Sinfonia in Pech
L’aria di sofisticata chiusura, ma il carattere garbato e spiritoso. L’inizio col jazz, i retroscena dell’Opéra, e quella nomina a étoile: personalità artistica e biografica di Benjamin Pech nelle parole del divo di Parigi, che svela eleganza e determinazione, onori e oneri della vocazione artistica e del successo. Dal lavoro alle sfide e agli amici, fino alla voglia di togliersi (ogni tanto) trucco e costumi di scena
PARIGI – Mentre agita la tazza di caffè che tiene in mano, Benjamin Pech mi racconta qualcosa sulle prove della mattina. Siamo nella cafétéria del Palais Garnier, sede storica dell’Opéra di Parigi; il locale è semideserto. Benjamin indossa una calza a maglia scura e una t-shirt blu, è palesemente uscito da uno studio poco prima, ma in lui non c’è traccia dell’aria da scolaretto. Parla e scherza volentieri. Mi chiede che orari ho per il pomeriggio e commenta “Mi sa che sei l’unico capace di vedersi due recite in un giorno!” quando gli rispondo che ho gli inviti sia per la matinée sia per la soirée della Dama delle camelie.
Nel corpo di ballo dell’Opéra è entrato a diciotto anni; vincitore a venti del Grand Prix e della Medaglia d’oro al concorso Plissetskaïa di San Pietroburgo, Benjamin Pech è stato nominato étoile dell’Opéra di Parigi nel settembre 2005, al termine di una serata in cui ha ballato Albrecht in Giselle e Frédéri ne L'Arlésienne al Gran Teatro di Shanghai. Già Chevalier des Arts et Lettres, oggi è una delle stelle più luminose del blasonatissimo Ballet de l’Opéra de Paris, e ha ricoperto praticamente tutti i ruoli principali del repertorio (Romeo e Sigfrido, James e Frantz, per fare pochi esempi); ha brillato per purezza nel classicismo di rigore (Concerto Barocco, Sinfonia in do, Jewels di Balanchine) e per personalità nel repertorio contemporaneo (da Bella Figura di Kylián fino ad Artifact Suite di Forsythe).
Fuori l’aria estiva di Parigi è tersa e scaldata dal sole, ma molte finestre del locale sono serrate; rompono il silenzio solo le chiacchiere dei pochi presenti e la televisione accesa. Gli spettacoli della Dama delle camelie di Neumeier (trionfalmente entrato nel repertorio dell’Opéra) continuano ad attirare folle di appassionati nel fastoso Palais Garnier; Benjamin è ovviamente fra i quattro étoile scelti per dar vita alla tragica figura di Armand Duval, il suo nome è ancora in cartellone, ma lui sembra non rendersene conto; all’entrata artisti è venuto a prendermi di persona, da solo e con le scarpe da ballo ancora ai piedi. Dopo averlo sempre visto nei classici costumi di scena, è strano trovarselo davanti in abiti moderni. È strano anche vederlo passarsi tra le labbra il cucchiaino di plastica con cui ha girato il caffè.
Il talento nella danza di solito si manifesta abbastanza precocemente. Eri il primo della classe alla scuola di ballo?
Ero l’unico ragazzo… c’erano soltanto bambine con me, non c’era modo di fare paragoni! Avevo otto anni, e mia madre e mia sorella avevano iniziato a prendere lezioni di moderno… di jazz per essere precisi. Avevo l’abitudine di accompagnarle per guardare, e ho iniziato a muovermi dietro le quinte seguendo la musica. Alla fine mi hanno reclutato per prendere parte alle lezioni, poco dopo… è così che ho iniziato!
C’è qualcuno a cui sei particolarmente grato? Chi ti ha reso un ballerino, oggi étoile?
La mia prima insegnante di jazz, Brigitte Jaime, che oggi è anche un’amica. Si è resa conto molto presto che ero dotato, e diceva spesso che un giorno sarei stato un danzatore professionista capace di ballare ruoli principali. Le sono molto grato…
… non hai iniziato qui a Parigi…
… ovviamente no! Ho iniziato nel sud della Francia e ho lasciato il mio paese a undici anni per venire qui a Parigi alla scuola dell’Opéra. Ero solo… e ho trascorso sei anni studiando all’Opéra per conto mio. È stato abbastanza scioccante… sono arrivato nel bel mezzo dell’anno, perché l’esame di ammissione era a marzo: all’improvviso ho lasciato la mia scuola, i miei amici, la mia famiglia. Sono stato ammesso alla scuola dell’Opéra, ma mi mancava mia madre, mi mancava il sud della Francia, mi mancava andare a scuola in bicicletta. Parigi mi sembrava un pianeta diverso, sai… tutto correva così veloce! Tutti i ballerini a scuola erano preparatissimi, e sapevano di essere esattamente dove volevano essere. Per me era diverso… Mi era stato detto “Dovresti andare all’Opéra di Parigi perché hai del talento”, e la mia risposta era stata “Ok… perché no?”. Ma quello che volevo all’inizio era semplicemente ballare un po’ di jazz…
… ma immagino tu non abbia rimpianti… lo rifaresti?
