malelingue a parte, oggi sei un cantautore molto apprezzato. Abbiamo saputo che una cantante molto famosa ti avrebbe chiesto di scrivere un pezzo…
Non posso rivelare il suo nome. Se lo faccio, vengo meno ad una promessa…
“C’è qualcosa di grande” in Cesare Cremonini. Cantautore, poeta di sogni e d’onore.
(Luglio 2006)
Intervista a cura di: Ottavia Da Re
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