Non c’è nessun rimpianto, no! Forse, se dovessi rifarlo, lo farei in modo diverso. Oggi gli studenti non dormono più a scuola; quando ero studente io, dovevamo dormire a scuola da lunedì a venerdì; dividevo la camera con altri due ragazzini. Farei la scuola con tutti i miei insegnanti… ma vorrei avere più possibilità di uscire, di tornare dalla mia famiglia… solo per sentirmi nel mondo reale, non soltanto in quello del balletto.
Eri ambizioso? Intendo già durante gli anni della scuola… sognavi di diventare étoile qui a Parigi?
La mia ambizione era ballare e stare davanti… era difficile rimanere in mezzo al corpo di ballo. Spesso facevo qualcosa di diverso… del tipo “Guardatemi, sono qui”!
Essere étoile vuol dire avere un sacco di lavoro (più di prima) o la possibilità di avere un po’ di tempo libero in più?
Non la possibilità di avere più tempo libero! Prima di essere promosso ero primo ballerino, ed ero solito ballare sia i ruoli da étoile che quelli da solista… e significava lavorare un sacco. Ora, in quanto étoile, ballo solo i ruoli principali. Quindi da un lato c’è meno lavoro, ma… ballo tutto, tutte le produzioni, perché non sono solo un danzatore classico, né solo un danzatore moderno, posso eseguire balletti con stili diversi… ed è questo che amo del mio lavoro. Non potrei danzare solo Balanchine o pezzi classici, mi piace ballare Neumeier, Kylián… tutto. E se non ho ruoli da ballare a Parigi, ho impegni fuori, sai… vado spesso come ospite in Giappone e anche in Italia. Quando ho una settimana libera, sono a ballare qualcos’altro con compagnie straniere. In tutto quest’anno ho avuto solo tre settimane di vacanza in agosto… nient’altro, in nessun altro giorno dell’anno. Lo sai, la nostra carriera non è lunghissima… ho trentadue anni e credo di essere al mio meglio: il mio fisico è forte, ho maturità, sento tutte le creazioni che danzo. Ma questa condizione può durare altri sei o sette anni, forse dieci…
Cos’è sempre stato (e cos’è) più difficile per te da controllare – la tecnica (come con Basilio nel Don Chisciotte), lo stile o la recitazione (come con Armand o Albrecht)?
Ciò che preferisco è recitare! Mi piace raccontare una storia. Certo, fin dai primi anni mi è piaciuto ballare l’uccellino azzurro e il principe nella Bella addormentata, Basilio… Basilio è divertente perché la musica dà un grande supporto e il personaggio in sé è divertente; ha così tanti passi, è ballato dall’inizio alla fine… è come La bella addormentata o Schiaccianoci… Mi piace interpretarlo, ad ogni modo, perché rappresenta una sfida a livello tecnico: nel terzo atto hai questo pas de deux, questa variazione… questi passaggi difficili da eseguire, e devi eseguirli: è un incontro con la tecnica, e mi piace perché mi piacciono le sfide. Per il resto ciò che amo di più è raccontare una storia in scena, incarnare un personaggio e non solo ballare…
… come accade con Armand…
… sì, Armand è un personaggio molto bello a cui dar vita, perché è una storia vera; il personaggio presenta un’evoluzione costante e puoi renderlo in tanti modi diversi… come Frédéri ne L'Arlésienne: ci sono così tanti modi per interpretarlo. In questo modo non ti annoi mai in scena, c’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire.
Armand non è facile a livello fisico, ad ogni modo… vero?
È abbastanza atletico, sì. Ma è un bel ruolo… mi piace…
… ci credo, ma a volte mette ansia…
… ah, a te?!
Beh, tutte quelle prese… a me è capitato quando ti ho visto ballare La dama delle camelie…
Ma immagino sia eccitante…! A domandarsi “Ce la faranno o no?”…
… non proprio…!
Guarda… è questione di buona coordinazione con la tua partner, e ho lavorato molto bene con Eleonora Abbagnato – che ha ballato Marguerite con me –; la conosco da molto tempo e non era la prima volta che ballavamo insieme. Per La dama delle camelie avere buona coordinazione e un buon rapporto con la tua partner rappresenta un ottimo inizio e una garanzia per il lavoro.
Ho sempre sentito pareri entusiasti sulle tue interpretazioni in Giselle. Cosa puoi dirmi sul ruolo di Albrecht?
La cosa più difficile, riguardo Giselle, è essere naturale: non devi recitare, devi essere te stesso. Nel momento in cui inizi a recitare… per me Giselle finisce per risultare falso. Nel primo atto, nonostante storia e costumi siano antichi – è uno dei primi balletti nella storia della danza –, mi piace darne un’interpretazione moderna; è così che sento il balletto, soprattutto per quanto riguarda il lato romantico del ruolo. Adoro prendere un elemento del passato e riproporlo con la mia sensibilità contemporanea: credo sia un’ottima combinazione. È terribile quando si inizia a recitare in Giselle… l’over-acting, l’essere sopra le righe, è ancora peggio: la recitazione uccide la storia. Perché è semplicissima: è quella di un giovane che si innamora di una ragazza di campagna, potrebbe essere una storia moderna, ambientata nei nostri giorni; parla di differenze fra classi sociali, fra ricchi e poveri. Se inizi ad atteggiarti e a recitare da principe… è ridicolo! Mi piace ballare Giselle in modo naturalistico e senza troppe espressioni sul viso. Sono stato promosso étoile con questo balletto, mi piace e amo danzarlo… ma nel modo che ti ho spiegato.
Lo stile cinematografico può ispirare il danzatore in scena, a livello interpretativo? O credi ci siano modi diversi di recitare, al cinema e su un palco?
Penso che il ballerino possa influenzare l’attore. Ho visto molti attori usciti dall’Actor’s Studio o dal teatro classico – vado spessissimo a teatro – e a volte sembra che non abbiano consapevolezza del loro fisico: parlano e basta, non si muovono. La sola cosa che manca ai danzatore è la voce: recitiamo, balliamo… ma non diciamo una parola. È diverso. Quando si gira un film, tutto è piuttosto minimal… la macchina da presa è molto vicina all’attore. Ma quando sei in scena, se vuoi che gli spettatori nell’ultima fila ti vedano, devi dare qualcosa di più. A mio avviso stiamo parlando di lavori diversi, e non credo che qualche corso di recitazione mi aiuterebbe come ballerino. A volte vedi anche i cantanti che si limitano a cantare in scena, fermi lì… e niente si muove. È una cosa che odio…!
Anche trovare lo stile corretto usando il corpo rappresenta una difficoltà? Lo sai, trovi facilmente artisti che ballano Giselle, Don Chisciotte e Manon allo stesso modo…
Assolutamente sì! Ed è questo che amo del Balletto dell’Opéra di Parigi: abbiamo una scuola, abbiamo uno stile e sappiamo come ballare alcune cose e come ballarne altre. Fin dagli anni in cui si studia abbiamo imparato questa visione completa dell’interpretazione in scena.
Cosa distingue Nureyev dagli altri coreografi?
Nureyev è pazzo. Penso che le sue produzioni siano le più difficili fra quelle per il teatro di danza. Una volta che hai ballato Nureyev, puoi affrontare qualsiasi altra cosa… per quanto riguarda la tecnica. Sai, era talmente innamorato dei passi che ne metteva ovunque, e a volte finiscono per esserci troppi passi e non abbastanza musica… è piuttosto complicato eseguirli tutti. Ma è un po’ l’eredità che ho ricevuto, tantissimi ruoli da protagonista che ho interpretato erano in opere di Nureyev; e quando ho iniziato a ballare in altre creazioni di coreografi classici, era più o meno come… non fare niente! Prendiamo il Romeo e Giulietta di Nureyev, ad esempio: è folle, è il balletto più difficile che abbia mai affrontato…
… più della Bella addormentata?
Sì… oh sì! La bella addormentata è molto difficile perché tutto è concentrato in un singolo atto: il principe appare per la prima volta nel secondo atto e fa quasi tutto in questo secondo atto; ed è una cosa che uccide. Con Romeo, dall’inizio alla fine, ti trovi a ballare e ballare e ballare…! E quando ho ballato la versione di Romeo e Giulietta creata da MacMillan avevo la sensazione che mancasse qualcosa!
Hai amato di più il Romeo di MacMillan, o preferisci quello di Nureyev?
Non ho preferenze. Sono diversi… mi piace parecchio la versione di Nureyev, è bellissima… posso dirti che preferisco il pas de deux con Giulietta nel balletto di MacMillan: ti dà più tempo per esprimerti a livello emozionale. Ma se dovessi andare a vedere il balletto come spettatore… credo che sceglierei Nureyev.
Balli con partner diverse. Con quali di loro la partnership è più efficace, a tuo giudizio?
Mi viene spontaneo farti il nome di Eleonora Abbagnato. È un’amica e abbiamo un rapporto che si è costruito nel tempo… la conosco bene e lei mi conosce bene. Questo ci permette di creare qualcosa di magico in scena. Durante le prove può capitare il contrario, sai… conosci qualcuno molto bene e capita di scontrarsi con lui o con lei… qualcosa come “È colpa tua… è colpa mia”. Mi piace anche questo lato del mio rapporto con Eleonora. Ho ballato molto con Elisabeth Maurin, prima che si ritirasse; ha dieci anni più di me… è della generazione Nureyev. Avevo grande rispetto nei suoi confronti, quando mi rivolgevo a lei usavo “vous” invece di “tu”: le davo del “lei”; ed era bello, perché non potevo dirle: “Insomma Elisabeth, non sei in asse sulla gamba, per favore fai qualcosa…”! Dovevo trovare un modo diverso per parlarle. Mi piace ballare anche con Laëtitia Pujol… Mi piace cambiare, sai! Mi dispiace non poter danzare con Marie-Agnès Gillot: è bellissima, ma è anche molto alta, davvero troppo per me. Quindi Laëtitia… e anche Clairemarie Osta e Aurélie Dupont. Dipende da cosa devo ballare. Riguardo La dama delle camelie, si parla di intimità e sentimenti personali: credo sia bello poterlo ballare con Eleonora, perché la conosco bene… posso fare qualcosa di nuovo sul palco, esprimendo la passione con baci, ad esempio, e so che lei non reagirà in stile “Oddio! Cosa stai facendo?”.
Hai altri interessi oltre la danza?
Come dicevo all’inizio dell’intervista, ballo tutto il giorno… e se non ballo, è perché sono infortunato. Ma ovviamente mi piace fare altre cose a parte ballare. Vado al cinema e a teatro… e giro un sacco per musei e mostre: mi piace la pittura, gli impressionisti soprattutto…
Vieni qui all’Opéra a vedere altri spettacoli?
No! Ho smesso! Finirei per dormire qui e vivere qui, e non avrei tempo per vivere la mia vita! Quando ero primo ballerino a volte dovevo rimanere e aspettare dietro le quinte, nel caso qualcuno si facesse male e fosse necessario sostituirlo. Ma adesso sono étoile, e posso stare a casa, se non sono in scena… è uno dei privilegi dell’essere étoile. Ci vediamo durante le prove e la preparazione di una produzione; ma non amo stare fra il pubblico e vedere i miei colleghi esibirsi. Mi piace vedere artisti di altre compagnie, quello sì… Ho visto molte volte spettacoli qui all’Opéra, ma adesso preferisco dedicare a me stesso questo tempo libero.
Segui l’attualità, la politica…?
Sì! Avremo le elezioni a breve, qui in Francia… sono uno che compra il giornale tutti i giorni, mi piace essere informato su ciò che avviene nel mio paese…
… alcuni ballerini dicono che non hanno tempo per fare o pensare ad altro, danza a parte…
Ballerini che vengono la sera a vedere gli altri colleghi, ad esempio! Non hanno tempo per sapere cosa capita fuori da questo mondo… perché, lo sai, è come un sogno dorato: stai in questo mondo irreale fatto di costumi e make-up. È magico da un certo punto di vista, ma a volte scontrarsi con la realtà diventa necessario… c’è la guerra in Iraq, ci sono problemi politici. Ti porta alla vita, quella vera. In quanto ballerino, permetti al pubblico di sognare: la gente viene a vederci per evadere dai problemi personali, immagino… è una sorta di intrattenimento. Ma abbiamo bisogno di tempo per tornare ai problemi, e a me piace tornare alla mia città, alla mia vita…
Hai amici in teatro?
Ho molti amici in teatro, perché ci conosciamo da quando avevamo otto o dieci anni. Ma qui ho solo due o tre amici molto stretti e qualcosa come altri due o tre amici intimi fuori dal teatro. Ho bisogno di vedere altre persone, di conoscere qualcun altro e prenderci un caffè come stiamo facendo noi adesso, ad esempio…!
E quali ruoli nuovi sogni di interpretare?
Ho smesso di fare sogni riguardo il futuro. Quando ero primo ballerino il mio più grande desiderio era d’essere promosso étoile… ed era tutto riguardo questo: la mia promozione, la mia promozione e la mia promozione. E non succedeva, sono stato primo ballerino per cinque anni. Ma quando smetto di pensare alle cose, e mi dimentico del futuro, le cose mi capitano. Bisogna lasciare che le cose seguano il loro corso, vivere ogni giorno. Ciò che voglio è godermi il presente… carpe diem. Se pensi sempre al domani, non ti godi il momento che vivi e perdi un sacco di cose.
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Immagini per gentile concessione dell'Opéra National de Paris.
Dall'alto: Benjamin Pech in un ritratto (Anne Deniau); in L'Arlésienne di Roland Petit (Icare) ; in Clavigo di Petit (Icare); in La Bayadère di Rudolf Nureyev (Icare).
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Intervista a cura di: Alessandro Bizzotto
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